Da Fazio a Draghi. E per le banche italiane è la fine degli alibi

Da Antonio Fazio, ciociaro devoto, referente della finanza cattolica, arroccato in difesa dell'italianità delle banche, a Mario Draghi, ultimo vero banchiere di livello internazionale rimasto all'Italia, amico della finanza laica e numero due operativo per l'Europa della banca d'affari Goldman Sachs. Il salto tra Fazio e l'uomo del Britannia non potrebbe essere maggiore, ed è grande come l'abisso che separa Alvito da Londra.
Per modus operandi, Draghi è il vero erede di Enrico Cuccia: understatement, riservatezza, uso del potere ai limiti del cinismo, ma sempre senza ostentazione. Spesso invisibile, ma comunque onnipresente. Per finalità, è invece assai distante dal fondatore di Mediobanca: quello aveva fatto della difesa del salottino del capitalismo italiano la ragione di vita sua e di via Filodrammatici; questo guarda più ai poteri forti della finanza europea che a quelli italiani, che infatti ora, dopo aver fatto la guerra a Fazio, temono per il loro orticello, tanto che gli avrebbero preferito Tommaso Padoa Schioppa, sul quale si è abbattuto il veto di Silvio Berlusconi.
Se l'Italia doveva dare un segnale di apertura del proprio sistema bancario ai capitali europei, questo segnale è arrivato con la nomina del nuovo governatore. Ed è una buona notizia. Tra qualche anno sapremo se questa apertura si sarà tradotta anche in un irrobustimento delle banche italiane o solo in un vantaggio per gli istituti di credito e le banche d'affari stranieri. Dipenderà da Draghi, ma anche - e soprattutto - da come sapranno reagire i banchieri italiani. La sfida vera col mondo esterno, ovvero il passaggio all'età adulta, per loro inizia adesso.

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