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Visualizzazione dei post da maggio, 2007

La kamikaze e i sette nani

Difficile che la memoria non corra a certi riferimenti cinematografici dotti, tipo "L'Armata Brancaleone" di Mario Monicelli, dove qualche cinefilo si ricorderà del perfido «nano nomato Cippa». Una giornalista di una radio israeliana ha posto una domanda molto sensata a un esperto di questioni arabe. Come noto, gli uomini che si immolano per il jihad, la guerra santa, sono attesi in paradiso da 72 fanciulle vergini. Ma adesso che i palestinesi promettono di inviare donne suicide contro i soldati israeliani che dovessero rimettere piede in Gaza, si pone il problema su chi o cosa attenderà in paradiso le martiri di Allah. Insomma, qual è l'equivalente per le femmine delle 72 vergini promesse ai maschietti? La risposta dell'esperto musulmano: per le donne kamikaze, in paradiso ci saranno «nani che le serviranno». Tutto vero. Tutto sul Jerusalem Post (e sul Chicago Sun-Times , by Mark Steyn). One intrepid Israel Radio broadcaster asked the question which, I admit, ha

Controlli antidroga nelle scuole. E anche in Parlamento

di Fausto Carioti Bella idea, quella del ministro Livia Turco: portare i carabinieri dentro le scuole italiane, con tanto di cani antidroga al guinzaglio. Così bella che - senza alcuna ironia - viene voglia di estenderla: facciamolo anche nel Palazzo. Finora a caccia di droga in parlamento ci sono andate solo le Iene di Italia 1, e il risultato del loro test casereccio è che 16 onorevoli su 50 sono risultati reduci da uno spinello o da una sniffata di coca. Daniele Capezzone, che parla con cognizione di causa, dice che se entra un cane antidroga in Parlamento il naso della povera bestia va subito in tilt. Motivo in più per organizzare una carica dei 101 tra palazzo Madama, Montecitorio e palazzo Chigi. Se non altro per rispetto al principio, ormai demodé, che chi rappresenta il popolo debba essere il primo a dare il buon esempio. È vero che portare i segugi dei Nas a sniffare negli zainetti degli adolescenti - e già che ci siamo anche negli armadietti di professori e bidelli, che prome

Il vento del Nord

di Fausto Carioti Basta guardare la cartina d'Italia, i posti in cui si è votato e il colore delle bandierine che adesso ci sono piantate sopra, per capire che il sindaco di Venezia Massimo Cacciari, esponente della Margherita, fu facile profeta, a ottobre, quando avvisò senza giri di parole Romano Prodi e Piero Fassino: «Il centrosinistra con il Nord ha chiuso. Non riesce a comprendere la composizione sociale di queste regioni. Non ha interfaccia con le persone che qui vivono e lavorano». Gli elettori settentrionali hanno dato ragione a lui (e a Silvio Berlusconi) e torto a Romano Prodi e ai leader nazionali dell'Unione, che hanno ascoltato con aria insofferente gli allarmi che erano stati lanciati anche dal presidente del Friuli-Venezia Giulia Riccardo Illy, dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino e da altri amministratori settentrionali di sinistra. Risultato: per l'Ulivo il voto nella parte più dinamica e produttiva del Paese, quella che da sola produce il 54% della ri

Gli islamici in America e il terrorismo: il sondaggio Pew

E' appena stato pubblicato il voluminoso e accurato sondaggio del Pew Research Center di Washington sugli islamici negli Stati Uniti e i loro orientamenti in materia di democrazia, libertà e terrorismo. E' il primo lavoro del genere per completezza d'informazione. I dati che ne escono sono generalmente migliori di quelli che emergono da analoghi sondaggi condotti tra gli islamici residenti nei Paesi europei (qui materiale sulla Gran Bretagna e un sondaggio condotto in diversi Paesi occidentali dallo stesso Pew), a conferma del fatto che il modello d'integrazione statunitense è semplicemente migliore di quello europeo, che nelle sue diverse varianti nazionali tutto fa tranne che integrare. Ma il fatto che i risultati siano migliori non vuol dire che siano buoni. Il sondaggio stima in 2,35 milioni l'intera popolazione musulmana degli Stati Uniti, dei quali 1,5 milioni di età pari o superiore ai 18 anni. Due terzi di essi sono nati all'estero, soprattutto nei

Un update per Giorgio Bocca

Niente, non riescono a esorcizzarlo in alcun modo. E' il loro incubo personale. Li insegue persino quando al governo ci sono loro. E riesce a convincerli di essere sempre lui quello che comanda (in questo, per onestà, occorre dire che il governo di sinistra lo aiuta moltissimo). Editoriale odierno di Repubblica , a firma nientemeno che di Giorgio Bocca. Testuale: Di fatti antipolitici grandi e piccoli ce ne sorbiamo uno al giorno e ce li serve caldi caldi quel grande maestro dell'antipolitica che è Silvio Berlusconi, ultimo il trionfo del Milan Football Club ad Atene, il capo del governo , l'uomo che ha reinventato la destra italiana, che per molti italiani è il nostro piccolo De Gaulle che corre felice con figli e nipoti su un campo da gioco sollevando una coppa (...). Come non essere antipolitici se la politica è questa? Ora, sarebbe il caso che qualcuno a Repubblica prendesse Giorgio Bocca sottobraccio e, con la massima delicatezza possibile, ma anche in termini molto ch

La responsabilità è finita nell'immondizia

di Fausto Carioti Alla fine, la vera riforma della politica è quella fatta da Harry Truman, presidente degli Stati Uniti dal 1945 al 1953. Era una targhetta di legno (sei centimetri per trenta, fanno sapere i biografi) recante la scritta: «The buck stops here». Ovvero: «Tutte le responsabilità finiscono qui». In bella evidenza sulla scrivania dell'ufficio ovale, serviva a ricordare che chi è al vertice del comando ha anche il peso delle responsabilità: vietato fare scaricabarile. Una targhetta tipo quella di Truman è ciò che manca oggi in Italia. Prendiamo Antonio Bassolino. Potere, sotto il Vesuvio, ne ha avuto più di chiunque altro. È stato sindaco di Napoli dal 1993 al 1999. Dal 2000 è presidente della Regione, e per tre anni è stato anche commissario per i rifiuti. Lui, quindi, è l'uomo che ha le maggiori responsabilità politiche per l'immondezzaio partenopeo. Eppure in questi giorni va in giro a prendersela con gli altri amministratori locali campani, accusandoli di av

Un leader vero

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Uno pensa che certe decisioni spettino al presidente del Consiglio. Se non altro perché la Costituzione italiana, all'articolo 95, stabilisce che egli «dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile». Uno lo pensa, ma poi prende in mano Liberazione, organo ufficiale di Rifondazione Comunista, cioè di Fausto Bertinotti (che evidentemente non ha ancora perdonato al premier l'infelice uscita sul Parlamento dei giorni scorsi, cui si è aggiunta la comprensibile incavolatura per il vertice di domenica sera sul "tesoretto", al quale il Prc non è stato convocato), legge la prima pagina di oggi, in cui campeggia la frase «Giordano a Prodi, non decidi tu», nota che il presidente del Consiglio, cuor di leone, a replicare manco ci pensa, e allora il dubbio gli viene.

Un governo impresentabile, privo di rispetto per le istituzioni, nemico dei sindacati (ricorda qualcuno?)

di Fausto Carioti Alla fine, Romano Prodi ha trovato il modello cui ispirarsi: Silvio Berlusconi. Non quello che parla al Congresso degli Stati Uniti, e nemmeno quello che passeggia nella villa in Sardegna mano nella mano con le fanciulle o fa il galante con Mara Carfagna (per certe cose ci vuole faccia tosta, e la faccia di Prodi è di un altro tipo). Ma il Berlusconi dipinto dalla sinistra nei cinque anni in cui è stato al governo: scomposto, impresentabile, privo di rispetto per le istituzioni, incapace di risparmiarsi una gaffe dietro l'altra, portato allo scontro sociale. Proprio come fanno in questi giorni Prodi e i suoi ministri. Solo nelle ultime quarantott'ore il leader dell'Unione ha inanellato una doppietta che manco il Berlusconi più ruspante, quello del 1994, sarebbe riuscito a mettere a segno. È riuscito a fare incavolare sia il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, sia le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Che poi, a differenza di Berlusconi, lui

Festa mesta

di Fausto Carioti Compiere un anno e puzzare già di morto. È uno dei tanti primati del governo Prodi, che si va ad aggiungere a quelli già noti: numero record di ministri, viceministri e sottosegretari (102 in tutto, necessari per tenere a bada le mille anime contrapposte dell’Unione); innalzamento record della pressione fiscale (una vessazione inutile, tant’è vero che adesso hanno tra le mani un “tesoretto” che non sanno come usare); crollo record in ogni possibile sondaggio (16 punti di consenso persi in 13 mesi, rinfacciava ieri Daniele Capezzone ai suoi alleati); immobilismo da record in Parlamento, dove per paura di prendere schiaffi si è deciso a tavolino di lasciare il Senato disoccupato (117 ore in meno di lavoro a palazzo Madama rispetto alla precedente legislatura e solo 37 leggi approvate, contro le 72 di cinque anni fa). Oltre, s’intende, alle tante figure tristi rimediate in giro per il mondo in questi 365 giorni, dalla bocciatura della candidatura italiana ai campionati e

Piccole stroncature nella Cdl

A volte finiscono sul Web cose che probabilmente non avrebbero dovuto andarci. Qui, sul sito dei senatori di Forza Italia , si può accedere al Quaderno , che nella sua versione completa è una sorta di giornale quotidiano a uso e consumo dei vertici di Forza Italia. Quella che viene messa sul web è - ovviamente - una versione "light", priva di tutte quelle cose che è meglio non vengano lette da chiunque. Bene. Anzi, no: male (per loro). Perché nel numero del 16 maggio si trova un'articolo di quelli che di solito non appaiono. E' una pagella delle performance compiute dai presenti alla trasmissione Ballarò andata in onda la sera precedente. Chi ne esce peggio sono Maurizio Gasparri, di Alleanza Nazionale, e Michela Brambilla. Cioè un alleato, per di più assai vicino al Cavaliere, e la presidente dei Circoli della Libertà, delfina di Berlusconi. Il che la dice lunga. Leggere per credere . Copio e incollo il contenuto integrale dell'articolo. L'unica aggiunta è il

Faccia a faccia con Aznar. Che sbugiarda Prodi

di Fausto Carioti «Nada de nada. Mai fatta nessuna legge del genere. Come si dice in italiano? Niente di niente di niente». José María Aznar ha l’aria un po’ basita. Sono le nove e dieci del mattino e sta avendo una colazione privata in un albergo della capitale con Gianfranco Fini, il portavoce di An Andrea Ronchi e cinque giornalisti. Gli è stato appena detto che Romano Prodi lo sta usando come alibi per varare i Dico, il riconoscimento giuridico delle coppie etero e (soprattutto) omosessuali. Lo fa da mesi. Già in campagna elettorale Prodi disse: «La nostra linea non è quella di Zapatero, ma quella di Aznar. Il governo democristiano spagnolo fu il primo a introdurre una legge sulle unioni di fatto». Da allora, a sinistra, è diventato un ritornello. Enrico Boselli lo ripete tutti i giorni: «In Spagna è stato il governo conservatore di Aznar a fare la legge sulle unioni omosessuali, mica Zapatero». Seduto a un tavolo dell’Hotel de Russie, Aznar spalanca gli occhi. Pesa le parole: «Non

Esseri inferiori

Solita analisi lucida, serena e affatto razzista che spunta puntuale ogni volta in cui la sinistra è presa a ceffoni dagli elettori. Di solito la colpa è dell'elettorato incolto e rurale, che invece di leggere Eugenio Scalfari e guardare Rai Tre si ostina ad andare a messa. Stavolta però siamo in Sicilia, e così, oltre a essere incolti e rurali, sono anche omertosi e corrotti. Lo spiega Alberto Statera nell' editoriale su Repubblica: Dicono le ricerche politiche più recenti, come quella appena curata per "Il Mulino" dal sociologo Marco Maraffi, che l'idealtipo del Civis Nobilis, il cittadino-modello descritto nei libri di educazione civica, che ha veramente a cuore la cosa pubblica, è incarnato in Italia da non più di due cittadini su dieci. Dobbiamo allora ritenere, senza offesa, che in Sicilia, patria del voto di scambio fin da quando in Italia vigeva ancora soprattutto il voto di appartenenza rosso o bianco, la percentuale del Civis Nobilis scemi a favore del

C'è un enorme spazio vuoto. Qualcuno lo riempirà

E ora? Va bene, i Dico sono morti. Lo erano anche prima della manifestazione di piazza San Giovanni, figuriamoci adesso. Morti e sepolti, anche se a sinistra fingono che non sia così (ma gli imbarazzi dei Ds sono più eloquenti di mille commenti). Tutto qui, dunque? Qualche centinaia di migliaia di persone è scesa in piazza e tutto quello che ha ottenuto è la condanna a morte di un disegno di legge già defunto? No, il discorso è assai più complesso. Purtroppo per il centrosinistra. E purtroppo (anche) per il centrodestra. Il problema vero, quello che viaggiava sottotraccia da qualche tempo e che sabato è diventato di tutta evidenza, si chiama rappresentatività. Detta in estrema sintesi: esiste una fetta d'Italia sempre più ampia, la quale - anche grazie a due papi forti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI - ha preso piena coscienza della propria esistenza e di quello che può legittimamente pretendere dalla politica. Un'Italia che non è trendy come le attricette lesbo chic e n

The (Family) Day After (also included: difesa di Vauro)

Proviamo a evitare il giochino della conta di quanti stavano in piazza San Giovanni in questa e nelle manifestazioni precedenti organizzate dalla sinistra e dai sindacati, che sa tanto di gara infantile (e taroccata) a chi ce l'ha più lungo. Proviamo a stare ai fatti. Anche perché elementi certi, attorno al Family Day, ce ne sono tanti e sono importanti. Primo. Un milione, mezzo milione o duecentomila, cambia poco. Quello che conta è che sabato in piazza San Giovanni c'erano moltissime persone, tantissime in più del previsto. Ed erano in numero incommensurabilmente superiore a quelle presenti in piazza Navona per la manifestazione dell'"Orgoglio laico". Se esibizione di massa muscolare doveva essere, essa è avvenuta ed ha avuto pieno successo. Secondo. In piazza c'era un'Italia bellissima. Nonostante i compagnucci razzisti l'avessero paragonata a "un'orda di barbari", la manifestazione è stata pacifica e civilissima, composta nei toni e

Quelli che quando in piazza ci vanno loro è un momento di alta democrazia

Rigurgiti di odio antropologico sul Manifesto di oggi. Articolo a pagina 4. Occhio al linguaggio. Titolo: «Carica lombarda su Roma». Incipit: «Saranno numerosi come le cavallette . Quasi un'orda barbarica , i lombardi che caleranno su Roma per "difendere la famiglia tradizionale dal relativismo laicista imperante", saranno, secondo gli organizzatori, non meno di cinquantamila». Poche righe più in là: «E' il frutto avvelenato di una macchina organizzativa imponente che si è mobilitata fin dal giorno successivo all'idea della manifestazione». Infine: «La Cei utilizzerà parte dell'otto per mille versato dagli italiani alla chiesa cattolica per finanziare la manifestazione». Quest'ultima "notizia", assicurano gli organizzatori del Family Day, è assolutamente falsa (e ovviamente il quotidiano comunista si guarda bene dal dare non dico una prova, ma almeno un indizio, una traccia seppure vaga, di questo legame economico). Nel caso non si fosse capito,

Gente di facili costumi

di Fausto Carioti Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Nel dubbio su chi scegliere, la sinistra italiana va con tutti. Pasionarie socialiste e machos destrorsi, celoduristi padani e timidi professori di diritto costituzionale, parrocchiani devoti e anticlericali blasfemi: con ognuno di loro i leader dell'Unione riescono a trovare un motivo buono per fare un giro insieme. Insomma, stavolta non è la solita faccenda che dentro l'Unione convivono le voci più dissonanti, dal thatcheriano Daniele Capezzone agli adoratori di Fidel Castro. Questo è uno spettacolo nuovo: dagli schizzi di fango tra compagni si è passati alla schizofrenia clinica, dalle molte personalità si è arrivati alla personalità multipla. Tipo quella di Romano Prodi. Prima ha tirato la carretta per Ségolène Royal, la candidata socialista alle elezioni presidenziali francesi, tanto bella e determinata quanto politicamente inconsistente. Nei giorni cruciali della campagna elettorale lui le ha inviato un messaggio di a

Dopo lo champagne 2 (di Giovanni Orsina)

di Giovanni Orsina L’ascesa di Nicholas Sarkozy alla presidenza della Repubblica Francese dimostra una volta di più quanto la nostra sia un’epoca «di destra». Storicamente stiamo ancora vivendo nella stagione, apertasi circa un quarto di secolo fa, della reazione all’ondata progressista degli anni Sessanta e Settanta. Politicamente, i temi oggi in cima all’agenda sono quasi tutti tali da favorire un approccio in senso lato liberalconservatore alla sfera pubblica: innovazione economica e imprenditoriale, riduzione dei costi del welfare, controllo dei flussi migratori, sicurezza, terrorismo internazionale e scontro di civiltà, difesa del tessuto sociale. Non per caso, come pure le elezioni presidenziali francesi hanno mostrato, le forze di sinistra stanno oggi sempre più intensamente riflettendo sull’opportunità di spostarsi verso il centro, consapevoli di come i loro strumenti culturali siano spesso inadatti ad affrontare le necessità dell’ora. Allo stesso tempo, malgrado i tentativi di

Dopo lo champagne

Bene. Abbiamo bevuto ottimo champagne, ci siamo fatti un paio di giorni in un piacevole stato d'ebbrezza, abbiamo riso vedendo la sinistra italiana incapace di capire come mai le sue proposte facciano schifo anche ai francesi e ancora stamattina abbiamo goduto leggendo Rossana Rossanda incavolata con la Francia , che nel giro di un week end si è trasformata da patria dell'ideale giacobino in uno stato gemello del Vaticano (nientemeno). Ora, però, è giusto dirci le cose come stanno. E cioè che uno come Nicolas Sarkozy - pur con tutti i suoi difetti, e presto saremo costretti a contarli - qui ce lo scordiamo. E che la corsa degli esponenti della Cdl a dire «il Sarkozy italiano sono io», per quanto prevedibile, ce la saremmo risparmiata volentieri, tanto è goffo il risultato. Nel centrodestra italiano non si vede nessuno che abbia lo stesso coraggio di Sarkozy nel dire cose politicamente scorrette. Come il suo "no" all'entrata della Turchia nella Ue. O i giudizi, dur

Sarkozy, "la rupture"

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Bella, ciao. E' fatta. Frantumata Ségolène Royal, confermatasi alla prova dei fatti candidata di mediocre profilo, vittima anche lei delle solite formule vuote di una sinistra sempre più in cerca d'autore. Terza sconfitta consecutiva per la gauche alle elezioni presidenziali francesi. La più bruciante. Perché il trionfo di uno strano gollista atlantista come Nicolas Sarkozy, un "uomo nuovo" con una visione del mondo, una cultura e una strategia della politica antitetiche rispetto a quelle della sinistra continentale, fa senza dubbio più male della vittoria di un "tattico" cinico come Jacques Chirac. E poi perché la partecipazione al voto in questo secondo turno è stata altissima (registrata l'affluenza più elevata dal 1981, quando vinse per la prima volta il socialista François Mitterrand), e ora a sinistra non hanno nemmeno la scusa dell'astensionismo. Spuntare le unghie dei sindacati; ridurre il carico fiscale, ridimensionare lo Stato sociale e il

Allons enfants de la patrie

Prepariamoci ad assistere al consueto (ma non per questo meno divertente) kamasutra semantico e politico di chi, a sinistra, cercherà di spiegarci (e soprattutto di spiegare a se stesso) perché la Francia ha detto no al fantastico modello multiculturalista e socialista incarnato da madame Royal. Ultimi sondaggi prima del voto decisivo per l'Eliseo. Nel sondaggio commissionato da Le Monde ( splendido grafico interattivo ) Nicolas Sarkozy è al 53%, Ségolène Royal al 47% (rilevazione del 4 maggio). Secondo il sondaggio pubblicato da Le Figaro ( qui testo integrale ), Sarkozy è al 54,5%, la Royal al 45,5% (rilevazione del 3 maggio). Le prime proiezioni, a urne ancora aperte, confermano : Sarkozy è avanti di 6 punti. E l'affluenza ai seggi è da record. Post scriptum. Come si vede, in Francia, patria della democrazia progressista e di tutto il resto, i sondaggi vengono svolti e sono consultabili anche nell'imminenza del voto. Mica come in Italia, dove la legge liberticida varata

Uno serio

Romano Prodi, aula del Senato, 27 febbraio 2007, nel discorso con cui ha chiesto la fiducia alla Camera alta (dal resoconto sommario ufficiale ): «La casa ha assunto ancor più che nel passato un peso centrale nel determinare le condizioni di vita reali delle famiglie e richiede un ampio sforzo per affrontare sia le emergenze abitative in senso stretto che le difficoltà nel mercato degli affitti. Rilanceremo perciò l’offerta di edilizia residenziale pubblica, assieme a misure per allargare il mercato privato degli affitti, in particolare con una revisione degli incentivi fiscali. Il Governo inoltre proporrà una modifica del calcolo dell’ICI sulla prima casa, modifica che consentirà significative riduzioni in funzione del numero di componenti del nucleo familiare . (Applausi dai Gruppi Ulivo, RC-SE e IUVerdi-Com. Commenti dai Gruppi AN e FI)». Romano Prodi, ai microfoni di Radio Anch'io, oggi, 4 maggio 2007 (agenzia Mf-DowJones, qui e qui ): « Ci ho riflettuto moltissimo e non credo

Cuba, un primo maggio come un altro

Fidel Castro Ruz alla fine non si è visto , smentendo il suo amico boliviano, il guitto Evo Morales. E questo è un bene, perché vuol dire che la parabola del macellaio è davvero alla fine. Dopo di lui, però, potrebbe arrivare di peggio: suo fratello Rául politicamente e caratterialmente è assai più debole di lui, e proprio per questo potrebbe rivelarsi più pericoloso e crudele di Fidel. E questo ovviamente è un male. In assenza di novità sulla salute del dittatore, la notizia arriva dal Pen American Center , associazione americana di scrittori e giornalisti, che lunedì sera ha "consegnato" il suo premio per la libertà di espressione a Normando Hernández González , giornalista indipendente cubano di 33 anni. Consegnato: si fa per dire. Hernández González non ha potuto ritirare alcun premio. E' stato arrestato il 18 marzo 2003, assieme ad altri 74 giornalisti dell'isola, per aver criticato la politica del governo castrista. E' stato condannato a 25 anni e ovviam

I monopolisti della violenza politica

di Fausto Carioti È il caso di aggiornare i dizionari politici. Lo squadrismo non è più fascista. È comunista. Nel senso parlamentare della parola: le aggressioni politiche in Italia, piaccia o meno, sono compiute in modo ormai quasi esclusivo da gente che si identifica nei partiti di Fausto Bertinotti e Oliviero Diliberto. Per rendersene conto basta sfogliare le cronache degli ultimi tempi. Colpa di tante cose, ma anche della saldatura tra i "movimenti" dei centri sociali e i partiti ufficiali, consacrata dalla candidatura di molti esponenti no global in Parlamento e dall'intestazione di un'aula del Senato, assegnata a Rifondazione comunista, a Carlo Giuliani, ucciso durante il G8 di Genova - per legittima difesa - dal carabiniere che stava aggredendo. Scelte che hanno segnato anche la saldatura tra la violenza rossa e la politica di Palazzo. L'ultimo episodio è avvenuto il primo maggio a Roma, in piazza San Giovanni, durante il concerto organizzato dai sindacati

Do the right thing (ovvero: la regola dei comunisti)

In certi casi vale la "regola dei nanetti" codificata da Giovanni Sartori. Con una piccola modifica. Scriveva Sartori: «Io mi affido alla "regola dei nanetti": una riforma elettorale che piace a loro è sicuramente cattiva per il Paese». Dove i "nanetti", ovviamente, sono «partitini, partitucci e cespugliotti» di destra, centro e sinistra. Ecco, mutatis mutandis, in casi come questo forse è meglio affidarsi alla "regola dei comunisti": se Fausto Bertinotti lo ritiene «una minaccia per la democrazia», se la feccia dei suoi elettori, comprensibilmente gasata dall'aver visto un'aula del Senato intestata a uno di loro, assalta i banchetti dei referendari in piazza San Giovanni e fa scomparire i moduli con le firme già compilati, convinta (a buona ragione) di restare impunita, ci sono altissime probabilità che questo referendum sia una cosa buona e giusta, e che valga la pena di metterci una firma . Cosa che da queste parti è stata fatta il