Silvio, fa' qualcosa per la destra
di Fausto Carioti
Che Silvio Berlusconi voglia iscrivere il suo nome sui libri di Storia come uno dei grandi d’Italia non è una novità. Di nuovo, come spiegato su Libero di domenica, c’è che, per riuscirci, in caso di sconfitta alle prossime elezioni conta di creare una fondazione con la quale costruire ospedali in giro per il Terzo mondo, seguendo l’esempio filantropico di tanti ex presidenti degli Stati Uniti. Ma se la sua scelta si limitasse a questo, Berlusconi dimostrerebbe un’enorme ingratitudine verso chi gli ha fatto vincere le elezioni del 1994 e del 2001: le idee. L’idea della supremazia dell’individuo sullo Stato, l’idea del libero mercato, l’idea della lealtà filoatlantica del Paese. Insomma, le idee della destra liberale.
Che la cultura di destra in Italia sia in stato comatoso lo conferma l’invidia con cui guarda alla sedicente cultura di sinistra, la quale ristagna dai tempi di Antonio Gramsci, tanto che si vede costretta a riesumare salme dai cimiteri altrui (di volta in volta Luigi Sturzo, Karl Popper, Bettino Craxi) pur di mettere in fila qualche nome “nuovo”. Se per fare una citazione in inglese (i pochi che lo sanno) a sinistra non trovano niente di meglio del neo-luddista Jeremy Rifkin, vuol dire che sono messi davvero male. Solo a destra sono messi peggio.
Eppure negli Stati Uniti nessuno mette in dubbio che il pensiero politico dominante, oggi, sia a favore del libero mercato, della riduzione delle imposte e di una forte difesa nazionale. Tutti temi sui quali in Italia manca una decente riflessione laica e liberale. La colpa è di chi quelle idee ha i soldi per finanziarle e non lo fa. Berlusconi a tutt’oggi è il principale editore della sinistra italiana. Dalle sue tipografie, per dirne alcuni, sono usciti i libri anti-americani di Michael Moore e quelli anti-globalizzazione di Jeremy Rifkin e Joseph Stiglitz (oltre al libro di Massimo D’Alema, nettamente il più a destra del quartetto). Le sue televisioni tutto sono tranne che uno strumento di diffusione delle idee liberali. Intendiamoci: Berlusconi fa benissimo a produrre qualunque cosa gli garantisca almeno un euro di guadagno. Ma fa male a non reinvestire una quota dei suoi profitti nella diffusione delle idee che gli sono care.
Gli esempi non mancano. Iniziando da colei che il premier indica come uno dei suoi punti di riferimento: dal 1991 la Margaret Thatcher Foundation si batte per «promuovere la più ampia diffusione della democrazia, del mercato, della supremazia della legge e di una forte difesa nazionale». Vuole imitare i ricchi conservatori americani? Non ha che l’imbarazzo della scelta. Joseph Coors, uno dei più grandi produttori di birra, nel 1973 finanziò la nascita della Heritage Foundation, il pensatoio che sette anni dopo consegnò a Ronald Reagan, appena arrivato alla Casa Bianca, una bozza di programma di governo: delle 2.000 proposte contenute, quasi due terzi furono adottate dall’amministrazione Reagan. John Merrill Olin, industriale della chimica, tramite la fondazione che porta il suo nome ha finanziato tutti i principali pensatori e “pensatoi” conservatori. Grazie ai suoi soldi nomi come Samuel Huntington e Michael Novak e istituzioni come il neo-con American Enterprise Institute e il libertarian Cato Institute hanno potuto trasmettere le loro idee a milioni di americani (e non solo).
Sinora, Berlusconi non ha dato alcun segnale di voler fare qualcosa di simile. Vale la pena di ripetergli l’invito già fattogli dalla rivista Ideazione, a firma di Christian Rocca: «Perché non tenta di rivoluzionare il nostro Paese fin dalle fondamenta, specie ora che s’è accorto che da solo non ce la può fare e che nella stanza dei bottoni i bottoni non ci sono? Perché non comincia a finanziare think tank seri?». Gli ospedali per il Terzo mondo sono una cosa bellissima, ma se Berlusconi non vuole che i libri di storia che parleranno di lui siano solo quelli scritti dai «soliti comunisti», deve prima sconfiggerli sul piano culturale. Mano al portafogli, quindi.
© Libero. Pubblicato il 20 settembre 2005 col titolo "Macché ospedali, Silvio faccia l'editore di destra".
Che Silvio Berlusconi voglia iscrivere il suo nome sui libri di Storia come uno dei grandi d’Italia non è una novità. Di nuovo, come spiegato su Libero di domenica, c’è che, per riuscirci, in caso di sconfitta alle prossime elezioni conta di creare una fondazione con la quale costruire ospedali in giro per il Terzo mondo, seguendo l’esempio filantropico di tanti ex presidenti degli Stati Uniti. Ma se la sua scelta si limitasse a questo, Berlusconi dimostrerebbe un’enorme ingratitudine verso chi gli ha fatto vincere le elezioni del 1994 e del 2001: le idee. L’idea della supremazia dell’individuo sullo Stato, l’idea del libero mercato, l’idea della lealtà filoatlantica del Paese. Insomma, le idee della destra liberale.
Che la cultura di destra in Italia sia in stato comatoso lo conferma l’invidia con cui guarda alla sedicente cultura di sinistra, la quale ristagna dai tempi di Antonio Gramsci, tanto che si vede costretta a riesumare salme dai cimiteri altrui (di volta in volta Luigi Sturzo, Karl Popper, Bettino Craxi) pur di mettere in fila qualche nome “nuovo”. Se per fare una citazione in inglese (i pochi che lo sanno) a sinistra non trovano niente di meglio del neo-luddista Jeremy Rifkin, vuol dire che sono messi davvero male. Solo a destra sono messi peggio.
Eppure negli Stati Uniti nessuno mette in dubbio che il pensiero politico dominante, oggi, sia a favore del libero mercato, della riduzione delle imposte e di una forte difesa nazionale. Tutti temi sui quali in Italia manca una decente riflessione laica e liberale. La colpa è di chi quelle idee ha i soldi per finanziarle e non lo fa. Berlusconi a tutt’oggi è il principale editore della sinistra italiana. Dalle sue tipografie, per dirne alcuni, sono usciti i libri anti-americani di Michael Moore e quelli anti-globalizzazione di Jeremy Rifkin e Joseph Stiglitz (oltre al libro di Massimo D’Alema, nettamente il più a destra del quartetto). Le sue televisioni tutto sono tranne che uno strumento di diffusione delle idee liberali. Intendiamoci: Berlusconi fa benissimo a produrre qualunque cosa gli garantisca almeno un euro di guadagno. Ma fa male a non reinvestire una quota dei suoi profitti nella diffusione delle idee che gli sono care.
Gli esempi non mancano. Iniziando da colei che il premier indica come uno dei suoi punti di riferimento: dal 1991 la Margaret Thatcher Foundation si batte per «promuovere la più ampia diffusione della democrazia, del mercato, della supremazia della legge e di una forte difesa nazionale». Vuole imitare i ricchi conservatori americani? Non ha che l’imbarazzo della scelta. Joseph Coors, uno dei più grandi produttori di birra, nel 1973 finanziò la nascita della Heritage Foundation, il pensatoio che sette anni dopo consegnò a Ronald Reagan, appena arrivato alla Casa Bianca, una bozza di programma di governo: delle 2.000 proposte contenute, quasi due terzi furono adottate dall’amministrazione Reagan. John Merrill Olin, industriale della chimica, tramite la fondazione che porta il suo nome ha finanziato tutti i principali pensatori e “pensatoi” conservatori. Grazie ai suoi soldi nomi come Samuel Huntington e Michael Novak e istituzioni come il neo-con American Enterprise Institute e il libertarian Cato Institute hanno potuto trasmettere le loro idee a milioni di americani (e non solo).
Sinora, Berlusconi non ha dato alcun segnale di voler fare qualcosa di simile. Vale la pena di ripetergli l’invito già fattogli dalla rivista Ideazione, a firma di Christian Rocca: «Perché non tenta di rivoluzionare il nostro Paese fin dalle fondamenta, specie ora che s’è accorto che da solo non ce la può fare e che nella stanza dei bottoni i bottoni non ci sono? Perché non comincia a finanziare think tank seri?». Gli ospedali per il Terzo mondo sono una cosa bellissima, ma se Berlusconi non vuole che i libri di storia che parleranno di lui siano solo quelli scritti dai «soliti comunisti», deve prima sconfiggerli sul piano culturale. Mano al portafogli, quindi.
© Libero. Pubblicato il 20 settembre 2005 col titolo "Macché ospedali, Silvio faccia l'editore di destra".