Comunismo, 15 anni dopo: quattro lezioni dall'Europa centrale e orientale

Ci pensa l'Independent Institute, tramite Alvaro Vargas Llosa, a tirare la morale sulla fine del comunismo in Europa centrale. Non servirà a chi ancora crede in certe ideologie criminali (dal punto di vista dei diritti umani) e fallimentari (dal punto di vista economico), ma serve a chi ha occhi per vedere e cervello per capire. Chi non l'ha fatto, può ancora leggere il "Transition Report 2005" della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (qui il pdf della presentazione). Il commento di Vargas Llosa parte proprio dall'analisi di questo documento. Ne ricava quattro lezioni.
1) In tutta l'Europa centrale e orientale è stato raggiunto un vasto consenso sui benefici del libero mercato. Si discute su quanto in profondità le riforme liberiste debbano arrivare, non sulla loro opportunità. E questo è un enorme passo in avanti rispetto all'Africa e all'America Latina. Persino gli ultimi carri, Romania e Slovacchia, si sono mossi e hanno adottato le prime riforme incisive.
2) I Paesi che oggi mostrano le migliori performance di ricchezza sono quelli che con maggiore convinzione e coraggio, all'epoca, hanno saputo adottare le riforme più incisive nel modo più rapido. Alla faccia di chi pensa che sia indispensabile un periodo di graduale "adattamento" semi-socialista dal sistema economico controllato dallo Stato a quello basato sulla libera concorrenza. Il caso-scuola, come noto, è quello dell'Estonia, che quindici anni fa ha rimosso tutte le tariffe doganali. Confermata la correlazione per cui i Paesi con le minori barriere all'entrata delle merci straniere non solo sono quelli che importano di più (come intuibile), ma anche quelli che esportano di più.
3) Le riforme debbono essere coordinate. Serve a poco rimuovere le tariffe doganali se all'interno dei confini nazionali restano i vincoli interni all'impresa e al libero scambio. Ancora una volta, la nave-scuola è l'Estonia, che nel 1994 ha sostituito un sistema fiscale astruso con una bella "flat tax". Presto imitata da Lettonia e Lituania e, più tardi, da altri Paesi dell'Europa centrale. Il successo è tale che oggi Francia e Germania accusano gli Stati che adottano un simile regime fiscale di "concorrenza sleale" nella caccia ai finanziamenti stranieri.
4) Per tradurre in posti di lavoro tutte queste riforme di riduzione e semplificazione fiscale è necessario un mercato del lavoro flessibile. Lo confermano l'Ungheria, che grazie a questa ricetta ha di fatto eliminato la povertà nel giro di quindici anni, e - "a contrario" - la Polonia, che con il suo alto costo del lavoro fissato per legge e un sistema rigido di assunzioni e licenziamenti vede oggi impiegato appena il 51% della propria popolazione in età lavorativa.

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