Un approccio liberale alla castrazione chimica

Il ministro Roberto Calderoli ha detto che ci è già una prima richiesta per sottoporsi a castrazione chimica volontaria: «Un detenuto, condannato per decine di violenze sessuali su minori, che, spontaneamente, ha richiesto di essere sottoposto all'androsospensione, ovvero alla castrazione chimica». La verità è che la castrazione chimica, meglio definita come "terapia antagonista del testosterone", in Italia esiste già da anni. Viene praticata, ovviamente su soggetti volontari e in modo non ufficiale, da parte di personale qualificato. Il criminologo Francesco Bruno, docente universitario, lo ha detto senza ipocrisie: «Sono venti anni che faccio castrazione chimica, naturalmente a chi lo chiede, con buoni risultati». Ma la sua frase, come tutte le verità scomode, è stata subito rinchiusa nello sgabuzzino delle cose da non mostrare in pubblico.
Il farmaco che più viene usato in Italia è Androcur, una compressa da assumere quotidianamente, nel cui "bugiardino" delle indicazioni terapeutiche si legge «Riduzione dell’istinto sessuale patologicamente aumentato o alterato nell’uomo adulto (ipersessualità o deviazioni sessuali)». Chi ha la ricetta (è un farmaco indicato per la cura delle disfunzioni prostatiche) paga per una confezione appena un euro di ticket.
Le anime belle della sinistra, "a prescindere", inorridiscono all'idea, anche se poche di loro sanno cos'è veramente la castrazione chimica. Ma la domanda da porsi, da liberali, è: e se fosse applicata solo in modo volontario a chi lo richiede, magari in cambio di uno sconto di pena? E' giusto vietare una misura che non apporta alcuna menomazione al condannato (gli effetti del farmaco sono del tutto reversibili), può consentirgli di avere una pena più mite e difende la società da individui pericolosi, per di più aiutandoli a reinserirsi?
Per chi vuole approfondire, ne ho già scritto. Qui.

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