Due o tre cose che so su Siniscalco, la sinistra e i poteri forti
di Fausto Carioti
Più che un ministro della Repubblica, un ministro di “Repubblica”. Domenico Siniscalco, il tecnico che ogni settimana minacciava le dimissioni e rivendicava il suo non essere un politico come un sigillo di verginità, se ne è andato dal governo allo stesso modo con cui vi era entrato e vissuto: come un corpo estraneo. Assai più vicino alla sinistra dei poteri forti e ai poteri forti stessi che non al centrodestra e a Silvio Berlusconi. Emblematico il filmato dell’addio: consumata la rottura con il presidente del Consiglio, nella tarda serata di mercoledì l’ormai ex ministro dell’ Economia prende il telefonino, compone il numero di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, e gli annuncia le proprie dimissioni dall’esecutivo, spifferandogli per filo e per segno il contenuto della lettera di congedo lasciata al premier e del suo colloquio definitivo con Gianni Letta e Gianfranco Fini. Quel suo «sono scandalizzato per l’immobilismo del governo» nei confronti del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che oggi ritroveremo su tutti i principali quotidiani del mondo. La sua contrarietà a una «Finanziaria elettorale». Un gesto, quello delle dimissioni dinanzi al direttore del quotidiano di Carlo De Benedetti, che per il premier è stato l’insulto dopo lo schiaffo.
Questione di indole, questione di curriculum e, come sempre, questione di amicizie. Classe 1954, sposato, con due figli, Siniscalco appartiene alla covata dei Reviglio Boys, i collaboratori scelti dell’allora ministro delle Finanze Franco Reviglio (dall’agosto del 1979 al giugno del 1981), il cui fulcro era un terzetto composto anche da Giulio Tremonti e Alberto Meomartini. Ma soprattutto, come i suoi detrattori non mancano di far notare, Siniscalco appartiene al partito torinese, dove Torino sta, ovviamente, per Fiat e la sua “controllata” romana, Confindustria. Un legame consolidato nel tempo e confermato anche dall’incarico, ricoperto in passato, di consulente economico ed editorialista del Sole-24 Ore, il quotidiano di viale dell’Astronomia.
Gli aneddoti sulla “torinesità” di Siniscalco si sprecano. Come quello ambientato in una cena del giugno scorso, alla presenza dello stesso Berlusconi e di tutto lo stato maggiore di Forza Italia. Erano i giorni in cui si preparava il Dpef (documento di programmazione economico-finanziaria) e si discuteva del possibile anticipo di un taglio dell’Irap, calibrato sulla riduzione del costo del lavoro. «A dirla tutta, le piccole e medie imprese se ne fanno poco di un provvedimento simile», obiettò a Siniscalco uno dei presenti, sotto gli occhi attenti del premier. «Lo so, ma per la Fiat un simile provvedimento significa molto», fu la replica del ministro dell’Economia. Voce dal sen fuggita, alla quale seguì un rapido scambio di occhiate tra gli altri commensali, un messaggio in codice per dirsi: «Hai capito per chi lavora questo...». “Torinese” di ferro anche durante la preparazione della Finanziaria 2005, quando il ministro frenava sul varo del secondo modulo della riduzione dell’Irpef, sostenendo che non vi erano abbastanza soldi, e che quei pochi che c’erano dovevano essere destinati alle agevolazioni per le imprese (soprattutto grandi, va da sé). Siniscalco fu costretto a cedere durante un teso confronto con gli economisti di Forza Italia, sempre alla presenza del Cavaliere.
Nella maggioranza, nessuno gli ha perdonato gli applausi con cui, a fine maggio, accolse la relazione annuale del presidente degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo. Siniscalco non esitò a definire «eccellente» quello che a tutti apparve come un duro atto di accusa nei confronti dell’esecutivo. Totale sintonia con Montezemolo anche negli ultimi mesi, durante i quali Siniscalco ha combattuto la battaglia alla quale Confindustria teneva di più, quella contro Fazio. Quindi nessuno si è stupito, ieri, quando la giunta degli industriali ha pianto il suo ministro preferito, confermandogli «stima e solidarietà» ed esprimendo, manco a dirlo, «grande preoccupazione» per le sue dimissioni, «che indeboliscono ulteriormente la credibilità del Paese».
Caro a Giuliano Amato, carissimo a Carlo Azeglio Ciampi, Siniscalco piaceva molto - e forse già da oggi ricomincerà a piacere - alla sinistra, sempre pronta a riaccogliere chi abbandona Berlusconi parlandone male. Del resto in via delle Botteghe Oscure pensarono a lui già nel 2001, quando c’era da trovare un uomo “d’area” gradito anche alla Fiat da candidare a sindaco di Torino. Poi l’incarico toccò a Valentino Castellani, ma il feeling con una certa sinistra non si è mai interrotto. Siniscalco, anche in questo ultimo anno passato da ministro , non ha smesso di far parte del comitato scientifico di Italianieuropei, la fondazione presieduta da Massimo D’Alema, che conta tra i suoi finanziatori, o “soci benemeriti”, bei nomi del capitalismo nostrano come Guidalberto Guidi, lo scomparso Gianni Agnelli, Francesco Micheli, Vittorio Merloni, Carlo De Benedetti e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Accanto a Siniscalco, nel comitato scientifico di Italianieuropei siedono tutti i migliori accademici di sinistra, teste d’uovo del calibro di Augusto Barbera, Massimo Cacciari, Nicola Rossi e Vincenzo Visco. Normale che D’Alema, un po’ scherzando e un po’ no, abbia commentato la sua nomina a ministro dicendo che «è il primo dei nostri che entra nel governo». E se è vero che la sinistra non gli ha risparmiato critiche in questi quattordici mesi, è vero anche che il trattamento riservato a lui è stato assai più morbido di quello che ricevette e riceverà da oggi Giulio Tremonti. A meno di voler considerare un insulto quel «ministro di peluche» con cui lo ha ribattezzato il responsabile economico dei Ds, Pierluigi Bersani.
Alla fine, Siniscalco ha ceduto al diktat emesso nei suoi confronti dal Corriere della Sera, che per la penna dell’economista Francesco Giavazzi, il 3 settembre, quando tutto faceva credere che il ministro avrebbe partecipato al vertice Ecofin del giorno 8 assieme all’odiato Fazio (che poi non si presentò), lo aveva scomunicato così: «Un accademico senza spina dorsale, prestato alla Casa delle Libertà per fare bella figura sui mercati». Ieri, a dimissioni avvenute, il reintegro ufficiale nei ranghi, a firma dello stesso Giavazzi: «Il ministro Siniscalco esce a testa alta, a lui va il rispetto di tutte le persone perbene».
Per tutti questi motivi Siniscalco - che ieri, caricata l’automobile con le mazze da golf, è tornato a Torino, dove ricomincerà a insegnare Economia politica all’università - lascia pochi rimpianti nella maggioranza. Di certo non ne lascia nessuno in Forza Italia, dove qualcuno più perfido degli altri ha brindato alla partenza della «cellula dormiente della sinistra».
© Libero. Pubblicato il 23 settembre 2005 col titolo "L'uomo della sinistra".
Più che un ministro della Repubblica, un ministro di “Repubblica”. Domenico Siniscalco, il tecnico che ogni settimana minacciava le dimissioni e rivendicava il suo non essere un politico come un sigillo di verginità, se ne è andato dal governo allo stesso modo con cui vi era entrato e vissuto: come un corpo estraneo. Assai più vicino alla sinistra dei poteri forti e ai poteri forti stessi che non al centrodestra e a Silvio Berlusconi. Emblematico il filmato dell’addio: consumata la rottura con il presidente del Consiglio, nella tarda serata di mercoledì l’ormai ex ministro dell’ Economia prende il telefonino, compone il numero di Ezio Mauro, direttore di Repubblica, e gli annuncia le proprie dimissioni dall’esecutivo, spifferandogli per filo e per segno il contenuto della lettera di congedo lasciata al premier e del suo colloquio definitivo con Gianni Letta e Gianfranco Fini. Quel suo «sono scandalizzato per l’immobilismo del governo» nei confronti del governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, che oggi ritroveremo su tutti i principali quotidiani del mondo. La sua contrarietà a una «Finanziaria elettorale». Un gesto, quello delle dimissioni dinanzi al direttore del quotidiano di Carlo De Benedetti, che per il premier è stato l’insulto dopo lo schiaffo.
Questione di indole, questione di curriculum e, come sempre, questione di amicizie. Classe 1954, sposato, con due figli, Siniscalco appartiene alla covata dei Reviglio Boys, i collaboratori scelti dell’allora ministro delle Finanze Franco Reviglio (dall’agosto del 1979 al giugno del 1981), il cui fulcro era un terzetto composto anche da Giulio Tremonti e Alberto Meomartini. Ma soprattutto, come i suoi detrattori non mancano di far notare, Siniscalco appartiene al partito torinese, dove Torino sta, ovviamente, per Fiat e la sua “controllata” romana, Confindustria. Un legame consolidato nel tempo e confermato anche dall’incarico, ricoperto in passato, di consulente economico ed editorialista del Sole-24 Ore, il quotidiano di viale dell’Astronomia.
Gli aneddoti sulla “torinesità” di Siniscalco si sprecano. Come quello ambientato in una cena del giugno scorso, alla presenza dello stesso Berlusconi e di tutto lo stato maggiore di Forza Italia. Erano i giorni in cui si preparava il Dpef (documento di programmazione economico-finanziaria) e si discuteva del possibile anticipo di un taglio dell’Irap, calibrato sulla riduzione del costo del lavoro. «A dirla tutta, le piccole e medie imprese se ne fanno poco di un provvedimento simile», obiettò a Siniscalco uno dei presenti, sotto gli occhi attenti del premier. «Lo so, ma per la Fiat un simile provvedimento significa molto», fu la replica del ministro dell’Economia. Voce dal sen fuggita, alla quale seguì un rapido scambio di occhiate tra gli altri commensali, un messaggio in codice per dirsi: «Hai capito per chi lavora questo...». “Torinese” di ferro anche durante la preparazione della Finanziaria 2005, quando il ministro frenava sul varo del secondo modulo della riduzione dell’Irpef, sostenendo che non vi erano abbastanza soldi, e che quei pochi che c’erano dovevano essere destinati alle agevolazioni per le imprese (soprattutto grandi, va da sé). Siniscalco fu costretto a cedere durante un teso confronto con gli economisti di Forza Italia, sempre alla presenza del Cavaliere.
Nella maggioranza, nessuno gli ha perdonato gli applausi con cui, a fine maggio, accolse la relazione annuale del presidente degli industriali, Luca Cordero di Montezemolo. Siniscalco non esitò a definire «eccellente» quello che a tutti apparve come un duro atto di accusa nei confronti dell’esecutivo. Totale sintonia con Montezemolo anche negli ultimi mesi, durante i quali Siniscalco ha combattuto la battaglia alla quale Confindustria teneva di più, quella contro Fazio. Quindi nessuno si è stupito, ieri, quando la giunta degli industriali ha pianto il suo ministro preferito, confermandogli «stima e solidarietà» ed esprimendo, manco a dirlo, «grande preoccupazione» per le sue dimissioni, «che indeboliscono ulteriormente la credibilità del Paese».
Caro a Giuliano Amato, carissimo a Carlo Azeglio Ciampi, Siniscalco piaceva molto - e forse già da oggi ricomincerà a piacere - alla sinistra, sempre pronta a riaccogliere chi abbandona Berlusconi parlandone male. Del resto in via delle Botteghe Oscure pensarono a lui già nel 2001, quando c’era da trovare un uomo “d’area” gradito anche alla Fiat da candidare a sindaco di Torino. Poi l’incarico toccò a Valentino Castellani, ma il feeling con una certa sinistra non si è mai interrotto. Siniscalco, anche in questo ultimo anno passato da ministro , non ha smesso di far parte del comitato scientifico di Italianieuropei, la fondazione presieduta da Massimo D’Alema, che conta tra i suoi finanziatori, o “soci benemeriti”, bei nomi del capitalismo nostrano come Guidalberto Guidi, lo scomparso Gianni Agnelli, Francesco Micheli, Vittorio Merloni, Carlo De Benedetti e la Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Accanto a Siniscalco, nel comitato scientifico di Italianieuropei siedono tutti i migliori accademici di sinistra, teste d’uovo del calibro di Augusto Barbera, Massimo Cacciari, Nicola Rossi e Vincenzo Visco. Normale che D’Alema, un po’ scherzando e un po’ no, abbia commentato la sua nomina a ministro dicendo che «è il primo dei nostri che entra nel governo». E se è vero che la sinistra non gli ha risparmiato critiche in questi quattordici mesi, è vero anche che il trattamento riservato a lui è stato assai più morbido di quello che ricevette e riceverà da oggi Giulio Tremonti. A meno di voler considerare un insulto quel «ministro di peluche» con cui lo ha ribattezzato il responsabile economico dei Ds, Pierluigi Bersani.
Alla fine, Siniscalco ha ceduto al diktat emesso nei suoi confronti dal Corriere della Sera, che per la penna dell’economista Francesco Giavazzi, il 3 settembre, quando tutto faceva credere che il ministro avrebbe partecipato al vertice Ecofin del giorno 8 assieme all’odiato Fazio (che poi non si presentò), lo aveva scomunicato così: «Un accademico senza spina dorsale, prestato alla Casa delle Libertà per fare bella figura sui mercati». Ieri, a dimissioni avvenute, il reintegro ufficiale nei ranghi, a firma dello stesso Giavazzi: «Il ministro Siniscalco esce a testa alta, a lui va il rispetto di tutte le persone perbene».
Per tutti questi motivi Siniscalco - che ieri, caricata l’automobile con le mazze da golf, è tornato a Torino, dove ricomincerà a insegnare Economia politica all’università - lascia pochi rimpianti nella maggioranza. Di certo non ne lascia nessuno in Forza Italia, dove qualcuno più perfido degli altri ha brindato alla partenza della «cellula dormiente della sinistra».
© Libero. Pubblicato il 23 settembre 2005 col titolo "L'uomo della sinistra".