Pillola antistupro, una scelta liberale

di Fausto Carioti
È evidente che chiunque abbia inventato l'espressione "castrazione chimica" se avesse fatto il pubblicitario sarebbe morto di fame sotto qualche ponte. Giustamente. Col nome che si ritrova, niente di strano che il trattamento proposto dai leghisti abbia una pessima fama. Quel sostantivo evoca immagini cruente in chiunque e produce un vero moto d'orrore nella metà maschile della popolazione. Gli esponenti del Carroccio, poi, ci mettono del loro, invocando, come già fatto da Roberto Calderoli, «un colpo di forbici, non necessariamente sterilizzate». Davanti a simili evocazioni è normale che la nostra brava coscienza di occidentali si chiuda nel rifiuto: nessuno, qualunque sia il peccato commesso, merita di finire dissanguato tra le lame arrugginite di Calderoli. Così, tra esuberanze leghiste e demagogia della sinistra, il confronto anche stavolta finirà come sempre, vale a dire in vacca. Ed è un peccato, perché dell'argomento varrebbe la pena di discutere in modo serio. Iniziando dal chiamare le cose col nome giusto: terapia farmacologica antagonista del testosterone. Fa tutto un altro effetto rispetto a castrazione chimica, ma si tratta esattamente della stessa cosa: niente grand guignol, nessuna mutilazione di Stato. Ma un farmaco che ha lo scopo di sopprimere il desiderio sessuale nei soggetti a rischio, che hanno alle spalle uno o più delitti di violenza carnale.
Resta la domanda: un simile trattamento medico, anche senza le cesoie, è comunque una barbarie o rientra nei confini della civiltà giuridica e dello Stato liberale? E se ci fosse modo di trasformarlo in un vantaggio concreto per il condannato, sotto forma di uno sconto di pena, è ancora scandaloso parlarne, come sostiene la sinistra, o è lecito che una società s'interroghi su come difendersi dagli individui più pericolosi, magari con il loro stesso consenso, per poi aiutarli a reinserirsi?
In molti Paesi di democrazia più antica della nostra la scelta è già stata fatta. Ultima la Francia, che grazie a una legge recente ha appena iniziato a sperimentare la terapia farmacologica su 48 stupratori recidivi, sottoposti volontariamente al trattamento. Tra due anni si tireranno le somme. In Danimarca e Svezia, Paesi che più politicamente corretti non si può, citati ad esempio dalla stessa sinistra italiana per il livello dei loro servizi sociali e via dicendo, sono state introdotte da tempo leggi in favore della terapia anti-testosterone. Così anche in Germania, Norvegia e in numerosi Stati degli Usa, dove talvolta le norme che regolano l’inibizione chimica del desiderio sessuale sono state varate su insistenza degli stessi condannati per stupro.
Perché poi, come in tutte le vicende sporche, anche in questa ci sono verità che fa comodo a tutti fingere di non vedere. E una di queste verità è che la castrazione chimica, in Italia, già esiste, si pratica da anni. Ma di nascosto, nelle tante zone grigie non coperte dalla legge, anche se magistrati e forze dell’ordine sanno benissimo i nomi di chi è sotto cura. Chi somministra i medicinali e controlla i soggetti in terapia, ovviamente, lo fa sapendo di rischiare. Tanto per fare nomi, il criminologo Francesco Bruno, docente universitario e ospite fisso in tante inchieste televisive su serial killer e dintorni, già qualche anno fa ebbe il coraggio di uscire allo scoperto: «Sono venti anni che faccio castrazione chimica, naturalmente a chi lo chiede, con buoni risultati». Bruno non è il solo, ce ne sono altri che, su richiesta dell’interessato, somministrano farmaci per rendere immuni dalle tentazioni i possibili stupratori.
Insomma, ci sono gli esempi degli altri Paesi e c’è una realtà che in Italia, per conto suo, si è già mossa in quella che appare essere una direzione sensata. Il legislatore, cioè la nostra classe politica, di destra e di sinistra, non dovrebbe fare altro che prendere atto di ciò che già avviene e inquadrarlo dentro regole certe. Ad esempio, se proprio ci ripugna la terapia coatta, lasciando al condannato per violenze sessuali la libertà di scegliere tra una lunga pena in carcere e una pena assai più mite, accompagnata però dall’obbligo di sottoporsi a una terapia farmacologica i cui risultati debbono essere controllati di continuo.
Di certo gli italiani apprezzerebbero che i loro parlamentari, oggi impegnati a scannarsi su argomenti lontani dai cittadini come il partito unico della maggioranza e le primarie dell’opposizione, aprissero il confronto su come farci tornare liberi di passeggiare nei parchi la sera, senza temere di finire vittime di uno stupro di gruppo. La cosa peggiore è proprio questo frastuono, che parte ogni volta che si segnala una violenza particolarmente aberrante, come quella appena commessa a Bologna. Un caos in cui tutti urlano e che nel giro di pochi giorni finisce, lasciando tutto rigorosamente come prima. Per ricominciare, tale e quale, con il prossimo caso di stupro.

© Libero. Pubblicato il 22 giugno 2005.

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