Post

Visualizzazione dei post da aprile, 2010

Dal Dalemoni al Dalemini

di Fausto Carioti A Massimo D’Alema si è rimpicciolito il progetto. Dal Dalemoni di qualche anno fa l’ex premier è passato a un più modesto Dalemini. Dal grande inciucio bipolarista con Silvio Berlusconi, che doveva ridisegnare la seconda repubblica e trasformarla nella terza, all’inciucino centrista con Gianfranco Fini, magari Pier Ferdinando Casini, forse Francesco Rutelli, chissà Luca Cordero di Montezemolo. Un progettino piccino picciò, per di più con zero possibilità di andare in porto. Che non è digerito nemmeno da tre quarti del Pd. Svillaneggiato dall’Unità, il giornale che D’Alema aveva diretto dal 1988 al 1990: «Imbarchiamo dalla nostra parte qualsiasi essere respirante abbia da dire contro Berlusconi: che siano giornalisti di destra, o ex fascisti che hanno messo in piedi leggi violente contro l’immigrazione», ha scritto Francesco Piccolo. Ecco, tra questi «imbarcatori» da ieri c’è pure D’Alema. Il quale, intervistato dal Corriere, esaurite le premesse di rito («Fini non è l

Finisce male

di Fausto Carioti Su una cosa l’ultrà finiano Fabio Granata ha ragione da vendere: «Così finisce male». Perché ormai c’è più isteria nel PdL che sulla tangenziale di Roma nell’ora di punta, e basta un incidente, anche minimo, perché partano gli insulti e il Partito dell’Amore rischi di finire (in tutti i sensi) a manate in faccia. Gianfranco Fini ha moderato i toni rispetto a quelli usati durante la direzione che lo vide puntare il dito verso Silvio Berlusconi. Ma la sfiducia tra i due leader rimane intatta, anche perché restano le cause che l’hanno generata. Berlusconi non digerisce che Fini sia allo stesso tempo presidente della Camera - ruolo super partes per definizione - e capo di una corrente. Mentre Fini, nonostante le rassicurazioni del Cavaliere, continua a vedere la mano di Berlusconi dietro ogni attacco che gli lancia il Giornale (l’ultimo ieri, con la ripresa dal sito Dagospia della notizia degli appalti affidati dalla Rai alla società della suocera di Fini). Riassume bene

Bersani ci prova con Fini

di Fausto Carioti Da un lato c’è Gianfranco Fini. Il cui consigliere politico, Alessandro Campi, prospetta a Repubblica un governo tecnico che lavori all’«unico spazio di accordo possibile tra il centrosinistra e i finiani», ovvero «il cambio di questa legge elettorale». Dall’altro c’è Pier Luigi Bersani. Il segretario del Pd teorizza un «patto repubblicano» che «non escluda Fini» e si chiede: «Si può tornare a votare con questa legge elettorale?». Domanda retorica: certo che no, bisogna cambiarla. Campi apprezza e Fini pure. Così, adesso, c’è persino un programma per un governo alternativo a quello attuale. Quanto ai numeri in Parlamento necessari a sorreggerlo, la cosa è più complicata. Ma non impossibile, almeno sulla carta. Al momento la grande ammucchiata che va da Bersani a Fini e passa per tutti i centristi, incluso magari chi sta fuori come Luca Cordero di Montezemolo, è solo uno di quei “ragionamenti” con i quali ci si riempie la bocca nel Transatlantico di Montecitorio. Conti

Verso il voto anticipato

di Fausto Carioti Gianfranco Fini non lascia il PdL né la presidenza della Camera, e la sua pattuglia di fedelissimi ieri non ha voluto mettere ai voti un proprio documento. Può sembrare un gesto distensivo, in realtà è una dichiarazione di ostilità: i finiani rinunciano alla guerra aperta, ma solo perché si stanno preparando alla guerriglia. Il rischio della “vietnamizzazione” delle votazioni parlamentari, grande timore di Silvio Berlusconi, adesso è molto più concreto. I problemi della vigilia restano tutti insoluti: per il PdL, e quindi per la maggioranza e di conseguenza per il governo. E le tensioni sono diventate ancora più aspre dopo il durissimo faccia a faccia pubblico tra i due co-fondatori, dove è apparso evidente che Berlusconi, se avesse potuto, avrebbe cacciato via Fini, e non l’ha fatto solo per non consegnare a quest’ultimo l’aureola del martire. La rappacificazione sembra impossibile, se è vero che persino Gianni Letta ha smesso di crederci. Lecito ipotizzare il peggio

Clegg, ultimo peluche a sinistra

di Fausto Carioti Fa tenerezza che abbiano sempre un peluche di riserva, da abbracciare nel momento del bisogno. Adesso tocca a Nick Clegg, leader dei liberaldemocratici inglesi. Ma in principio fu Bill Clinton. Era il 1996, l’Ulivo italiano era appena nato e quelli che lo avevano fatto già sognavano l’Ulivo mondiale. A guidarlo, ovviamente, sarebbe stato il nuovo Kennedy, da poco insediato alla Casa Bianca. Il sogno iniziò ad ammosciarsi mentre Monica Lewinsky si alzava da sotto il tavolo dello Studio Ovale. La mazzata finale all’American Idol la dette lo stesso Clinton, entrando in guerra contro la Serbia. Massimo D’Alema e il suo governo erano con lui, ma metà della sinistra stava ancora lì, a cantare “Give peace a chance”, quando sopra le loro teste rombarono i B-52 a stelle e strisce. Erano segni premonitori. Avrebbero dovuto far capire alla sinistra italiana che era meglio accontentarsi di chi aveva in casa, senza farsi prendere da smanie esotiche, che non sai mai come vanno a fi

La marcia indietro e la minaccia

di Fausto Carioti Il succo del discorso è tutto lì, nelle parole dette ieri da Gianfranco Fini ai suoi affinché Silvio Berlusconi intendesse: «Non ho intenzione di togliere il disturbo né di stare zitto». Frase che contiene una marcia indietro e una minaccia. La marcia indietro è evidente: l’intenzione di «togliere il disturbo», creando gruppi parlamentari propri, autonomi dal PdL, Fini ce l’aveva eccome. L’aveva annunciata nel faccia a faccia con Berlusconi e iniziata a mettere in pratica nelle ore seguenti, telefonando ai “suoi” parlamentari. Che poi, in buona parte, ha scoperto essere passati armi e bagagli con il Cavaliere. Il voltafaccia del co-fondatore del PdL è ancora più lampante se si volge lo sguardo indietro di qualche mese. Nel congresso che sancì lo scioglimento di Alleanza nazionale Fini disse che il PdL «mai e poi mai dovrà pensarsi e organizzarsi secondo la degenerazione della democrazia che è la correntocrazia. Nessuno pensi di fare la corrente di An nel PdL». Altrime

Scienziati italiani contro la teoria del Global warming

di Fausto Carioti Prepariamoci agli strepiti. Sta per uscire in Italia (vivaiddio) un libro serio sul rapporto tra attività dell’uomo e temperatura del pianeta. Avete presente lo slogan per cui «I cambiamenti climatici sono tutta colpa dell’uomo», che poi è quello con cui Greenpeace chiede di intascare il nostro 5 per mille, insomma il tentativo di farci sentire in colpa per il semplice fatto di esistere e quindi di inquinare? Ecco, il libro in questione è proprio l’esatto contrario di questa roba qui. S’intitola “ No slogan. L’eco-ottimismo ai tempi del catastrofismo ”. Lo hanno scritto in tre. Due sono fior di scienziati: Teodoro Georgiadis, dell’Istituto di Biometeorologia del Cnr, e Luigi Mariani, esperto di Agrometeorologia dell’Università di Milano. La terza firma è quella di Mario Masi, giornalista esperto di tematiche ambientali. Lo pubblicano le edizioni Sangel. Il volume sarà presentato giovedì nella sede del Consiglio nazionale delle ricerche. Libero ha potuto leggerlo in an

Gianfranco, fine

di Fausto Carioti L’affondo di Gianfranco Fini non è giunto inaspettato. Silvio Berlusconi ne era al corrente da mercoledì sera. Era stato il finiano Italo Bocchino, vicepresidente dei deputati del PdL, all’ora di cena, ad avvertire gli uomini del Cavaliere. «Guardate che Fini fa sul serio. O Berlusconi dà il trenta per cento del partito a uomini di sua assoluta fiducia, oppure è pronto a fare gruppi parlamentari autonomi». Apprese le intenzioni dell’alleato-rivale, ieri mattina Berlusconi aveva lanciato il suo, di avvertimento, chiamando al telefono Ignazio La Russa e Gianni Alemanno. Ovvero due ex aennini non catalogabili né come berlusconiani puri né come finiani. Il messaggio era rivolto a loro affinché lo recapitassero a Fini: «Ricordate, io ho fatto il PdL in un giorno e ve l’ho detto dopo. E adesso, se voglio, lo disfo in mezza giornata senza dirvi nulla». Dietro queste parole già affiorava la solita tentazione di Berlusconi: usare l’arma atomica contro Fini e il centrosinistra,

Da Fini e Udc buoni segnali per Berlusconi

di Fausto Carioti Il massacro elettorale perpetrato ai danni della sinistra nei ballottaggi non è l’unica buona notizia incassata ieri da Silvio Berlusconi. Altre piacevoli novità sono arrivate dalle sue due tradizionali spine nel fianco: l’Udc e Gianfranco Fini hanno capito che le elezioni le ha vinte lui (se non da solo, poco ci manca) e gli mandano segnali di disponibilità. Che il partito di Pier Ferdinando Casini avrebbe cambiato atteggiamento era chiaro già due settimane fa, dopo il voto delle regionali. L’alleanza con il Pd, anche se sottoscritta a macchia di leopardo, si era rivelata un fallimento. L’appoggio a candidati come Mercedes Bresso aveva ottenuto il duplice risultato di irritare le gerarchie ecclesiastiche e di essere bocciato dagli elettori. Mentre la scelta pugliese di candidarsi in autonomia dai poli era servita a far vincere Nichi Vendola (anche lui, non proprio un beniamino delle gerarchie vaticane). Quel che è peggio, il Pd si è mostrato un alleato inaffidabile i

Le balle nucleari di Concita

di Fausto Carioti Il compagno Mao diceva che «chi non fa inchieste non ha diritto di parola». Il compagno Mao è stato dimenticato troppo in fretta dalla sinistra italiana. Lo conferma anche la disinvoltura con cui ieri, sull’Unità, la direttrice Concita De Gregorio si è messa a sparare dati sul nucleare . L’intento - sai che novità - era quello di crocifiggere Silvio Berlusconi, stavolta con l’accusa di essersi legato alla tecnologia atomica francese. Solo il ritorno al nucleare, scrive la De Gregorio, è in grado di risvegliare «reazioni collettive» degli italiani contro il governo. «Tocca a noi», è il nuovo grido di guerra. La direttrice dell’Unità ci tiene molto a fare i suoi raffrontini con gli Stati Uniti. Specie da quando sono governati da Barack Obama, l’uomo che ha rivoluzionato l’approccio politico a ogni possibile argomento (il giorno dopo la sua vittoria elettorale, l’Unità gli dedicò la fotografia della Terra vista dalla Luna e il titolo «Nuovo mondo»). Così ieri la De Grego

Solo Fini può salvare Bersani

di Fausto Carioti Il Cavaliere ha i suoi problemi con Umberto Bossi e non si fida sino in fondo di Giulio Tremonti. Per non parlare di quello che gli combina Gianfranco Fini, che è appena tornato a mettersi di traverso, stavolta sulla legge elettorale. Pier Luigi Bersani e il suo Pd, però, restano una garanzia: su di loro Silvio Berlusconi può sempre contare a occhi chiusi. Basta guardare questa storia delle riforme. Qui, delle due l’una: o l’opposizione si presenta con una proposta definita, e su di essa tratta con il centrodestra, ottenendo qualcosa e rinunciando a qualcos’altro, oppure va avanti in ordine sparso, limitandosi a dire «no» a ogni cosa che propongono governo e maggioranza. L’esito scontato, in questo secondo caso, è che Berlusconi finisca per fare come gli pare, giocandosi la partita con i soli Bossi e Fini, e non è che gli dispiaccia. Siamo ancora agli inizi, ma l’aria che tira è proprio questa. Starebbe a Bersani, leader del primo partito d’opposizione, trovare uno st

Contro il Nobel per la pace a Internet

di Fausto Carioti Premesso che quello per la Pace è il più ridicolo dei Nobel (lo hanno vinto il capo terrorista palestinese Yasser Arafat per quello che aveva fatto e Barack Obama per quello che non ha mai fatto, e tanto dovrebbe bastare), la smania giovanilista di assegnarlo a Internet, molto in voga in questi giorni, è l’ultima cavolata da mettere in conto al politicamente corretto. Come tale sta ottenendo un ampio consenso bipartisan. Ovviamente nessuno ha il coraggio di dichiararsi pubblicamente contrario. Si sa: Internet è giovane, Internet è il futuro, Internet è trendy e molto cool, e pazienza se chi lo dice sta al mouse e al touch-screen come l’uomo di Neanderthal stava alle posate da pesce. La candidatura ufficiale del Web al Nobel per la pace, lanciata in Italia dal mensile Wired, è sponsorizzata - tra gli altri - dal presidente della Camera Gianfranco Fini, da Giorgio Armani, da Umberto Veronesi e da parlamentari dei diversi gruppi. Nelle motivazioni della candidatura c’è m

Nel Pd è iniziata la fuga dal 2013

di Fausto Carioti Per capire cosa accade a sinistra di questi tempi tocca recuperare la summa filosofica del “furbetto” Stefano Ricucci, che non sarà il più fine degli analisti ma ha l'indubbio pregio della sintesi: «È facile fare i froci col culo degli altri». Perché due cose sono chiare nell'opposizione dal momento in cui si sono saputi i risultati delle regionali. La prima è che Pier Luigi Bersani è già bollito. Non solo nessuno pensa di farne il candidato premier del centrosinistra nel 2013 (cosa non troppo normale per il leader del principale partito d'opposizione), ma è anche chiaro a tutti, dalla figlia di Walter Veltroni in su, che come segretario del Pd ha già fallito. La seconda certezza - che ci riporta alla metafora evocativa di Ricucci - è che nessuno osa fare un passo avanti e dire: tocca a me, mi candido io. Al contrario: tutti criticano Bersani, in pubblico e in privato, ma al momento di arrivare al dunque si bloccano lì, sfoderando la frase di rito: «La lea