Prodi e l'economia italiana. Per non dimenticare

Per Romano Prodi vale quello che disse Albert Einstein sulla psicanalisi: è la malattia della quale pretende di essere la cura. Ora è impegnato a farci credere che Gesù Cristo è morto di tosse convulsa e dice robe tipo: "Stiamo preparando gli strumenti per attuare una strategia di ripresa che restituisca vigore alle nostre imprese e rinnovi il tessuto produttivo del Paese". "Ripresa" e "vigore", lui. Queste sono le sue credenziali in materia, ovvero i numeri del suo governo e dell'intera legislatura dell'Ulivo. Dove si dimostra che la differenza tra la performance economica del Paese ai tempi dell'Ulivo e quella ai tempi della Cdl è tutta e solo nella congiuntura internazionale. Perché peggio di come ha fatto, Prodi non poteva fare.
  • 1996, primo anno di governo Prodi. L'Italia indossa la maglia nera europea, per non sfilarsela più nei quattro anni successivi. L’economia nazionale cresce appena dello 0,8%. Per capirsi: nello stesso anno la Spagna e l’Inghilterra viaggiano a un ritmo del 2,2%, Francia e Germania dell’1,4%. Crescita media europea: 1,6%, il doppio dell’Italia.
  • 1997, l’Ulivo fa il bis: il Pil italiano aumenta dell’1,5%, mentre l’Europa in media viaggia sul 2,6% e alcuni Paesi, tra cui Gran Bretagna e Spagna, mettono a segno performance più che doppie rispetto alla nostra.
  • 1998, terzo schiaffo consecutivo. Il Pil italiano sale dell’1,5%, la metà di quello europeo, che aumenta del 2,9%.
  • 1999. Il centrosinistra ha scaricato Prodi per rimpiazzarlo con Massimo D’Alema, ma non cambia molto: l’Italia resta il vagone più lento del treno europeo e nel 1999 cresce solo dell’1,4%, contro una media Ue del 2,3%.
  • 2000: grazie alla buona congiuntura internazionale il Pil italiano ha un balzo del 2,9%, ma resta pur sempre la peggiore performance della Ue, che intanto vola a un ritmo del 3,4%.
  • A conti fatti l’Italia, che nelle parole di Prodi (ottobre ’96) avrebbe dovuto far vedere «i sorci verdi» agli altri Paesi, in cinque anni ha perso cinque punti di crescita sul resto del continente.
  • Più tasse. Per capire le cause, conviene guardare i conti pubblici alla voce “pressione fiscale”: nel 1997, nel secondo anno di governo, l’Ulivo ha già aumentato il peso delle tasse dal 42,2 al 44,5% del Pil . Per ridurlo poi negli anni successivi, ma mantenendolo sempre al di sopra di quello del 1995. Quando, nella primavera del 2001, il centrosinistra cede il governo alla Casa delle libertà, l’Italia è il Paese industrializzato con la maggiore pressione fiscale sulle imprese.
  • Più povertà e meno redistribuzione. Il capitolo povertà e sinistra è tutto da ridere. Dati ufficiali Istat. Nel 2001 l'Ulivo lascia in eredità alla Cdl 7,8 milioni di poveri: 400mila in più di quelli del 1997. E, per inciso, un milione in più di quelli attuali, dato che nel frattempo il loro numero è stato ridotto a 6,8 milioni dall’aumento delle pensioni minime e dagli altri provvedimenti dell’“affamatore” Berlusconi.

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