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Visualizzazione dei post da novembre, 2008

Il Wall Street Journal intervista Geert Wilders

Di Geert Wilders, 45 anni, olandese, presidente del Partito per la Libertà e autore di Fitna , ho scritto qui . Mentre i giornali italiani fanno a gara nell'ignorarlo (e quando ne parlano lo trattano come potete immaginare) il Wall Street Journal gli ha appena dedicato l'intervista più importante della settimana. Nella quale Wilders, politicamente scorretto com'è (è il motivo per cui qui lo si adora, e ci si guarda bene dal definire le sue uscite come "provocazioni", perché proprio non lo sono), tira fuori alcune di quelle banali verità che in Italia, ormai, dicono solo pochi leghisti. Cose tipo: We should wake up and tell ourselves: You're not a xenophobe, you're not a racist, you're not a crazy guy if you say, 'My culture is better than yours.' A culture based on Christianity, Judaism, humanism is better. Look at how we treat women, look at how we treat apostates, look at how we go with the separation of church and state. I can give you 500 e

Islam chiama Obama

La discussione sul gruppo di appartenenza degli autori degli attentati a Mumbai è del tutto inutile. Non ha senso chiedersi se appartengono o meno ad Al Qaeda, visto che quello di Al Qaeda di fatto è un franchising gratuito, un marchio di cui si può appropriare praticamente chiunque voglia compiere attentati in nome dell'Islam. Ciò che conta, invece, è l'appartenenza religiosa dei terroristi e il loro obiettivo: gli americani, gli inglesi, gli ebrei. Come ha detto il ministro degli Esteri israeliano, Tzipi Livni, «there is no doubt that the targets the terrorists singled out were Jewish, Israeli targets and targets identified with the West, Americans and Britons. Our world is under attack, it doesn't matter whether it happens in India or somewhere else. There are Islamic extremists who don't accept our existence or Western values». La strage è il benvenuto del terrorismo islamico al presidente eletto americano, Barack Obama. Vuol dire che i mujaheddin cacceranno i citt

Obama fa le prove da falco

Dunque, il nuovo segretario americano alla Difesa sarà quello vecchio. Cioè quello di George W. Bush. Cioè Robert Gates, l'uomo che ha gestito la strategia della seconda fase della guerra in Iraq e in Afghanistan. Favorevole all'installazione e allo sviluppo di nuovi sistemi d'arma, incluso quello scudo antimissile nell'est Europa che la Gazprom (pardon, la Russia) di Vladimir Putin e Dmitry Medvedev vede come una minaccia diretta. Di sicuro, non sarà Gates l'uomo dell'appeasement con il Cremlino. Abc News  ci scherza sopra: «Barack Obama's campaign credo: Change is good. President-elect Barack Obama's credo: When it comes to war and peace, maybe wisdom is better». Come segnale di discontinuità rispetto al passato, la conferma di Gates non è proprio il massimo. Sono i primi, piccoli mal di pancia che Obama sta procurando alla sinistra italiana. Ne seguiranno altri, più grossi. Per saperne di più: Gates agrees to stay on under Obama e  Russia poses chall

Il Pd a un passo dalla fine

di Fausto Carioti Il destino vuole che nelle stesse ore in cui nasce ufficialmente il partito unitario del centrodestra venga certificato lo stato di agonia del partito unitario di centrosinistra. La fusione di Forza Italia e An nel Popolo della libertà era prevista. Lì dentro, nel bene e nel male, le cose sono chiare: è Silvio Berlusconi che decide e, una volta che ha scelto, margini di incertezza non ce ne sono. Certo, i problemi non mancano, ma riguardano soprattutto i rapporti con la Lega, cioè con un alleato che sta diventando troppo forte e pretende di trattare alla pari, almeno nelle regioni del Nord. La decomposizione del partito democratico, invece, proprio non era messa in conto. Di sicuro non così presto (si aspettavano almeno le elezioni europee di giugno) e non così devastante. Ed è la vera novità di questi giorni. Smaltita la sbornia per la vittoria di Barack Obama, a largo del Nazareno, sede del condominio Pd, si è tornati a litigare sull’ingresso nel Partito socialista

Epifani torna sulla Terra

di Fausto Carioti La crisi economica? Sarà molto più dura del previsto. Il grande sciopero generale del 12 dicembre? Si può anche non fare. No, non è Giulio Tremonti. Per un giorno ( dies aureo signanda lapillo ) è toccato a Guglielmo Epifani usare il linguaggio del realismo. È presto per dire se la lunga serie di toppe inanellate dal segretario della Cgil, culminate nella rottura con Cisl e Uil, lo abbia indotto a una svolta, oppure se si tratti dell’ennesimo tatticismo destinato a durare poche ore. Ma di sicuro Epifani ieri è apparso molto meno bellicoso e intransigente dei giorni precedenti. Disponibile al dialogo, verrebbe da dire se si trattasse di un’altra persona. «Dalla ricognizione che stiamo facendo in queste ore esce una crisi ancora più pesante. Sta arrivando una valanga e c’è bisogno di un intervento di proporzioni molto forti», ha detto il sindacalista. Quanto al maxi-sciopero, ha assicurato che se il governo dovesse accogliere «il senso delle proposte» della Cgil, la sua

C'è grossa crisi. Chiamiamo l'Onu

di Fausto Carioti «C’è grossa crisi», diceva il santone in accappatoio bianco interpretato da Corrado Guzzanti. «C’è grande allarme e viva preoccupazione» hanno detto ieri i vertici dell’Associazione nazionale magistrati, il sindacato delle toghe. Anzi, l’hanno proprio scritto. E hanno inviato il loro grido di dolore all’unico indirizzo dove erano sicuri di essere presi sul serio: la sede delle Nazioni Unite. Tutto vero. Luca Palamara e Giuseppe Cascini, presidente e segretario dell’Anm, ieri hanno segnalato il “caso Italia” al relatore speciale per i diritti umani dell’Onu, l’argentino Leandro Despouy, invitandolo a venire nel nostro Paese per controllare «quanto sta accadendo» tra governo e magistrati. Non è la prima volta. Nel 2002, ad esempio (premier Silvio Berlusconi, ministro della Giustizia Roberto Castelli), il predecessore di Despouy, il malese Param Cumaraswamy, compilò una relazione nella quale, come ricordato ieri con orgoglio dall’Anm, «definiva fondati i timori per l’ind

Ma il problema di D'Alema non era la Forleo

di Fausto Carioti Poi dicono che i grandi accordi non sono più possibili, che la politica è diventata una guerra tra bande e altre cattiverie del genere. Ma quando mai: 543 sì, 90 astenuti e appena 43 voti contrari. Con un consenso che più bipartisan non si può (appena il 6 per cento di voti contrari, manco nella Russia di Vladimir Putin) ieri il Parlamento di Strasburgo ha confermato l’immunità di Massimo D’Alema, finito nel mirino dei magistrati milanesi per il ruolo che avrebbe ricoperto nella fallita scalata della Unipol alla Bnl. Tutti d’accordo, tutti garantisti, tutti felici: festeggia il diretto interessato, brindano i suoi compagni di partito, alzano i calici gli amici italiani del centrodestra e anche i tanti europarlamentari di altri Paesi e di ogni parte politica che lo hanno difeso. Gran parte dei quali manco sa che faccia abbia D’Alema e tantomeno perché la procura di Milano ce l’avesse con lui. Ma sa benissimo che in questi casi votare per l’immunità del collega è come f

Il Ground zero della sinistra

di Fausto Carioti Ministri di Romano Prodi che parlano male delle scelte di Romano Prodi. Presunti talenti della politica, portati alla ribalta da Walter Veltroni, che dicono peste e corna delle proposte del loro mentore. A ben guardare la casa delle libertà, quella vera, dove ognuno fa quello che gli pare, è il Partito democratico. L’ultima occasione è il nuovo libro di Francesco Delzio, top manager di Piaggio ed ex direttore dei Giovani di Confindustria. S’intitola " Politica ground zero ", lo ha appena stampato Rubbettino e costa 12 euro. Il precedente libro di Delzio, " Generazione Tuareg ", fu un piccolo caso editoriale citato da tanti, a destra come a sinistra (più di tutti ne parlò Gianfranco Fini), ed è normale che su questo nuovo saggio ci siano parecchie aspettative. Che non restano deluse. La tesi di Delzio è che si rischia, tempo qualche decennio, un mondo senza politica, almeno «nella sua forma più celebrata, la Democrazia. Troppo costosa, troppo ineffi

Solidarietà femminile interreligiosa

Lei si chiama Nagla Al-Imam. E' un'avvocatessa egiziana. Suggerisce ai giovani arabi di molestare sessualmente, in qualunque modo, ogni ragazza israeliana che incontrano. Come nuovo strumento di resistenza contro Israele. Dice anche che le ragazze israeliane importunate non hanno alcun diritto di reagire. Ovviamente, Al-Arabiya l'ha intervistata. Questo, grazie al Middle east media research institute , è il testo sbobinato dell'intervista: Interviewer : Egyptian lawyer Nagla Al-Imam has proposed that young Arab men should sexually harass Israeli girls wherever they may be and using any possible method, as a new means in the resistance against Israel. [...] Interviewer : We have with us the lawyer Nagla Al-Imam from Cairo. Welcome. What is the purpose of this proposal of yours? Nagla Al-Imam : This is a form of resistance. In my opinion, they are fair game for all Arabs, and there is nothing wrong with... Interviewer : On what grounds? Nagla Al-Imam : First of all, they

Perché Bush è meglio di Tremonti

Lo so che non va di moda citare George W. Bush. Nemmeno tra i repubblicani americani. Figuriamoci tra noialtri conservatorotti italiani. Però, quando il presidente americano uscente dice che History has shown that the greater threat to economic prosperity is not too little government involvement in the market, it is too much government involvement in the market . We saw this in the case of Fannie Mae and Freddie Mac . Because these firms were chartered by the U.S. Congress, many believed they were backed by the full faith and credit of the U. S. government. Investors put huge amounts of money into Fannie and Freddie, which they used to build up irresponsibly large portfolios of mortgage-backed securities. When the housing market declined, these securities, of course, plummeted in value. It took a taxpayer-funded rescue to keep Fannie and Freddie from collapsing in a way that would have devastated the global financial system. There is a clear lesson: Our aim should not be more governme

A un passo dalla crisi diplomatica con gli Usa

di Fausto Carioti Viene quasi da ridere a scriverla, per quanto appare paradossale. Ma siccome è la verità, tanto vale dire le cose come stanno. Silvio Berlusconi, in politica estera, in questi pochi mesi di governo è riuscito a fare quello che Palmiro Togliatti e i suoi successori alla guida del Pci hanno tentato, senza successo, per mezzo secolo: portare l’Italia nella sfera d’influenza del Cremlino e allontanarla dall’orbita americana. Oggi siamo il Paese occidentale più vicino alla Russia. Che non sarà più il cuore dell’Unione sovietica. Ma resta governata dai figli del Kgb, il servizio segreto del partito comunista. Questo, comunque, sarebbe il meno. La Russia, in fin dei conti, sembra quasi una democrazia e soprattutto ci vende il gas, senza il quale passeremmo l’inverno al freddo e a luci spente. I motivi per un buon matrimonio di convenienza, insomma, ci sarebbero pure. Il problema vero è l’altro: gli Stati Uniti d’America. Perché, se non si fosse ancora capito, siamo a un pass

L'autunno della Mortadella

di Fausto Carioti Ma chi glielo ha fatto fare? Perché i suoi amici non gliel’hanno impedito? E la signora Flavia, come mai non gli ha detto nulla, che le brave mogli dovrebbero servire proprio a evitare ai mariti certe figuracce senili e rancorose? I fratelli, che ne ha un’intera squadra di calcio, perché non gli hanno spiegato, in tono gentile e con caute perifrasi, che così diventa ridicolo? Insomma, Romano Prodi domenica sera torna a mostrare il suo faccione in televisione (Raitre, “Report”, ore 21.30: i masochisti prendano appunti) e la sua rentrée ha già il sapore di una tragedia umanitaria. È un classico caso da manuale di psichiatria geriatrica. Lui è andato in pensione, il lavoro e il potere gli mancano, nessuno lo cerca più, i colleghi di un tempo lo hanno dimenticato, i leccaculo che lo circondavano si dedicano ad altre terga. Sic transit gloria mundi. Poi vede che quello che ha preso il suo posto a palazzo Chigi, il nemico di sempre, tira dritto come un treno e macina consen

Il prezzo da pagare per non aver ucciso l'Udc

di Fausto Carioti In politica l’efficacia è tutto. Una delle poche regole dell’ambiente dice che, se non puoi ammazzare chi ti leva i voti, almeno prova a fartelo amico. Silvio Berlusconi a fare fuori l’Udc ci ha provato sul serio. Ci è anche andato molto vicino. Ma non ci è riuscito. Il progetto di cambiare la legge elettorale per le Europee, che introduceva una soglia di sbarramento al 5%, doveva servire proprio a spedire al parlamento di Strasburgo solo il Pdl e il Pd, e tutt’al più la Lega e l’Italia dei valori. Per il partito di Pier Ferdinando Casini sarebbe stata la mazzata finale. Inesistente al Senato, ininfluente alla Camera, se l’Unione di centro fosse stata estromessa pure dal parlamento europeo sarebbe diventata un partito-fantasma, tipo Rifondazione Comunista. Ma il presidente del consiglio aveva sopravvalutato la tenuta di Veltroni e dei suoi. Ai quali una simile legge elettorale sarebbe andata benissimo, ma non volevano metterci la faccia sopra. E siccome Berlusconi non

Il gusto democratico per la miseria genuina

Lo scienziato Roberto Defez, su Left Wing, fa doverosamente a pezzetti le balle che Vandana Shiva ha appena raccontato al salone del gusto di Torino, e che il servizietto pubblico d'informazione, tramite l'immancabile Tg3, ha provveduto a rilanciare in tutte le case. Avete presente la storia per cui «semi sterili ogm hanno causato in questi anni centomila suicidi tra i contadini indiani»? Ecco, quella roba lì. Una storia che non sta proprio in piedi. Dimenticavo: Vandana Shiva era uno dei "docenti" invitati alla scuola estiva del Pd. Defez, scienziato serio appartenente alla sinistra moderna, ovviamente no. Ma quant'è evoluto questo Pd.   Qui l'articolo di Defez .

Il nero Veltroni

di Fausto Carioti «I care. We can. They win». Difficile trovare per Walter Veltroni una sintesi migliore di quella che Edmondo Berselli gli ha dedicato nel suo ultimo libro. «I care» è lo slogan che Veltroni scelse nel 2000 per il congresso torinese dei Ds. Ideato oltre mezzo secolo fa dai movimenti “impegnati” americani, era già stato adottato da don Lorenzo Milani, anch’egli, a sua volta, oggetto dei plagi veltroniani. «We can», come sanno anche i sassi, è il grido di battaglia che ha portato Barack Obama a essere eletto presidente degli Stati Uniti: Veltroni s’è fregato pure questo. «They win», infine, è l’esito spietato di tutti questi scimmiottamenti: perché poi, anche nel mondo a tinte pastello di Walter, alla fine sono sempre gli altri che vincono. Persino questa storia dal finale triste, però, ha il suo lato divertente: come il coyote dei cartoni animati, Veltroni non si arrende mai, ogni puntata ha un nuovo entusiasmo che lo spinge a tirare avanti. Adesso è diventato il primo

Il verde Obama

" Rinnovabili e meno petrolio. Con Obama gli Usa si scoprono verdi ". Capito? Mandi un democratico alla casa Bianca e il mondo inizia ad andare ad energia solare. A leggere certe bischerate, sembra che il nuovo presidente americano sia un allievo di Alfonso Pecoraro Scanio. Dettaglio: la lotta di Barack Obama ai gas serra passa per l'energia nucleare e il carbone. Qui trovate il documento sull'energia del nuovo presidente statunitense . Al di là degli slogan, cosa dice? Ad esempio che a rinunciare al nucleare manco ci pensa, e che appena saranno introdotte norme più severe (dal punto di vista della sicurezza anti-terrorismo, più che di quella ambientale), si potrà addirittura aumentare l'apporto dell'energia atomica al fabbisogno americano («expansion of nuclear power»: servono traduzioni?). «Nuclear power represents more than 70 percent of our noncarbon generated electricity. It is unlikely that we can meet our aggressive climate goals if we eliminate nuclear

Another Planet

Visto da Roma, sembra un racconto di fantascienza. Ma è tutto vero. La democrazia americana è anche questo, soprattutto questo. Questo è John McCain che, appreso il verdetto delle urne, zittisce i suoi fan che fischiano e attaccano Barack Obama e dice di lui: «Era il mio rivale, adesso è il mio presidente». Meraviglioso. Questo, invece, è il discorso con cui George W. Bush ha reso onore al vincitore . Un assaggino, tanto per capire la differenza con i Walter Veltroni e i Silvio Berlusconi de noantri: «No matter how they cast their ballots, all Americans can be proud of the history that was made yesterday. Across the country, citizens voted in large numbers. They showed a watching world the vitality of America's democracy, and the strides we have made toward a more perfect union. They chose a President whose journey represents a triumph of the American story -- a testament to hard work, optimism, and faith in the enduring promise of our nation». Quanto al mio personalissimo parere s

Lezione americana

di Fausto Carioti Oggi, martedì 4 novembre 2008, a poche ore dal voto per la presidenza degli Stati Uniti, 59 milioni di italiani, bambini inclusi, sanno che il candidato democratico, Barack Obama, è accreditato di un vantaggio tra i 7 e gli 11 punti percentuali. Chi vuole andare più a fondo, e capire cosa accadrà nei sei-sette Stati in cui si deciderà la partita, deve solo scegliere se leggere su Internet i sondaggi Rasmussen o quelli di Mason-Dixon. Certo, anche oltreoceano i sondaggi spesso sbagliano di brutto, e molti istituti mostrano la tendenza a privilegiare uno dei candidati. Ma nessuno pensa che tutto ciò sia antidemocratico. In compenso oggi, martedì 4 novembre 2008, gli elettori italiani non sono liberi di sapere quanti, tra loro, intendono votare per il Popolo della libertà o per il Partito democratico. E guai a chi glielo dice. È proibito persino scrivere quali erano gli orientamenti degli elettori tre mesi fa, o l’anno scorso. Lo stabilisce la legge con cui, nel 2000, fu

Aspettando i servizi segreti deviati

di Fausto Carioti La sinistra ha un gran bisogno di trame eversive e squadristi di Stato, ed è convinta di averli trovati. La Roma delle manifestazioni studentesche è diventata la Genova del G8, piazza Navona è stata trasformata nella nuova caserma Diaz. Anche il linguaggio degli orfani del Pci è tornato ad essere quello dei tempi migliori: sono già stati evocati i celerini infiltrati e l’eversione nera. Mancano solo i servizi segreti deviati, ma presto spunteranno pure loro, nascosti dietro la fontana del Bernini. I tempi cambiano, i nomi dei partiti pure, ma da quelle parti è sempre la dietrologia a fare da padrona. La verità, e cioè che a piazza Navona studenti di destra e militanti di sinistra si sono pestati in mezzo ai manifestanti, è troppo semplice per essere accettata. Bisogna far passare l’idea che esista un “livello superiore”, occorre tirare fuori ogni giorno un “testimone chiave” capace di insinuare chissà quali verità destabilizzanti, come ha fatto ieri Repubblica sul suo

Maroni aveva fatto i conti senza i presidi

di Fausto Carioti Quando Roberto Maroni, due giorni fa, ha avvertito che «chi occupa abusivamente le scuole, impedendo ad altri di studiare, sarà denunciato», ha detto una cosa che in un “paese normale” (espressione con cui a sinistra amano riempirsi la bocca) manco si dovrebbe dire, tanto è banale. Il principio per cui la mia libertà finisce dove inizia la libertà altrui, e che il primo compito dello Stato è far rispettare questo confine, è l’essenza della democrazia liberale. Accusare il ministro dell’Interno di lanciare «minacce» fasciste, come stanno facendo la Cgil e tutta la sinistra, incluso il Pd, conferma il perdurante analfabetismo degli orfani del Pci in materia di libertà individuali. Tanto più che non c’è bisogno di scrivere nuove leggi o di slabbrare le norme già esistenti. È già tutto nel codice penale. Articolo 340: «Chiunque, fuori dei casi preveduti da particolari disposizioni di legge, cagiona un’interruzione o turba la regolarità di un ufficio o servizio pubblico o