Intanto i Ds applaudono all'Afghanistan "amerikano". Aspettando l'Iraq
Non date retta alla copertina, con quel titolo - “Le bimbe di Kabul” - che fa tanto rapporto annuale di organizzazione non governativa femminista stampato su carta riciclata. E non fatevi ingannare manco dal nome dell’autrice, Elena Montecchi, oggi vicecapogruppo Ds alla Camera e ai tempi dell’Ulivo sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Il libro appena scritto dalla deputata dalemiana in realtà è uno spot contro il «medio evo» islamico e in favore di quel tanto di buono che la coalizione creata dagli Stati Uniti è riuscita a realizzare a Kabul e dintorni dopo che i B-52 hanno raso al suolo i covi dei talebani. Soprattutto, quelle 120 pagine sono uno spot in favore di quel gran figone di Hamid Karzai, presidente afghano che - possiamo scriverlo senza tema di smentita - ha fatto breccia nel cuore della bella parlamentare.
Le qualità morali, innanzitutto (a sinistra, come noto, sono più interessati alla bellezza interiore). Karzai, scrivono le biografie ufficiali che la Montecchi si è studiata con cura (per fortuna qualcuno si ricorda ancora dei metodi rigorosi insegnati alle Frattocchie), è infatti «sposato con una sola moglie e senza figli». È un particolare importante, spiega la deputata: significa «che la sua coppia è sterile, ma la sua scelta non è stata quella di ripudiare la moglie (usualmente i pregiudizi fanno ricadere sulle donne l’accusa di sterilità) né di sposare altre donne». Se ancora c’erano dubbi, l’incontro li toglie tutti. «Osservando il suo incedere e il suo abbigliamento non si può negare il fascino che colpisce gli occidentali. È elegante, pur indossando un semplice maglione grigio, pantaloni e giacca neri. Sulle spalle tiene appoggiato il discusso mantello che simbolicamente ricorda le coperte nomadi. È verde, a righe bianche, ed è orlato di rosso. Karzai con una mano stringe il famoso cappello a bustina che sembra confezionato con una pelliccia di astrakan». Sospiro: «Immagino che Calvin Klein pagherebbe con oro pesante un testimonial come lui!». Il mancato modello parla «con voce e modi affabili», mentre beve il tè in tazze di fine porcellana «il suo viso è illuminato da antichi lampadari di gusto italiano». E poi ha un feeling tutto speciale con le donne, anche in politica: «Da quanto ho appreso nelle conversazioni informali», scrive la sua esegeta, Karzai «sostiene le candidature femminili indipendenti». Le donne apprezzano, tanto che il 40% di loro ha votato per lui.
Galeotto fu il mantello e chi lo indossò. Perché dopo l’incontro con Karzai e le sue donne la Montecchi rimette inconsciamente in discussione l’intera politica dei Ds nei confronti dell’Islam. Si inizia con un bel mea culpa per ciò che non è stato fatto nei confronti dei talebani: «Prima dell’11 settembre», racconta alle donne afghane, «ci siamo mobilitate troppo tardi e con troppa superficialità per denunciare al mondo la vostra condizione di oppresse dai Talebani. E il burka era il simbolo della vostra oppressione». Meglio tardi che mai. Si tira avanti attaccando nientemeno che Pino Arlacchi, il professore diessino che Botteghe Oscure aveva spedito all’Onu a fare il direttore dell’ufficio antidroga. Arlacchi, che ha trattato con i talebani e riempito di soldi i coltivatori afghani di droga per convincerli a cambiare mestiere, va in giro a dire che grazie a questa sua idea l’oppio è stato «spazzato via» dall’Afghanistan (testuale: «Siamo orgogliosi di questo risultato»). Ma ci pensa la sua compagna di partito, ormai illuminata da Karzai, a rimetterlo in riga: il progetto varato dalle Nazioni Unite, scrive la Montecchi senza fare il nome di Arlacchi, tanto si sa benissimo con chi ce l’ha, «non fu mai reso operativo dai Talebani, nonostante nel 1997 essi lo avessero negoziato con l’Agenzia dell’Onu». Di più: «Il regime talebano è stato decisivo per lo sviluppo della produzione e per la libera circolazione dell’oppio». Con tanti saluti ad Arlacchi.
La ciliegina è nelle ultime pagine: «Possiamo anche pensare e dire che la democrazia non la si esporta con le baionette. Ma è giusto che, sia in funzione della sicurezza internazionale sia in funzione della difesa dei più deboli, si operi perché la democrazia si espanda? Io credo di sì». Anche perché la democrazia porta con sé la globalizzazione, quindi il benessere: «È ormai evidente (…) che l’espansione della democrazia e dei diritti civili e sociali rappresenta un fattore positivo per l’economia, non solo a livello internazionale, con lo sviluppo dei commerci e l’abbattimento del protezionismo più becero, ma anche all’interno dei singoli Paesi». Da notare la finezza semantica politicamente corretta: la diessina sta sempre attenta a scrivere che la democrazia si «espande», non si «esporta». Imbarazzo comprensibile, facilmente perdonabile. Porte in faccia, poi, a quel relativismo «che accetta le altre culture, tutte le culture come equivalenti e per questa via rischia di giustificare situazioni realmente intollerabili, dal punto di vista della dignità delle persone e dei diritti concreti delle minoranze etniche e religiose». La prosa è un po’ opaca, ma il senso è limpido: vuol dire che alcune culture, quanto a rispetto dell’uomo (cioè il parametro migliore per valutarle) sono inferiori alle altre, e che l’Islam è tra queste.
Del resto, nelle prime pagine del libro, la Montecchi descrive così il suo scalo a Dubai: «Mi pare di avere incontrato il Medio Evo a cristalli liquidi». Giudizio più che confermato a Kabul, dove il residuo più visibile dell’era talebana è «il maschilismo malizioso e violento» e dove, quando comandavano quelli che gli americani e i loro alleati hanno cacciato via a colpi di bombe “tagliamargherite”, «un pauroso tsunami di maschilismo e sessuofobia si è abbattuto sulle donne e sulle bambine, cancellando quel po’ di istruzione, di salute e di diritti garantiti da una contraddittoria nazione islamica e multietnica». Ma perché, allora, quando lo dice Silvio Berlusconi che l’Islam è indietro di secoli, invece di applaudire a sinistra si incavolano tanto?
Post scriptum. Si accettano scommesse su ciò che scriveranno tra quattro anni i Ds sulla nascente democrazia irachena.
© Libero. Versione estesa dell'articolo «La diessina stregata da Karzai "l'americano"», pubblicato il 14 settembre 2005.
Le qualità morali, innanzitutto (a sinistra, come noto, sono più interessati alla bellezza interiore). Karzai, scrivono le biografie ufficiali che la Montecchi si è studiata con cura (per fortuna qualcuno si ricorda ancora dei metodi rigorosi insegnati alle Frattocchie), è infatti «sposato con una sola moglie e senza figli». È un particolare importante, spiega la deputata: significa «che la sua coppia è sterile, ma la sua scelta non è stata quella di ripudiare la moglie (usualmente i pregiudizi fanno ricadere sulle donne l’accusa di sterilità) né di sposare altre donne». Se ancora c’erano dubbi, l’incontro li toglie tutti. «Osservando il suo incedere e il suo abbigliamento non si può negare il fascino che colpisce gli occidentali. È elegante, pur indossando un semplice maglione grigio, pantaloni e giacca neri. Sulle spalle tiene appoggiato il discusso mantello che simbolicamente ricorda le coperte nomadi. È verde, a righe bianche, ed è orlato di rosso. Karzai con una mano stringe il famoso cappello a bustina che sembra confezionato con una pelliccia di astrakan». Sospiro: «Immagino che Calvin Klein pagherebbe con oro pesante un testimonial come lui!». Il mancato modello parla «con voce e modi affabili», mentre beve il tè in tazze di fine porcellana «il suo viso è illuminato da antichi lampadari di gusto italiano». E poi ha un feeling tutto speciale con le donne, anche in politica: «Da quanto ho appreso nelle conversazioni informali», scrive la sua esegeta, Karzai «sostiene le candidature femminili indipendenti». Le donne apprezzano, tanto che il 40% di loro ha votato per lui.
Galeotto fu il mantello e chi lo indossò. Perché dopo l’incontro con Karzai e le sue donne la Montecchi rimette inconsciamente in discussione l’intera politica dei Ds nei confronti dell’Islam. Si inizia con un bel mea culpa per ciò che non è stato fatto nei confronti dei talebani: «Prima dell’11 settembre», racconta alle donne afghane, «ci siamo mobilitate troppo tardi e con troppa superficialità per denunciare al mondo la vostra condizione di oppresse dai Talebani. E il burka era il simbolo della vostra oppressione». Meglio tardi che mai. Si tira avanti attaccando nientemeno che Pino Arlacchi, il professore diessino che Botteghe Oscure aveva spedito all’Onu a fare il direttore dell’ufficio antidroga. Arlacchi, che ha trattato con i talebani e riempito di soldi i coltivatori afghani di droga per convincerli a cambiare mestiere, va in giro a dire che grazie a questa sua idea l’oppio è stato «spazzato via» dall’Afghanistan (testuale: «Siamo orgogliosi di questo risultato»). Ma ci pensa la sua compagna di partito, ormai illuminata da Karzai, a rimetterlo in riga: il progetto varato dalle Nazioni Unite, scrive la Montecchi senza fare il nome di Arlacchi, tanto si sa benissimo con chi ce l’ha, «non fu mai reso operativo dai Talebani, nonostante nel 1997 essi lo avessero negoziato con l’Agenzia dell’Onu». Di più: «Il regime talebano è stato decisivo per lo sviluppo della produzione e per la libera circolazione dell’oppio». Con tanti saluti ad Arlacchi.
La ciliegina è nelle ultime pagine: «Possiamo anche pensare e dire che la democrazia non la si esporta con le baionette. Ma è giusto che, sia in funzione della sicurezza internazionale sia in funzione della difesa dei più deboli, si operi perché la democrazia si espanda? Io credo di sì». Anche perché la democrazia porta con sé la globalizzazione, quindi il benessere: «È ormai evidente (…) che l’espansione della democrazia e dei diritti civili e sociali rappresenta un fattore positivo per l’economia, non solo a livello internazionale, con lo sviluppo dei commerci e l’abbattimento del protezionismo più becero, ma anche all’interno dei singoli Paesi». Da notare la finezza semantica politicamente corretta: la diessina sta sempre attenta a scrivere che la democrazia si «espande», non si «esporta». Imbarazzo comprensibile, facilmente perdonabile. Porte in faccia, poi, a quel relativismo «che accetta le altre culture, tutte le culture come equivalenti e per questa via rischia di giustificare situazioni realmente intollerabili, dal punto di vista della dignità delle persone e dei diritti concreti delle minoranze etniche e religiose». La prosa è un po’ opaca, ma il senso è limpido: vuol dire che alcune culture, quanto a rispetto dell’uomo (cioè il parametro migliore per valutarle) sono inferiori alle altre, e che l’Islam è tra queste.
Del resto, nelle prime pagine del libro, la Montecchi descrive così il suo scalo a Dubai: «Mi pare di avere incontrato il Medio Evo a cristalli liquidi». Giudizio più che confermato a Kabul, dove il residuo più visibile dell’era talebana è «il maschilismo malizioso e violento» e dove, quando comandavano quelli che gli americani e i loro alleati hanno cacciato via a colpi di bombe “tagliamargherite”, «un pauroso tsunami di maschilismo e sessuofobia si è abbattuto sulle donne e sulle bambine, cancellando quel po’ di istruzione, di salute e di diritti garantiti da una contraddittoria nazione islamica e multietnica». Ma perché, allora, quando lo dice Silvio Berlusconi che l’Islam è indietro di secoli, invece di applaudire a sinistra si incavolano tanto?
Post scriptum. Si accettano scommesse su ciò che scriveranno tra quattro anni i Ds sulla nascente democrazia irachena.
© Libero. Versione estesa dell'articolo «La diessina stregata da Karzai "l'americano"», pubblicato il 14 settembre 2005.