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Visualizzazione dei post da maggio, 2010

Lo scettro dell'anti-politica passa di mano

di Fausto Carioti Il mondo alla rovescia. Silvio Berlusconi era abituato ad apparire davanti alla platea di Confindustria con indosso i panni nei quali si muove meglio: quelli dell’antipolitico, dell’uomo del fare insofferente dei bizantinismi. A Vicenza, in una performance diventata oggetto di culto sul web, fece vendemmia di applausi e consensi spronando gli imprenditori: «Veniamo un po’ meno in Confindustria, rimaniamo in azienda a lavorare». Notare la prima persona plurale: perché lui è come loro (nel senso che lui è migliore, e visti i fatturati è difficile dargli torto), uno che conosce i mercati e i clienti, e che se solo potesse far marciare il governo e la maggioranza come i suoi consigli d’amministrazione avremmo tutti il reddito pro-capite del Lussemburgo. Un’altra epoca. Ieri, nell’assemblea annuale di Confindustria, Berlusconi si è trovato nel ruolo opposto, trasformato nella sua nemesi storica: il politico di professione, che non riesce a fare ciò che vorrebbe per colpa d

Aridatece Berlusconi

di Fausto Carioti A questo punto devono dircelo: ma Silvio Berlusconi, quello vero, dove lo hanno messo? E quando ce lo restituiscono? Quello che è apparso ieri sera accanto a Giulio Tremonti per spiegare le ragioni della manovra finanziaria, più che l’unico premier europeo col vento in poppa sembrava un sottosegretario interinale all’Economia, un cultore della scienza triste che nulla aveva in comune col bombastico presidente del consiglio eletto dagli italiani. Dopo aver discusso la manovra in privato, anche in modo molto duro, quando questa è stata varata Berlusconi si è assunto con responsabilità il compito di “venderla” agli italiani, di presentarla come il male minore. E l’intervento da 24 miliardi di euro preparato dal governo forse è davvero quanto di meno peggio potesse capitare ai contribuenti. Eppure stavolta il grande venditore fallisce la missione, forse perché non crede nel prodotto (che è la prima regola per avere successo, come spiegò lui stesso a Mike Bongiorno quando

La mutazione genetica di Tremonti (e del Pdl)

di Fausto Carioti Qualcuno avvisi il Pd: il governo ha appena varato una manovra da 24 miliardi di euro, annunciata dallo stesso braccio destro del premier come un intervento zeppo di «sacrifici duri». Ma del principale partito d’opposizione non c’è traccia: oggi l’intera dialettica politica nasce e si consuma all’interno del centrodestra. Pier Luigi Bersani e i suoi, ammesso che davvero esistano e che non siano figuranti messi lì dal Cavaliere per allietare la scena, non hanno ancora capito se devono scendere in piazza con la Cgil di Guglielmo Epifani o limitarsi a fare un po’ di casino ma alla fine, senza darlo troppo a vedere, accogliere l’invito di Giorgio Napolitano a «condividere» la manovra per senso di responsabilità. Probabile che anche stavolta scelgano la terza via, dividendosi e confermando così la loro irrilevanza politica. Con la manovra di ieri, poi, Silvio Berlusconi ha tolto al Pd uno dei pochi titoli dei quali poteva ancora fregiarsi, più per tradizione che per meriti

I soldi si trovano, ma è la fiducia che manca

di Fausto Carioti Il consenso c’è: lo si è visto alle elezioni regionali e - nonostante tutto quello che è successo - lo confermano i sondaggi. I soldi scarseggiano e sono già motivo di scontro, ma quelli, in un modo o nell’altro, alla fine saltano sempre fuori. E comunque l’assenza di un’opposizione degna di questo nome consente a chi governa margini di errore amplissimi. Il problema vero, per la maggioranza, è che manca l’ingrediente più importante: la fiducia tra i suoi leader. Senza la quale non si può fare nulla, nemmeno proseguire la legislatura. Il gelo tra il premier e Gianfranco Fini è solo l’esempio più visibile, e nemmeno il più pericoloso. Assai più rischioso, in questo momento, è il fronte tra Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti. In discussione non c’è la linea del rigore, che è stata apprezzata da Bruxelles e ha dato modo al presidente del Consiglio di farsi bello con il lavoro del suo ministro. Il punto, semmai, è come attuarlo, questo rigore. Il Cavaliere, racconta un a

Asse Obama-Napolitano sulle intercettazioni

di Fausto Carioti La lotta alla mafia è senza dubbio importante, ma per gli Stati Uniti quella al terrorismo lo è ancora di più. Ed è innanzitutto a questa che pensava ieri Lanny A. Breuer, sottosegretario del Dipartimento penale americano, quando, parlando in una conferenza stampa all’ambasciata di via Veneto, ha detto: «Non vorremmo mai che succedesse qualcosa che impedisse ai magistrati italiani di fare l’ottimo lavoro svolto finora. Le intercettazioni sono uno strumento essenziale per le indagini». Uno stop che più chiaro non si può alla legge messa in cantiere dal governo Berlusconi, al quale poco o nulla toglie la precisazione di rito fatta in serata dallo stesso Breuer: «Non spetta a me entrare nel merito di decisioni politiche o giudiziarie riguardanti l’Italia». Proprio le divergenze di opinioni su questa norma tra l’esecutivo di Washington e quello di Roma stanno rafforzando i rapporti che legano Barack Obama a Giorgio Napolitano. Del resto, non da oggi, la Casa Bianca ritien

Santoro, ovvero la perdita dell'innocenza

di Fausto Carioti Anime belle, creaturine innocenti che il giovedì sera si mettevano lì, davanti al televisore, come nemmeno le suore filippine dinanzi a Ratzinger che legge il Vangelo: ma ci credevate sul serio? Davvero pensavate che quello fosse diverso, fatto di una pasta distinta da quella di noialtri (e voialtri) mortali, immune all’avidità e alla vigliaccheria? Eravate convinti che uno al quale mettono in mano una buonuscita da tre milioni di euro, o quanti ne sono, magari di più, ci avrebbe sputato sopra solo per la bella faccia vostra, che nemmeno vi ha mai visto? Perché a leggere quello che avete scritto dopo che Michele Santoro ha siglato il patto col diavolo, facendosi pagare per chiudere Annozero, pare proprio di sì. Su Internet, sui blog, sulla pagina Facebook che il soldato giapponese Sandro Ruotolo continua ad aggiornare dalla giungla: ovunque lasciate traccia del vostro sconcerto. «Michele mi hai deluso, lasceremo l’Italia in balia di Minzolini e di false verità». «Ora

Torna il "fisco etico"

di Fausto Carioti Nel bel mezzo della più grave crisi finanziaria che l’Europa ricordi, Pier Luigi Bersani pensa bene di andarsene a Pechino per incontrare un tale He Guokiang, membro della segreteria nazionale del Partito comunista cinese. Il segretario del Pd arriverà in Cina il 23 maggio e ci resterà per cinque giorni, nella certezza che in Italia nessuno si accorgerà della sua assenza. Infatti, ora che c’è, nessuno si accorge della sua presenza. Il Pd non ha ancora deciso se dire sì o no al federalismo demaniale, che si voterà oggi, e già che c’è deve anche mettersi d’accordo con se stesso su cosa fare con la manovra correttiva da 27 miliardi che il governo porterà presto in Parlamento, e che il Pd è tentato di condividere per senso di responsabilità, ma anche no. Quanto a proporre qualcosa di autonomo su come raddrizzare i conti pubblici, fosse mai: se Bersani lo facesse, si scoprirebbe che metà del Pd dissente. Meglio la Cina, decisamente. Il che, però, apre un buco, anzi una vor

Gli stipendi da tagliare

di Fausto Carioti Gli schiaffoni rimediati in queste settimane dalla classe politica (ieri, per dire, è stato arrestato per corruzione l’ex sindaco di Gallipoli, incidentalmente dalemiano) hanno già prodotto un risultato: gli stipendi di ministri e parlamentari saranno tagliati, almeno del 5%. Troppi politici ansiosi di rifarsi l’immagine, ormai, si sono sbilanciati a prometterlo sull’onda delle inchieste giudiziarie e della crisi finanziaria, e tirarsi indietro sarebbe imbarazzante persino per gli standard cui ci hanno abituati. Se poi un ministro assennato e vicino al premier come Franco Frattini assicura a Libero (nell’intervista pubblicata domenica) che presto la proposta del taglio degli stipendi sarà fatta propria da Silvio Berlusconi, è il caso di prenderlo sul serio. Anche ammesso, però, che le cose vadano davvero così, resta da capire fin dove si debba arrivare. Vanno tagliati pure gli stipendi dei politici locali? E soprattutto: è giusto ridurre anche le buste paga più pingui

E Bossi passa al comando

di Fausto Carioti Di questi tempi il centrodestra ricorda molto quei consigli d’amministrazione nei quali Enrico Cuccia dettava legge pur controllando una quota minima del capitale. «Le azioni si pesano, non si contano», spiegava il dominus di Mediobanca. Sostituendo la grisaglia con la camicia verde, è quello che sta facendo Umberto Bossi dentro la maggioranza: il suo pacchetto di voti sarà pure minoritario, ma oggi pesa tanto da renderlo il vero socio forte. Ruolo in cui Bossi resterà fin quando Silvio Berlusconi non troverà modo di sfilarsi dal pantano in cui le vicende giudiziarie hanno infilato il suo governo e il suo partito. Le analogie con via Filodrammatici finiscono qui: non essendo cresciuto alla scuola dell’understatement, Bossi esibisce volentieri in pubblico la forza politica di cui dispone. Ieri, per dire, l’iniziativa l’hanno presa in mano lui e i suoi. E sui poveri alleati del PdL ha iniziato a piovere sin dal mattino. Prima, dalle colonne di Repubblica, il sindaco di

Se Berlusconi smette di coprire i suoi

di Fausto Carioti Niente dà l’idea dell’emergenza meglio di Silvio Berlusconi che smette di fare il garantista e annuncia la linea dura nei confronti dei suoi: chi dovesse essere accusato di aver grufolato nella mangiatoia dell’imprenditore Diego Anemone, fuori. Raus, via dal governo e dal PdL. Lui non li coprirà più, Claudio Scajola docet. Questi propositi il premier li ha annunciati durante la cena che ha avuto mercoledì sera con un gruppo di imprenditori amici: non proprio delle anime candide insomma, ma gente che sa come gira il mondo e che magari avrebbe intonato con lui la litania del trappolone ordito dalle toghe rosse. E invece. Il segnale per i suoi è chiaro: Berlusconi non intende caricarsi sulle spalle il peso delle loro colpe. Già si sente esposto su tanti fronti: il duello eterno con quel rompiscatole di Gianfranco Fini, l’attuazione del federalismo fiscale che scricchiola sotto i colpi della crisi finanziaria e getta incognite sul rapporto con la Lega, la manovra da 25 mi

De Benedetti silura Bersani

di Fausto Carioti Carlo De Benedetti è un gatto e la sinistra è il suo gomitolo. La prende a zampate, la srotola, l’arrotola. Fin quando non si stufa e decide di passare a qualcos’altro. Tanto, a fare e disfare, quando lui non c’è, ci pensano Repubblica e gli altri suoi giornali. Ogni volta il gomitolo rosso ne esce un po’ più malconcio e sfilacciato di prima. Ma è sempre lì, a disposizione. De Benedetti ha appena ricominciato a ronzarci attorno. Che non avesse grande stima per Massimo D’Alema, il quale affettuosamente ricambia, è cosa nota. Che l’Ingegnere e i direttori delle sue testate si siano assegnati la missione di dettare la linea alla sinistra e ai suoi leader, è un dato di fatto. Si era intuito, ad esempio, che Pier Luigi Bersani non va a genio a tutti costoro. Poche settimane fa Ezio Mauro, che di Repubblica è il direttore, aveva posato una lapide sulle ambizioni del segretario del Pd. Intervistato dall’Espresso, il settimanale del gruppo, con quella modestia che da sempre c

Avessimo fatto come Zapatero

di Fausto Carioti Verrebbe da prendersela con Moody's, l'agenzia di rating americana infallibile nell'accorgersi delle crisi quando sono già esplose (memorabile la “tripla A”, il giudizio di massima affidabilità rilasciato da Moody's, di cui si fregiava la banca d'affari Lehman Brothers il giorno prima che fallisse). Comportamento al quale di solito prova a rimediare a crac avvenuto, distribuendo randellate a destra e sinistra nel tentativo di rifarsi una verginità. Ieri, pagarne il prezzo è toccato a noi. Prima Moody's ha fatto sapere che la crisi finanziaria greca avrebbe potuto contagiare le banche di alcuni Paesi, inclusa l'Italia. Le cose, in realtà, non stavano proprio così, e dopo poco provava a spiegarlo un'altra agenzia di rating, la Fitch: dall'inizio della crisi, due anni fa, «le banche italiane hanno reagito bene, si sono mosse nella giusta direzione rafforzando il patrimonio e basandosi sul loro punto di forza, la raccolta diretta tra la

L'incubo del carciofo

di Fausto Carioti Non è un caso se Gianfranco Fini e Umberto Bossi, manco si fossero messi d’accordo, ieri hanno abbandonato Silvio Berlusconi, smentendo la sua tesi della «offensiva giudiziaria» contro il PdL e il governo. «Non c’è nessuna congiura o accanimento dei giudici contro l’esecutivo», ha detto il presidente della Camera nella sua ennesima apparizione televisiva. «Mi sembra che i magistrati facciano solo il loro lavoro», gli ha fatto eco il leader della Lega. Niente di strano che i due, per una volta, parlino la stessa lingua. È che ambedue sono intenzionati a raccogliere i dividendi dello tsunami giudiziario che, secondo radio Montecitorio, sta per abbattersi sugli uomini del Cavaliere. I segni, per chi vuole vederli, ci sono già tutti: alle dimissioni di Claudio Scajola ieri ha fatto seguito la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di Denis Verdini, uno dei tre coordinatori del PdL, accusato di corruzione. E già si fanno scommesse su chi sarà la prossima vitti

Aspettando la valanga

di Fausto Carioti Le dimissioni di Claudio Scajola hanno segnato il battesimo ufficiale dell’asse politico che lega i finiani, in materia di giustizia, all’opposizione e alla magistratura. E hanno dato il via a una guerra di posizione all’interno del PdL il cui esito più probabile è la spaccatura definitiva del partito e la fine traumatica della legislatura. Se gli uomini del premier e quelli del presidente della Camera sono ancora alle schermaglie iniziali, è solo perché su una cosa sono tutti d’accordo: il treno che ha travolto il ministro dello Sviluppo Economico sta per investire altri esponenti del PdL. Nessuno, ieri, si è stupito a leggere sulla Velina rossa, il foglio d’informazione parlamentare del dalemiano Pasquale Laurito, che «nuovi nomi del governo nei prossimi giorni o nelle prossime settimane potrebbero trovarsi coinvolti in nuovi scandali». Meglio, quindi, prima di far partire l’artiglieria, capire bene i contorni dell’inchiesta di Perugia. Pubblicare questi nomi adesso

Faccia a faccia con Claudio Scajola

di Fausto Carioti Stressato, è stressato, ma Claudio Scajola sembra uno di quelli che in certi momenti tira fuori energie nascoste. Riceve Libero nell’ala nobile del primo piano del ministero che guida, quello per lo Sviluppo Economico. È in camicia, senza giacca. Appare intenzionato a combattere sino in fondo. Se qualcuno si attendeva da lui mezze ammissioni sullo strano caso del suo appartamento a due passi dal Colosseo, acquistato sei anni fa, rimarrà deluso: Scajola non molla di un millimetro. Anzi, contrattacca. Signor ministro, intende raccontare tutta la storia del suo appartamento? «Mi trovo ogni giorno su tutti i giornali da una settimana. Non ho nessun problema a raccontare la verità. Che mi pare molto semplice. E allora ho deciso di rispondere alle domande che mi vengono poste». Innanzitutto, lei è indagato per questa vicenda? «No, non sono indagato». Quando ha acquistato il suo appartamento vicino al Colosseo? «Nei primi giorni del luglio 2004». Da chi ha comprato il suo ap