E' Repubblica, funziona così

di Fausto Carioti
L’editoriale apparso ieri su Repubblica aveva per titolo “Un compito difficile”. Il riferimento era alle sfide che attendono il nuovo governatore di Bankitalia, Mario Draghi. In realtà, assai più complesso appariva, sin dalle prime righe, il compito dell’editorialista di largo Fochetti, il quale doveva dare ragione al governo Berlusconi per aver scelto Draghi, perché la sua è una nomina di alto livello, che alla sinistra certo non dispiace. E comunque, fosse mai che a Repubblica si fanno nemico il governatore appena nominato. Solo che Silvio Berlusconi, per il quotidiano fondato da Eugenio Scalfari, non può mai essere nel giusto, nemmeno se ti dice che oggi è l’ultimo giorno dell’anno. Per di più, stavolta gli uomini di Ezio Mauro non potevano dare il merito della scelta a Carlo Azeglio Ciampi, essendo noto che il Quirinale avrebbe preferito vedere governatore Tommaso Padoa Schioppa. Insomma, toccava scrivere tutto il bene possibile di una cosa fatta da Berlusconi riuscendo al tempo stesso a dipingere il premier nella peggiore luce possibile, come da abitudine della casa. Un compito difficile, appunto. È toccato al vicedirettore Massimo Giannini. Che se la sarebbe anche cavata bene, se solo non avesse mostrato una memoria tanto labile per gli articoli apparsi su Repubblica. Anche a sua firma.
Giannini si leva subito il dente. Inizia così: «Può succedere. È successo. Un cattivo governo ha fatto una buona scelta. La nomina di Mario Draghi al vertice della Banca d’Italia è ineccepibile e inattaccabile». Ecco, l’ha detto: stavolta a palazzo Chigi ne hanno combinata una giusta. Occorre rimediare subito. E infatti, piuttosto che riconoscerne il merito a Berlusconi, lo assegna al suo ministro: mille volte meglio a lui che al premier. «In sette giorni Tremonti è riuscito a realizzare quello che Berlusconi non aveva voluto fare in sette mesi. Costringere Fazio alle dimissioni, far approvare dal Parlamento la riforma del risparmio, nominare un successore di prestigio indiscusso». Il premier, dunque, frenava. Lo faceva per oscuri motivi, va da sé: «Il Cavaliere, evidentemente, aveva a sua volta qualche interesse nascosto da difendere, insieme ai furbetti della Banda d’Italia». Ah, se solo «il presidente del Consiglio avesse ascoltato un anno fa il suo ministro, forse ci saremmo risparmiati la gogna mediatica e la vergogna politica di una Bankopoli che ha bruciato il patrimonio di autorevolezza guadagnato da Via Nazionale in un secolo di storia».
Ricapitolando. Il governo con Draghi ci ha azzeccato, ma resta «cattivo»; Berlusconi è un «furbetto» con chissà quale «interesse nascosto da difendere»; il merito della nomina va tutto a Giulio Tremonti. Ora, la cosa fa un po’ a pugni con la realtà. Primo, perché Draghi l’ha voluto soprattutto Berlusconi (non che il premier straveda per lui, ma era la carta migliore a disposizione). Secondo: perché Tremonti non ha spinto in alcun modo per Draghi, accontentandosi di aver mandato via Fazio. Tutte cose che ha scritto anche la stessa Repubblica il 28 dicembre, a firma Francesco Bei. Terzo: perché Berlusconi, negli ultimi mesi, ha invitato pubblicamente Fazio a prendere atto della situazione e andarsene da via Nazionale. Il 22 settembre, ad esempio, aveva detto che la permanenza in carica del governatore non era né «opportuna» né «compatibile con la credibilità nazionale del nostro Paese», e cinque giorni dopo si era appellato «alla sensibilità del governatore e alla sua coscienza» affinché si dimettesse. “Berlusconi sfiducia Fazio”, titolava infatti Repubblica. È il massimo che un presidente del Consiglio possa fare. La Banca d’Italia, come noto, non dipende dal governo, che tutt’al più può provare ad esercitare su di essa la propria “moral suasion”. E di certo Berlusconi, almeno in pubblico, su Fazio ne ha esercitata più del Quirinale.
Eppure, quando Tremonti, in quella notte del luglio del 2004, si dimise da ministro, su Repubblica mica glieli hanno riconosciuti tutti questi meriti antifazisti. Hanno brindato, invece (articoli firmati dallo stesso Giannini), perché le dimissioni di Tremonti erano «la plastica sconfitta di un progetto politico, che subisce un colpo mortale forse definitivo». Hanno applaudito, perché «se il comunismo fu l’elettrificazione più i soviet, il tremontismo è stato la cartolarizzazione più i condoni». Mentre il nemico giurato di Tremonti, Fazio, all’epoca era quello buono, quello serio. Quello che, alla fine del 2004, veniva citato negli editoriali di Giannini perché ricordava a Berlusconi che il bilancio pubblico italiano «è in condizioni gravi».
C’è di più. Nel 2004, quando cioè, leggendo Repubblica oggi, Berlusconi avrebbe dovuto «ascoltare» Tremonti e silurare Fazio, sul quotidiano di largo Fochetti si difendeva il governatore a spada tratta, vittima indifesa delle trame dell’accoppiata Berlusconi-Tremonti. Si leggevano cose così: «Quand’anche avesse responsabilità specifiche nei dissesti finanziari di questi ultimi mesi, la Banca d’Italia (e il sistema del credito che vi ruota intorno) è stata la vera e unica “preda” che Berlusconi e Tremonti hanno tentato di assalire, dietro al demagogico specchietto per le allodole della “difesa dei risparmiatori”. […] Del povero “parco buoi”, al governo, interessa poco o niente. Era e resta Fazio, il vero bersaglio del tiro al piccione. E con lui tutti i banchieri che gli stanno intorno». Era il primo giugno del 2004, e la firma era quella dello stesso Giannini. Altri tempi, Fazio non era stato ancora scaricato dal salotto buono.
Dunque nel 2004, secondo quanto scriveva Repubblica all’epoca, Berlusconi sbagliava, perché, attentando all’autonomia di Bankitalia, voleva mandare a casa Fazio in combutta con Tremonti. Secondo quanto si legge adesso, nel 2004 Berlusconi avrebbe invece sbagliato perché - in chiaro contrasto con Tremonti - non aveva rimosso il governatore dalla sua carica. E pazienza se così facendo avrebbe violato l’autonomia della Banca d’Italia. L’unica cosa chiara, in questo triplo salto mortale con avvitamento delle idee, è che per Repubblica Berlusconi ha torto, qualunque cosa faccia, sempre e comunque.

© Libero. Pubblicato il 31 dicembre 2005.

PS: Auguri a tutti per un 2006 felice e ricco di soddisfazioni!

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