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Visualizzazione dei post da gennaio, 2008

Kamasutra a sinistra

di Fausto Carioti Il kamasutra politico che la sinistra sta esibendo in piazza in questi giorni si spiega solo con la disperazione più nera. Prendiamo la Cei, la Conferenza dei vescovi italiani. Ogni volta che qualcuno dei suoi esponenti parla contro l’aborto, cioè parla di vita, argomento - comunque la si pensi - dalle profondissime implicazioni etiche, a sinistra iniziano a perdere bava dalla bocca. I prelati sono accusati di ingerenza nella politica italiana. Vengono trattati alla stregua di rappresentanti di uno stato estero: tutt’al più possono guardare, purché lo facciano in silenzio. Poi, però, succede che la stessa Cei, tramite il suo segretario generale, monsignor Giuseppe Betori, “esorti” tutti i soggetti della politica a non portare il Paese alle urne e a dar vita a un governone frutto di «un accordo tra le parti». Che poi è quello in cui spera la sinistra. Ora, qui non sono in ballo né l’etica religiosa né il diritto alla vita. Si tratta di decidere quando andare al voto e

Fiera del libro: appello contro il boicottaggio culturale ai danni di Israele

Questo è il testo dell'appello proposto da Libero contro l'ultimo, vergognoso boicottaggio culturale ai danni dello Stato d'Israele, stavolta in atto a Torino. Chi vuole firmarlo può farlo inviando il proprio nome e cognome a questo indirizzo email . I nomi dei firmatari saranno pubblicati su Libero. Da qualche settimana è in atto una campagna di boicottaggio della prossima Fiera del Libro di Torino (8-12 maggio 2008). La presenza dello Stato d’Israele come ospite d’onore, in occasione dei sessant’anni dalla sua fondazione, è stata strumentalmente interpretata come uno schiaffo alla causa palestinese. Parte degli scrittori arabi intende declinare l’invito degli organizzatori, per evitare il confronto coi colleghi israeliani. La protesta è stata subito supportata da associazioni italiane da sempre schierate contro. Esprimiamo solidarietà agli scrittori israeliani, e siamo spiacevolmente sorpresi dagli scrittori arabi incapaci di capire che la cultura è innanzi tutto confront

La farsa del governo dei migliori

di Fausto Carioti Siccome fantasticare a voce alta non costa nulla, in questi giorni politici e osservatori si sbizzarriscono a ipotizzare scenari surreali di due tipi, riconducibili sotto l’etichetta di “governo dei migliori”. Il primo tipo è la variante preferita dai cosiddetti “poteri forti” e da quella parte della sinistra che, pur di evitare il voto in primavera, sarebbe pronta a mandare persino Gianni Letta a palazzo Chigi. Un gruppo di “illuminati” (di norma personaggi che non vincerebbero un’elezione manco in un’assemblea condominiale, ma fa niente) prende nelle mani le redini del Paese, vara quella mezza dozzina di riforme ovvie e sagge (niente di complicato, basta trovare uno che sappia l’inglese: le hanno già scritte per noi l’Economist e il Financial Times), risolve il problema dei rifiuti in Campania, trasforma l’Italia nel paese occidentale con la più alta crescita economica e quindi, tra un annetto, riconsegna il Paese - ripulito, splendente ed efficiente - alla classe p

Par condicio

di Fausto Carioti Ora aspettiamo dalle Procure le trascrizioni delle telefonate, così le pubblichiamo per esteso. Vogliamo la registrazione dei colloqui: la mettiamo sul sito web di Libero, e magari troviamo un amico che ci monta sopra una bella canzoncina rap. Ci attendiamo che qualche magistrato, uno dei tanti in perenne stato d'allarme per la degenerazione della cosa pubblica, senta il bisogno di vederci chiaro. Infine, un bel servizio speciale del sempre inappuntabile Tg1, da mandare in onda in prima serata. Insomma, confidiamo nella stessa attenzione giudiziaria e mediatica che è toccata a Silvio Berlusconi quando è stato pizzicato a raccomandare (invano) quattro attricette al direttore di Rai Fiction, Agostino Saccà. Peccato che rimarremo delusi: essendo il protagonista di questa vicenda Romano Prodi, si può scommettere sin d’ora che nulla di questo accadrà. Eppure la storia merita. È la sera di mercoledì 23 gennaio. Già da qualche giorno Prodi sta facendo numeri da circo, ab

Prodi e la fiducia al Senato: è finita

E' finita: 161 voti contrari alla fiducia (ai quali bisogna aggiungere un astenuto), 156 favorevoli. Romano Prodi lascia una sinistra in macerie. Ridotta ai minimi storici dai sondaggi (e la figura rimediata oggi la penalizzerà ulteriormente). Dilaniata dalle faide tra gli ormai ex alleati. Divisa persino all'interno del suo partito più forte. Guidata da un uomo, Walter Veltroni, la cui leadership appare già compromessa. Anche il centrodestra ha i suoi bei problemi. Il fallimento clamoroso della sinistra al governo li maschera, ma di sicuro non li cancella. Ne parleremo nei prossimi giorni. Nunc est bibendum.

Prodi e la fiducia al Senato: una mano di conti - 3 (L'ipotesi più favorevole a Prodi)

Come previsto, nelle ultime ore Romano Prodi ha fatto di tutto per riconquistare voti tra i senatori intenzionati a non votargli più la fiducia. Basterà a farlo uscire vincente dal verdetto che sarà emesso tra poche ore? Vediamo come potrebbe andare a finire. Non nella ipotesi più probabile, ma nella ipotesi più favorevole al premier. E fate attenzione, perché in queste ore, anche al Tg1, si cavalca ogni voce, anche la meno attendibile, pur di far credere che il governo la spunta. Atteniamoci invece alla fredda logica dei numeri. Il totale dei senatori è 322 (315 eletti + 7 senatori a vita). A questo numero occorre sottrarre il presidente Franco Marini, il senatore eletto all'estero Luigi Pallaro e il senatore a vita Sergio Pininfarina, i quali, per ragioni diverse, sicuramente non parteciperanno alla votazione. Ne restano 319. Di questi, voteranno sicuramente "no" alla fiducia i 156 senatori del centrodestra, due senatori su tre dell'Udeur (Clemente Mastella e Tommas

Prodi e la fiducia al Senato: una mano di conti - 2

Rispetto allo scenario base di ieri sera , nella giornata di oggi qualcosa è cambiato. E non in meglio per Romano Prodi. Il quale, se si recherà al Senato per chiedere la fiducia (la seduta è convocata alle ore 15 di giovedì, la votazione è prevista in serata) rischia ora di perdere con uno scarto notevole. Vediamo perché. Il "no" alla fiducia chiesta da Prodi dovrebbe arrivare dai 156 senatori del centrodestra (se saranno tutti presenti, come pare), ai quali è previsto che si aggiungano i tre senatori dell'Udeur (oggi hanno fatto sapere che voteranno "no"), l'ex rifondarolo Franco Turigliatto e - sono le novità di oggi - il senatore indipendente ex Margherita (ed ex An) Domenico Fisichella e due senatori del gruppo di Dini: lo stesso Lamberto e Giuseppe Scalera. Il totale fa nientemeno che 163. Voci insistenti hanno dato per probabile il rientro di uno dei senatori dell'Udeur (il nome è ininfluente) nelle file del centrosinistra, con conseguente voto in

Berlusconi pronto al grande slam

di Fausto Carioti La cozza Prodi resta attaccata allo scoglio di palazzo Chigi, ma con il mare a forza 12 non resisterà molto. Questione di giorni, forse di ore: se domani il voto al Senato finisce in parità , come indicavano ieri sera i bookmakers di palazzo Madama, la mozione di fiducia è bocciata e il governo è kaputt. Gianfranco Fini sembra essere uscito dalla macchina del tempo quando dice ai vecchi partiti della Cdl: «Andremo al voto tutti insieme come alleati e con Berlusconi candidato premier». Come se negli ultimi mesi nulla fosse accaduto. Né i fischi dei dirigenti di An a Sandro Bondi e Fabrizio Cicchitto, né lo strappo del Cavaliere che nel giardino di Arcore si è ricostruito una Cdl tutta sua e l’ha chiamata partito delle libertà, né gli stracci volati in pubblico nelle settimane seguenti (siamo alle «comiche finali», disse Fini quando il leader di Forza Italia iniziò a parlare di riforme elettorali con Walter Veltroni). L’Udc dà sempre l’impressione di tirarsela, ma i

Prodi e la fiducia al Senato: una mano di conti

Giovedì 24 gennaio, alle ore 15, il presidente del Consiglio si presenterà nell'aula del Senato. Terrà il suo concione surreale, tipo quello fatto oggi alla Camera, dirà che «tanto è stato fatto, ma molto resta ancora da fare», o qualcosa del genere, e quindi chiederà la fiducia ai senatori. Quante chance ha di sfangarla pure stavolta? Vediamo i numeri. I senatori sono 322 (315 eletti, 7 senatori a vita). Di questi, due non voteranno: il presidente Franco Marini, che per prassi non vota, e il senatore a vita Sergio Pininfarina, il quale è scontato che sarà assente per motivi di salute. Restano 320 senatori. Di questi, 156 fanno parte dello zoccolo duro del centrodestra (73 di Forza Italia, 37 di Alleanza nazionale, 20 dell'Udc, 12 della Lega Nord, 10 della Dc per le Autonomie, 3 della Destra, 1 - Sergio De Gregorio - degli Italiani nel mondo). A questi 156, secondo quanto è stato annunciato dagli stessi nelle ultime ore, dovrebbero aggiungersi Clemente Mastella più i suoi due s

Veltroni è pronto a uccidere la bozza Bianco

di Fausto Carioti Nel momento più delicato della legislatura, una persona sola ha il cerino in mano: Walter Veltroni. Glielo hanno messo Romano Prodi e Silvio Berlusconi, e non hanno alcuna intenzione di levarglielo. In questa settimana si capirà se il leader del Pd si brucia le mani o è in grado di gestire la situazione. Il presidente del consiglio ieri, da Bologna, gli ha dato carta bianca: «Il mio compito», ha detto Prodi, «è definire la linea di governo, non di partito. Il resto è una decisione degli organi operativi del partito». Tradotto, vuol dire che Prodi rinuncia, almeno formalmente, a difendere i “nanetti” del centrosinistra che puntellano il suo governo, e lascia Veltroni libero di inseguire le sue voglie di bipartitismo. Sia candidando il Pd da solo, senza alleati, come Walter ha detto di voler fare; sia tirando dritto su una riforma elettorale che dia al partito che vince le elezioni il controllo del parlamento. Al di là delle dichiarazioni ufficiali, infatti, la cosiddet

A proposito di qultura

«Chi glielo avesse detto, a Eufronio, che si sarebbe trovato dentro al Tg1, 2.500 anni fa!». Francesco Rutelli, ministro per i Beni Culturali, al Tg1 delle ore 20 del 18 gennaio 2008.

Scalfaro, quattordici anni dopo

In modo che ognuno possa farsi un'idea chiara di quanto fosse in buona fede, quattordici anni fa, Oscar Luigi Scalfaro, conviene leggere la sua intervista pubblicata oggi sul Corriere della Sera . Parlando dell'avviso di garanzia ricevuto (con preavviso a mezzo stampa) da Silvio Berlusconi nel novembre del 1994, durante il vertice Onu sulla criminalità internazionale che si teneva a Napoli, Scalfaro, all'epoca presidente della Repubblica, oggi dice: «L'avviso di garanzia che fu recapitato a Napoli, durante il vertice dell'Onu, arrivò con un tempismo singolare. Oggi come allora la domanda è dove fosse l'urgenza. E bisogna riconoscere che anche fatti come questi, uniti a certi atteggiamenti ultradifensivistici del Csm, contribuscono ad alimentare la sfiducia nei cittadini». Ecco, da uno che adesso dice simili cose con tanta tranquillità ti aspetteresti che le avesse dette anche all'epoca. E invece non solo non disse nulla di tutto questo - e se lo avesse fatto

I puffi del pensiero laico

Se il Vaticano fosse davvero come lo dipingono, si sceglierebbe nemici esattamente come loro. Ghibellini intolleranti. Timorosi del confronto delle idee. Fessi al punto da agire d'impulso e non calcolare l'esito delle loro azioni. Lettori frettolosi e confusi di cose più grandi di loro. Abituati a muoversi in gregge, seguendo stereotipi ammuffiti come le loro idee. Hanno appena ottenuto quello che volevano: Joseph Ratzinger (che qualunque cosa si pensi del papa è uno dei più importanti intellettuali contemporanei) è stato costretto a rinunciare a tenere il suo discorso all'università La Sapienza. Bravi. E ora? Ora chi esce dalla vicenda come vincitore è proprio il pontefice, al quale i puffi del laicismo, quelli che a parole difendono la società aperta, hanno messo il bavaglio. Chi ne esce a pezzi, ancora una volta, è l'immagine del pensiero laico, i cui portabandiera sono sempre più simili a un Francesco Caruso che a un Luigi Einaudi o un Norberto Bobbio. Se ne parl

Il Soros giusto al posto giusto

Qualcuno lo ricorderà. E' stato uno degli esempi di maggiore cialtroneria statistica degli ultimi anni. Ottobre 2006: quella che Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista, definì la «prestigiosa» rivista britannica Lancet, pubblicò uno studio dal quale risultava che tre anni di conflitto in Iraq avevano prodotto nientemeno che 650.000 morti. Che lo studio fosse basato su un metodo (induttivo) all'amatriciana lo si poteva intuire sin da quando fu presentato. E infatti alcuni organi d'informazione ( qui il Corriere della Sera ) lo presentarono ai loro lettori con qualche cautela. Lo stesso conteggio indipendente fatto dai pacifisti di Iraq Body Count , del resto, dava risultati del tutto diversi (ancora oggi la loro stima delle vittime oscilla tra le 80.500 e le 88.000 vittime). Ma per quasi tutti l'importante era non restare indietro nella gara a chi la sparava più grossa. Repubblica scrisse che, tutt'al più, l'indagine poteva avere «un margine di difet

Il caso Mark Steyn

di Fausto Carioti In Italia il suo nome è conosciuto solo tra gli addetti ai lavori. Ma nel mondo anglosassone Mark Steyn , nato in Canada 49 anni fa, è uno degli opinionisti più famosi. Il suo ultimo libro, “America Alone”, uscito alla fine del 2006, è stato a lungo tra i bestsellers d’Oltreoceano. Vive tra gli Stati Uniti, il Quebec e Londra. Scrive - con una prosa da invidia - per una lista interminabile di quotidiani e periodici conservatori, inclusi il New York Sun e la National Review, testate assai autorevoli. Appare spesso negli show televisivi e radiofonici, dove è capace di dire verità ruvidissime facendo divertire chi ascolta. Il New York Times (che sta sulla sponda politica opposta alla sua) lo ha definito «la penna più velenosa della destra», e per lui ovviamente è un signor complimento. Lo si trova tra i “top five” ogni volta che c’è da attribuire un premio al “Conservatore dell’anno” o alla memoria di Oriana Fallaci. Insomma, è un vero e proprio opinion-leader. Da qualch

I laici, la vita e l'aborto: ecco come la pensava Bobbio

Nulla di nuovo nelle righe che seguono. La cosa è nota a molti. Io stesso l'ho citata più volte. Però, in un momento in cui sembra che non si possa essere laici senza essere abortisti, e che si possa essere antiabortisti solo se si va a messa, si dicono le preghiere e si prende la comunione, forse può essere utile rileggere per intero l'intervista che Norberto Bobbio rilasciò nel maggio del 1981 a Giulio Nascimbeni, del Corriere della Sera. Perché non tutti i laici sono come Eugenio Scalfari. Anche se Scalfari, ovviamente, si permette di parlare a nome di tutti i laici: «Per quanto riguarda la legge sull'aborto», scrive, «i laici ritengono che essa tuteli la maternità consapevole e la libertà di scelta delle donne». Non risultasse irresistibilmente goffo, con questa sua presunzione e la volontà ostentata di ignorare laici assai più autorevoli di lui, come Bobbio e Pier Paolo Pasolini, ci sarebbe da incavolarsi. Ecco dunque, così come fu pubblicata all'epoca, l'inte

Castrazione chimica, primi passi (progressisti)

Ideuzza laburista e liberale, che qui si condivide: consentire ai detenuti incarcerati per stupro di sottoporsi a " castrazione chimica " in cambio della scarcerazione anticipata. In Gran Bretagna ci si prova, in modo peraltro molto perfettibile (soprattutto alla voce "controlli"). Le anime candide pronte a inalberarsi tengano presente che a) i detenuti scelgono volontariamente, non li obbliga nessuno; b) la castrazione chimica consiste nella somministrazione di un antagonista del testosterone che sopprime il desiderio sessuale. Smetti con la pillola e tutto torna come prima; c) la castrazione chimica volontaria già esiste. Anche in Italia. Tra qualche anno, anche la sinistra italiana arriverà alle conclusioni cui la sinistra inglese è arrivata adesso. Per chi vuole saperne di più, ne avevo scritto qui .

Immondizia, solidarietà e Nimby: piccola guida per la sinistra

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Rifondaroli e verdi sono i più assidui a invocare la solidarietà e l'Italia una e indivisibile. Sono sempre i primi a inveire, costituzione alla mano, ogni volta che qualcuno parla di federalismo. Poi, appena si tratta di fare qualcosa di davvero solidale in nome dell'interesse comune (a me il termovalorizzatore dei rifiuti, a te la centrale elettrica e a lui un'autostrada: ognuno di noi si prende un piccola rogna e alla fine stiamo meglio tutti), te li ritrovi in prima fila a cavalcare gli egoismi locali. E nemmeno hanno la buona fede di ammettere (o l'intelligenza di capire) che il principio del "Not in my back yard" che guida le loro azioni è la negazione assoluta di quella solidarietà e della indivisibilità dell'Italia con cui amano riempirsi la bocca. La prossima volta che qualcuno (ce ne sono anche a destra) cita il Nimby come modello di politica civile e democratica, sbattiamogli in faccia la munnezza napoletana: è la preview di quello che diventere

Aborto e luoghi comuni

Il bello di questo paese è che riesce a mandare subito in vacca ogni argomento, anche quello con le più profonde implicazioni etiche e dai risvolti scientifici più complessi. Si banalizza tutto (e qui noi giornalisti, per quel poco che contiamo, abbiamo la nostra fetta di responsabilità) e si riduce ogni argomentazione a sillogismi elementari, che chiunque può raccogliere lungo i sentieri comodi già tracciati dalle ideologie. Tipico esempio di questo svacco dei neuroni è il dibattito sull'aborto. Il copione è stato recitato dozzine di volte. Qualcuno (da destra o da sinistra non ha importanza) propone di rivedere la legge 194, o il modo in cui essa è applicata. Almeno metà della sinistra reagisce indignata sostenendo che il malcapitato ha parlato sotto dettatura del Vaticano. Il quale ovviamente viene accusato di ingerenza nei confronti dello stato italiano (attendo invano da anni che qualcuno spieghi perché l'Arcigay può - giustamente - chiedere ai parlamentari di comportarsi