La "resistenza" irachena si converte alla democrazia amerikana
I comunicati del campo antiimperialista, interfaccia italiano della "resistenza" irachena, sono una lettura istruttiva sulla situazione irachena quasi quanto le dichiarazioni di George W. Bush e Condoleeza Rice. Ho appena ricevuto l'ultimo "Notiziario del Campo Antimperialista", dal quale copio e incollo in modo integrale la risoluzione adottata subito dopo le recenti elezioni irachene (elezioni delle quali ho scritto qui).
Al di là della propaganda, il succo del documento è chiarissimo: la "resistenza" irachena è spiazzata, è messa male sia sul piano politico che su quello militare (per la prima volta, a mia memoria, gli antiimperialisti parlano apertamente di situazione di stallo, di difficoltà senza soluzione e di possibile sconfitta, mentre i "bollettini" precedenti erano trionfali). Obtorto collo, i "resistenti" hanno deciso di accettare le regole del gioco fissate dal governo "filoamerikano". Il resto del documento è tutto un arrampicarsi sugli specchi per non perdere la faccia.
Dalle stragi di civili sono passati all'ostruzionismo elettorale, dalla battaglia con le armi allo scontro in Parlamento. La vittoria della democrazia in Iraq è a un passo, l'hanno capito anche i suoi nemici, che stanno piegando la loro strategia alle esigenze della democrazia.
Mi sono limitato a evidenziare in bold i punti a mio giudizio più interessanti. Per il resto, il testo è assolutamente identico all'originale, a parte la correzione di qualche refuso e una "aggiustatina" ai congiuntivi.
IRAQ: LA RESISTENZA AD UNA SVOLTA
Risoluzione del Campo Antimperialista (18/12/2005)
1. La massiccia partecipazione elezioni del 15 dicembre nelle provincie del cosiddetto “Triangolo sunnita” (eufemismo per qualificare le vaste aree sostanzialmente controllate dalla Resistenza e ove risiedono piu’ del 40% dei cittadini iracheni) ha spinto gli americani e i loro pennivendoli in servizio permanente effettivo alla Magdi Allam, a strombazzare vittoria. Essi parlano di “clamorosa sconfitta della guerriglia”.
2. In realta’ la larga partecipazione al voto è avvenuta non malgrado ma grazie al grosso della Resistenza (tranne un piccolo cartello di cinque gruppi guerriglieri fondamentalisti legati ad Abu Musab al-Zarkawi), che ha infatti deciso di entrare nella mischia elettorale allo scopo di eleggere quanti piu’ deputati possibili nella Assemblea Nazionale.
3. Questa decisione fa seguito a quella adottata in occasione del referendum di ottobre sulla Costituzione, ovvero di andare a votare per dire NO. Gli iracheni sanno bene che nelle provincie di Ninawa, Salah Ad Din, At Ta’min, Dyala, Bagdad, Al Anbar; il No ottenne una rotonda maggioranza e che se non fosse stato per i brogli la Costituzione voluta dagli americani sarebbe carta straccia.
4. Cos’e’ la Resistenza? La stampa imperialista deve puntellare il teorema che essa non ha carattere di massa, che se non fosse per piccoli gruppuscoli venuti da fuori, in Iraq regnerebbe già la pace. Falso! La lotta armata animata da decine di gruppi molto agguerriti, è solo l’avangardia guerrigliera di un movimento sociale e politico ben più vasto. Basti immaginare che le città, i villaggi e le vastissime zone off limits per gli occupanti, poggiano su una rete organismi e comitati locali che rappresentano una capillare rete che struttura un vero e proprio contropotere territoriale. Organismi sociali, amministrativi ecc. che devono occuparsi, in condizioni difficili e spesso disperate (vieppiù terribili date le costanti e micidiali incursioni degli americani), di organizzare la vita sociale dei cittadini.
5. Gli americani, è noto, sono andati a scuola degli israeliani cercando di apprendere come essi hanno potuto tenere testa all’Intifada, ma come gli israeliani non hanno potuto mai esercitare il pieno controllo della striscia di Gaza e di decine di città della Cisgiordania, così gli americani hanno del tutto fallito nell’impresa di esercitare uno stabile predominio non in questa o quella zona, ma in gran parte dell’Iraq (negli stessi distretti in mano alle forze sciite, tanto per fare un esempio, il controllo politico e militare è esercitato non dagli americani o dalla loro polizia irachena, ma dalle milizie legate a questa o a quella formazione politica, ad esempio il Mahdi di al-Sadr).
6. Se dovessimo esprimere in una parola come stanno le cose diremmo che siamo davanti ad uno stallo. Gli americani non possono battere la Resistenza, ma questa non può vincere gli occupanti. Se gli americani sono impaludati anche la Resistenza è in difficolta’. Oltre al pesante isolamento internazionale (nessun paese, ed e’ la prima volta nella storia, accetta di ospitare una sua rappresentanza politica), oltre all’ovvia preponderanza militare degli americani, la madre di tutte le difficolta’ e’ proprio strategico-politica.
7. L’Iraq non e’ un paese in cui possa svilupparsi una guerra popolare prolungata rurale di tipo cinese o vietnamita. Essa rassomiglia piuttosto a quelle libanese, palestinese o somala. La strategia della guerra popolare prolungata presuppone consolidare una vasta zona completamente liberata che consenta di trasformare le forze guerrigliere in un vero e proprio esercito regolare di liberazione per passare dalla fase di difensiva strategica a quella di offensiva. In Iraq la “offensiva strategica” e’ sostituita dall’insurrezione urbana di massa. Sollevare le masse urbane diventa quindi l’imperativo della Resistenza. E’ qui il problema drammatico. L’insurrezione urbana di massa presuppone la saldatura tra la Resistenza “sunnita” e le popolazioni sciite. Questa unione sembro’ manifestarsi nelle insurrezioni della primavera e dell’estate 2004. Purtroppo esse furono efficacemente contrastate dagli occupanti i quali riuscirono a dividere gli insorti e a neutralizzare gli sciiti radicali di Moqtada al-Sadr.
8. Assistiamo cosi ad una fase di impasse in cui le zone e citta’ liberate sono sempre esposte alle incursioni nemiche, mentre i reparti guerriglieri avanzati possono solo limitarsi ad applicare il mordi e fuggi, il colpiscine uno per educarne cento, al sabotaggio o ad attacchi di portata limitata —possono cioe’ solo infastidire gli occupanti, non dargli tregua, intralciare e inceppare il tentativo di stabilizzazione americano.
9. E’ solo tenendo ben presenti questi rapporti di forza, questa situazione di stallo che possiamo comprendere la decisione di gran parte della Resistenza di utilizzare l’occasione elettorale del 15 dicembre. Questa scelta tattica prevede di portare nella futura Assemblea Nazinoale una consistente pattuglia di eletti allo scopo di sabotare anche dall’interno le gia’ traballanti istituzioni fantoccio allestite dagli occupanti.
10. Che questa tattica sia rischiosa e’ evidente. Gli americani, accettando che movimenti che considerano legittima e giustificata la Resistenza partecipassero alle elezioni (quali ad esempio il pur chiacchierato Fronte Iracheno del Dialogo Nazionale capeggiato da Saleh Mutlaq), hanno anche loro cambiato tattica. La Casa Bianca aveva scelto di debaathizzare il paese puntando sul trasferimento dei poteri all’alleanza scciti-curdi. Ora scopre che il grosso della popolazione sciita lungi dal simpatizzare con gli occupanti segue capi che o sono assolutamente ostili agli USA (al-Sadr) o obbediscono a Tehran —parliamo del partito di Chalabi, del partito Sciri di Abdul Azi al-Hakim, del Dawa dell’attuale primo ministro Ibrahim al-Jaafari—i quali due formano la coalizione Alleanza Irachena Unita che detiene il potere assieme ai curdi. Il punto è che, oltre all’incapacita’ di domare la Resistenza, anche la scelta di stabilizzare la situazione ricorrendo alla leva degli sciiti e’ praticamente fallita.
11. Ma non e’ solo questo doppio fallimento a spingere gli americani a cambiare cavallo. Per capire questa sterzata occorre tenere presente la strategia globale imperiale degli Stati Uniti. Essi non hanno occupato l’Iraq solo per togliersi di mezzo Saddam, lo hanno fatto per ridisegnare l’intera area mediorientale, e in questo disegno, prima o poi, in un modo o nell’altro (all’ucraina piuttosto che con un’aggressione aperta) c’e’ il rovesciamento della Repubblica Islamica dell’Iran. Questo significa che non possono tollerare una Repubblica islamica in Iraq alleata a Tehran. Ma e’ esattamente questo che perseguono il grosso dei movimenti sciiti, i quali hanno si criminalmente cooperato con gli occupanti per cacciare il Baath, ma per perseguire i loro propri scopi strategici, non certo quelli di Bush.
12. E’ dunque in questo contesto che si spiega l’apertura degli americani ai settori baathisti della Resistenza (vedi le scarcerazioni di importanti leaders baathisti di questi ultimi giorni). En passant: e’ notorio quanto i baathisti considerino l’Iran un nemico assoluto (nessuno dimentichi la fratricida guerra degli anni ‘80). Gli occupanti sperano cosi non solo di dividere la Resistenza, ma di portare quei settori dalla loro parte per averli come alleati nella futura escalation per far fuori la Repubblica islamica dell’Iran. Se questa manovra avesse successo, se pezzi del vecchio Baath (tra i quali proprio Saleh Mutlaq) accettassero di cooperare con i curdi e Allawi (Accordo Nazionale Iracheno) per formare un nuovo governo di coalizione, questa sarebbe non solo una svolta cruciale ma una tragedia. La quale, ci auguriamo, verra’ respinta dalle componenti antimperialiste della Resistenza.
13. Vedremo nelle prossime settimane (e dai risultati delle urne) se questa sterzata degli anglo-americani potra’ aver successo. Tutto appare possibile. Certo e’ che una eventuale affermazione elettorale delle liste vicine alla Resistenza sarebbe un successo strepitoso di quest’ultima, perche’ mentre essa e’ ostracizzata e criminalizzata come “terrorista” in tutto il mondo, proprio a Bagdad riceverebbe quella legittimazione politica che viene da un massiccio consenso popolare.
(18/12/2005)
Al di là della propaganda, il succo del documento è chiarissimo: la "resistenza" irachena è spiazzata, è messa male sia sul piano politico che su quello militare (per la prima volta, a mia memoria, gli antiimperialisti parlano apertamente di situazione di stallo, di difficoltà senza soluzione e di possibile sconfitta, mentre i "bollettini" precedenti erano trionfali). Obtorto collo, i "resistenti" hanno deciso di accettare le regole del gioco fissate dal governo "filoamerikano". Il resto del documento è tutto un arrampicarsi sugli specchi per non perdere la faccia.
Dalle stragi di civili sono passati all'ostruzionismo elettorale, dalla battaglia con le armi allo scontro in Parlamento. La vittoria della democrazia in Iraq è a un passo, l'hanno capito anche i suoi nemici, che stanno piegando la loro strategia alle esigenze della democrazia.
Mi sono limitato a evidenziare in bold i punti a mio giudizio più interessanti. Per il resto, il testo è assolutamente identico all'originale, a parte la correzione di qualche refuso e una "aggiustatina" ai congiuntivi.
IRAQ: LA RESISTENZA AD UNA SVOLTA
Risoluzione del Campo Antimperialista (18/12/2005)
1. La massiccia partecipazione elezioni del 15 dicembre nelle provincie del cosiddetto “Triangolo sunnita” (eufemismo per qualificare le vaste aree sostanzialmente controllate dalla Resistenza e ove risiedono piu’ del 40% dei cittadini iracheni) ha spinto gli americani e i loro pennivendoli in servizio permanente effettivo alla Magdi Allam, a strombazzare vittoria. Essi parlano di “clamorosa sconfitta della guerriglia”.
2. In realta’ la larga partecipazione al voto è avvenuta non malgrado ma grazie al grosso della Resistenza (tranne un piccolo cartello di cinque gruppi guerriglieri fondamentalisti legati ad Abu Musab al-Zarkawi), che ha infatti deciso di entrare nella mischia elettorale allo scopo di eleggere quanti piu’ deputati possibili nella Assemblea Nazionale.
3. Questa decisione fa seguito a quella adottata in occasione del referendum di ottobre sulla Costituzione, ovvero di andare a votare per dire NO. Gli iracheni sanno bene che nelle provincie di Ninawa, Salah Ad Din, At Ta’min, Dyala, Bagdad, Al Anbar; il No ottenne una rotonda maggioranza e che se non fosse stato per i brogli la Costituzione voluta dagli americani sarebbe carta straccia.
4. Cos’e’ la Resistenza? La stampa imperialista deve puntellare il teorema che essa non ha carattere di massa, che se non fosse per piccoli gruppuscoli venuti da fuori, in Iraq regnerebbe già la pace. Falso! La lotta armata animata da decine di gruppi molto agguerriti, è solo l’avangardia guerrigliera di un movimento sociale e politico ben più vasto. Basti immaginare che le città, i villaggi e le vastissime zone off limits per gli occupanti, poggiano su una rete organismi e comitati locali che rappresentano una capillare rete che struttura un vero e proprio contropotere territoriale. Organismi sociali, amministrativi ecc. che devono occuparsi, in condizioni difficili e spesso disperate (vieppiù terribili date le costanti e micidiali incursioni degli americani), di organizzare la vita sociale dei cittadini.
5. Gli americani, è noto, sono andati a scuola degli israeliani cercando di apprendere come essi hanno potuto tenere testa all’Intifada, ma come gli israeliani non hanno potuto mai esercitare il pieno controllo della striscia di Gaza e di decine di città della Cisgiordania, così gli americani hanno del tutto fallito nell’impresa di esercitare uno stabile predominio non in questa o quella zona, ma in gran parte dell’Iraq (negli stessi distretti in mano alle forze sciite, tanto per fare un esempio, il controllo politico e militare è esercitato non dagli americani o dalla loro polizia irachena, ma dalle milizie legate a questa o a quella formazione politica, ad esempio il Mahdi di al-Sadr).
6. Se dovessimo esprimere in una parola come stanno le cose diremmo che siamo davanti ad uno stallo. Gli americani non possono battere la Resistenza, ma questa non può vincere gli occupanti. Se gli americani sono impaludati anche la Resistenza è in difficolta’. Oltre al pesante isolamento internazionale (nessun paese, ed e’ la prima volta nella storia, accetta di ospitare una sua rappresentanza politica), oltre all’ovvia preponderanza militare degli americani, la madre di tutte le difficolta’ e’ proprio strategico-politica.
7. L’Iraq non e’ un paese in cui possa svilupparsi una guerra popolare prolungata rurale di tipo cinese o vietnamita. Essa rassomiglia piuttosto a quelle libanese, palestinese o somala. La strategia della guerra popolare prolungata presuppone consolidare una vasta zona completamente liberata che consenta di trasformare le forze guerrigliere in un vero e proprio esercito regolare di liberazione per passare dalla fase di difensiva strategica a quella di offensiva. In Iraq la “offensiva strategica” e’ sostituita dall’insurrezione urbana di massa. Sollevare le masse urbane diventa quindi l’imperativo della Resistenza. E’ qui il problema drammatico. L’insurrezione urbana di massa presuppone la saldatura tra la Resistenza “sunnita” e le popolazioni sciite. Questa unione sembro’ manifestarsi nelle insurrezioni della primavera e dell’estate 2004. Purtroppo esse furono efficacemente contrastate dagli occupanti i quali riuscirono a dividere gli insorti e a neutralizzare gli sciiti radicali di Moqtada al-Sadr.
8. Assistiamo cosi ad una fase di impasse in cui le zone e citta’ liberate sono sempre esposte alle incursioni nemiche, mentre i reparti guerriglieri avanzati possono solo limitarsi ad applicare il mordi e fuggi, il colpiscine uno per educarne cento, al sabotaggio o ad attacchi di portata limitata —possono cioe’ solo infastidire gli occupanti, non dargli tregua, intralciare e inceppare il tentativo di stabilizzazione americano.
9. E’ solo tenendo ben presenti questi rapporti di forza, questa situazione di stallo che possiamo comprendere la decisione di gran parte della Resistenza di utilizzare l’occasione elettorale del 15 dicembre. Questa scelta tattica prevede di portare nella futura Assemblea Nazinoale una consistente pattuglia di eletti allo scopo di sabotare anche dall’interno le gia’ traballanti istituzioni fantoccio allestite dagli occupanti.
10. Che questa tattica sia rischiosa e’ evidente. Gli americani, accettando che movimenti che considerano legittima e giustificata la Resistenza partecipassero alle elezioni (quali ad esempio il pur chiacchierato Fronte Iracheno del Dialogo Nazionale capeggiato da Saleh Mutlaq), hanno anche loro cambiato tattica. La Casa Bianca aveva scelto di debaathizzare il paese puntando sul trasferimento dei poteri all’alleanza scciti-curdi. Ora scopre che il grosso della popolazione sciita lungi dal simpatizzare con gli occupanti segue capi che o sono assolutamente ostili agli USA (al-Sadr) o obbediscono a Tehran —parliamo del partito di Chalabi, del partito Sciri di Abdul Azi al-Hakim, del Dawa dell’attuale primo ministro Ibrahim al-Jaafari—i quali due formano la coalizione Alleanza Irachena Unita che detiene il potere assieme ai curdi. Il punto è che, oltre all’incapacita’ di domare la Resistenza, anche la scelta di stabilizzare la situazione ricorrendo alla leva degli sciiti e’ praticamente fallita.
11. Ma non e’ solo questo doppio fallimento a spingere gli americani a cambiare cavallo. Per capire questa sterzata occorre tenere presente la strategia globale imperiale degli Stati Uniti. Essi non hanno occupato l’Iraq solo per togliersi di mezzo Saddam, lo hanno fatto per ridisegnare l’intera area mediorientale, e in questo disegno, prima o poi, in un modo o nell’altro (all’ucraina piuttosto che con un’aggressione aperta) c’e’ il rovesciamento della Repubblica Islamica dell’Iran. Questo significa che non possono tollerare una Repubblica islamica in Iraq alleata a Tehran. Ma e’ esattamente questo che perseguono il grosso dei movimenti sciiti, i quali hanno si criminalmente cooperato con gli occupanti per cacciare il Baath, ma per perseguire i loro propri scopi strategici, non certo quelli di Bush.
12. E’ dunque in questo contesto che si spiega l’apertura degli americani ai settori baathisti della Resistenza (vedi le scarcerazioni di importanti leaders baathisti di questi ultimi giorni). En passant: e’ notorio quanto i baathisti considerino l’Iran un nemico assoluto (nessuno dimentichi la fratricida guerra degli anni ‘80). Gli occupanti sperano cosi non solo di dividere la Resistenza, ma di portare quei settori dalla loro parte per averli come alleati nella futura escalation per far fuori la Repubblica islamica dell’Iran. Se questa manovra avesse successo, se pezzi del vecchio Baath (tra i quali proprio Saleh Mutlaq) accettassero di cooperare con i curdi e Allawi (Accordo Nazionale Iracheno) per formare un nuovo governo di coalizione, questa sarebbe non solo una svolta cruciale ma una tragedia. La quale, ci auguriamo, verra’ respinta dalle componenti antimperialiste della Resistenza.
13. Vedremo nelle prossime settimane (e dai risultati delle urne) se questa sterzata degli anglo-americani potra’ aver successo. Tutto appare possibile. Certo e’ che una eventuale affermazione elettorale delle liste vicine alla Resistenza sarebbe un successo strepitoso di quest’ultima, perche’ mentre essa e’ ostracizzata e criminalizzata come “terrorista” in tutto il mondo, proprio a Bagdad riceverebbe quella legittimazione politica che viene da un massiccio consenso popolare.
(18/12/2005)