Kagan: ecco perché il voto iracheno cambia tutto
Il neocon Robert Kagan è uno che va letto sempre, perché scrive cose sensate in modo lucidissimo. Chi non l'ha mai letto, può ancora trovare in libreria "Paradiso e potere" e "Il diritto di fare la guerra". Kagan ha appena scritto assieme a William Kristol su The Weekly Standard (di cui Kristol, altro neocon a 24 carati, è il fondatore) un ottimo articolo in cui spiega perché, nonostante i democratici americani (e non solo loro) stiano facendo di tutto per convincere chiunque (loro stessi per primi) del contrario, le recenti elezioni sono state la chiave di volta del processo di democratizzazione iracheno, e la differenza l'ha fatta la vasta partecipazione dei sunniti. «La cosa principale di questa elezione, a parte le sue ovvie caratteristiche di "pietra miliare", è l'incredibilmente alta affluenza dei sunniti. In ottobre i soliti esperti ci avevano assicurato che il passaggio del rerefendum costituzionale era stato un disastro, l'ennesimo chiodo nella bara della democrazia irachena: i sunniti non avrebbero mai partecipato al processo elettorale. E' successo invece che vi hanno partecipato, e lo hanno fatto con un entusiasmo tale che attraverso il nuovo processo democratico le loro voci hanno potuto essere ascoltate e i loro interessi protetti».
La morale? «Gli iracheni non avrebbero avuto questa chance se gli Stati Uniti avessero scelto di lasciare al potere Saddam Hussein. Non avrebbero avuto questa possibilità se le truppe americane fossero state ritirate o ridotte rispetto ai livelli già inadeguati stabiliti dopo l'invasione nel 2003. E perderanno questa possibilità se gli Stati Uniti ora inizieranno a ridurre le loro forze in modo affrettato. Burns (John Burns, corrispondente storico del New York Times, ndAcm) racconta che persino i sunniti contrari alla presenza americana sono favorevoli solo a un "ritiro graduale", e unicamente se l'Iraq avrà raggiunto un sufficiente livello di sicurezza e stabilità. "Otteniamo la stabilità, e poi gli americani se ne vadano a casa", ha detto un negoziante iracheno a Burns. Informato che il presidente Bush aveva detto la stessa identica cosa, l'uomo ha risposto: "Allora Bush ha detto la cosa giusta"».
"Happy Days!" di Robert Kagan e William Kristol.
Addendum. Sulle elezioni irachene e sul loro reale significato merita di essere letto anche l'Uovo di giornata della Fondazione Magna Carta.
La morale? «Gli iracheni non avrebbero avuto questa chance se gli Stati Uniti avessero scelto di lasciare al potere Saddam Hussein. Non avrebbero avuto questa possibilità se le truppe americane fossero state ritirate o ridotte rispetto ai livelli già inadeguati stabiliti dopo l'invasione nel 2003. E perderanno questa possibilità se gli Stati Uniti ora inizieranno a ridurre le loro forze in modo affrettato. Burns (John Burns, corrispondente storico del New York Times, ndAcm) racconta che persino i sunniti contrari alla presenza americana sono favorevoli solo a un "ritiro graduale", e unicamente se l'Iraq avrà raggiunto un sufficiente livello di sicurezza e stabilità. "Otteniamo la stabilità, e poi gli americani se ne vadano a casa", ha detto un negoziante iracheno a Burns. Informato che il presidente Bush aveva detto la stessa identica cosa, l'uomo ha risposto: "Allora Bush ha detto la cosa giusta"».
"Happy Days!" di Robert Kagan e William Kristol.
Addendum. Sulle elezioni irachene e sul loro reale significato merita di essere letto anche l'Uovo di giornata della Fondazione Magna Carta.