L'Ocse, la ripresa e le cose da fare: quello che la sinistra non dice

di Fausto Carioti
«The recession ended in the spring of 2005», la recessione italiana è finita nella primavera del 2005. Sospiro di sollievo. Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti possono stappare quella bottiglia che tenevano in frigo dal 2001: l’economia nazionale volge al bello. A sancirlo - pochi giorni dopo la diagnosi da malato terminale tracciata dall’Economist - è arrivato, da Parigi, il rapporto dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, seguito dal giudizio del capo economista dell’Ocse, il quale presentando il documento si è detto convinto che, per il nostro Paese, «il peggio sia alle spalle» e che il rilancio sarà «notevole». Ad aumentare l’ottimismo, il fatto che l’Ocse preveda finalmente «una prolungata fase di espansione» dell’economia mondiale, che interesserà anche la «convalescente» Europa, soprattutto se la Banca centrale europea resisterà alla tentazione di alzare il costo del denaro.
Resta da capire se la ripresa in arrivo dalle nostre parti farà sentire i suoi primi effetti già al momento del voto delle elezioni politiche. La risposta, salvo novità al momento non prevedibili è: sì, ma assai poco. Certamente meno di quanto vorrebbero Berlusconi e i suoi consiglieri, convinti - in gran parte a ragione - che tanti elettori vadano alle urne “con le tasche”, ovvero scegliendo chi votare soprattutto in base a ciò che pensano della propria situazione economica: se è buona, confermano il governo uscente; se non lo è, lo spediscono a casa. I motivi per sperare, però, nel centrodestra non mancano, e lo confermano i mal di pancia che il rapporto dell’Ocse ha diffuso ieri tra gli esponenti dell’opposizione.
Anche perché, nel giudizio finalmente positivo dato dall’Ocse all’economia italiana, la firma del governo c’è tutta. Nel bene come nel male. Nel bene, perché vi si legge che la domanda interna, cioè i consumi delle famiglie italiane e gli investimenti delle imprese, sono stati stimolati «dall’aumento dell’occupazione, dal calo dell’inflazione, dall’alleggerimento fiscale e da condizioni monetarie favorevoli», cioè da fattori sui quali le politiche di governo hanno un peso decisivo. E se è vero che le esportazioni hanno potuto giovarsi del deprezzamento dell’euro e della ripresa economica che in altri Paesi d’Europa è già partita, è vero anche che pure le importazioni stanno crescendo a buon ritmo.
Lo zampino del governo si vede anche nelle cose che non vanno. Solo che la terapia auspicata dall’Ocse è il contrario di quella indicata dalla sinistra. Innanzitutto «la crescita dei salari reali deve essere meglio allineata alla produttività». È una tirata d’orecchi: vuol dire che gli stipendi sono cresciuti troppo, mentre la produttività dei lavoratori italiani è aumentata poco. Il riferimento ai dipendenti pubblici è stato messo nero su bianco: hanno ricevuto «premi particolarmente generosi». Allo stesso tempo, «la spesa pubblica deve essere ridotta quanto basta per abbassare il cuneo fiscale e tornare a un avanzo primario», cioè a portare i conti in attivo al netto della spesa per gli interessi del debito pubblico. Il settore dei servizi, infine, «deve essere aperto alla concorrenza per aumentarne la produttività». Insomma, bisogna frenare gli aumenti salariali, tagliare la spesa pubblica, ridurre le tasse e liberalizzare i servizi. Quattro punti che proprio non fanno parte del Dna della sinistra italiana. Scetticismo, infine, sulla volontà politica dell’esecutivo di mantenere il dovuto rigore nel 2006, poiché «tradizionalmente, prima delle elezioni, previste per aprile, le spese tendono ad aumentare», e questo è valido in ogni democrazia del pianeta.
Previsioni Ocse alla mano, nel 2005 l’economia italiana crescerà dello 0,2%, nel 2006 dell’1,1% e nel 2007 dell’1,5%. Un decollo lento, che ci colloca negli ultimi posti della graduatoria europea ed è dovuto soprattutto all’aumento delle quotazioni del petrolio. Il rincaro del greggio, infatti, in Italia influenza l’economia più di quanto avvenga negli altri Paesi europei, vista l’alta dipendenza italiana dal petrolio e dal gas (il cui prezzo è legato a quello del greggio) nella produzione di energia elettrica. Non è un caso se, dopo il ministro delle Attività Produttive Claudio Scajola, ieri sia stato il presidente del Gestore del sistema elettrico, Carlo Andrea Bollino, a battere sul tasto del ritorno al nucleare.
La sinistra si aggrappa ai numeri negativi del rapporto dell’Ocse, che ovviamente non mancano e riguardano soprattutto la tenuta dei conti pubblici. Quest’anno il disavanzo sarà superiore al 3% del Pil, arrivando attorno a quel 4,3% che il governo italiano ha concordato con Bruxelles. Nel 2006, però, invece di scendere al 3,8%, il disavanzo resterà al 4,2%, per aumentare al 4,8% nel 2007. Tutto questo, ovviamente, in assenza di interventi capaci di raddrizzare i conti. Insomma, l’Ocse avverte sin d’ora che, siccome la crescita economica sarà inferiore alle aspettative del governo, si dovrà fare una manovra correttiva per riportare i conti nei binari previsti. Quanto al debito pubblico, nel 2005, «per la prima volta in dieci anni», tornerà a crescere, arrivando al 110% del prodotto interno lordo (a fine 2004 il debito era pari al 105,8% del Pil). Occhio anche ai prezzi, che la ripresa economica e il caro petrolio probabilmente spingeranno in alto a partire dal 2006 (2,7% l’inflazione prevista), rallentando l’anno successivo (2,2%).
Per Maurizio Sella, presidente dell’Abi, l’associazione bancaria italiana, i dati di ieri «danno la sensazione che siamo sulla soglia della ripresa», mentre il sottosegretario al Welfare, Maurizio Sacconi, coglie la palla al balzo per chiedere di «non far regredire le riforme già in atto, come quella del lavoro, della scuola, della previdenza». A sinistra, come da copione, impazza il catastrofismo di chi rifiuta di vedere il segnale positivo della ripresa e si trincera dietro il peggioramento tendenziale dei conti pubblici (peraltro raddrizzabile, come detto) per descrivere un Paese «a rischio paralisi».

© Libero. Pubblicato il 30 novembre 2005.

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