Mani insanguinate? Fidiamoci di Diliberto, che le ha provate tutte

di Fausto Carioti
Si può iniziare citando il pornoattore Rocco Siffredi nel famoso spot delle patatine: «Fidati di uno che le ha provate tutte». Oppure, più modestamente, si può ricordare ciò che pensava di certi “progressisti” il filosofo Raymond Aron: «Privi di pietà per le debolezze delle democrazie, sono disposti a giustificare i più turpi delitti, purché commessi in forza di una giusta dottrina». Perché di Oliviero Diliberto, che ieri ha commentato l’incontro tra Silvio Berlusconi e George Bush dicendo che «sono andati a stringersi mani grondanti di sangue», ci si può fidare sul serio: il segretario dei Comunisti italiani è un esperto vero, le mani sporche di sangue innocente le conosce bene, avendone strette tante di persona. Da quella del macellaio Fidel Castro, dittatore con un lungo curriculum in materia di oppressione e soppressione dei prigionieri di coscienza, a quelle dei terroristi di Hezbollah, specializzati nell’uccisione di civili israeliani. E ogni volta, di quelle mani il leader dei comunisti italiani ha saputo apprezzare l’odore e il sapore, lodandole e benedicendole a distanza di anni. Meglio di un sommelier con un Sassicaia dell’85.
Diliberto ha il suo buon motivo per attraversare il mondo alla ricerca disperata di una foto accanto a dittatori e terroristi nemici degli Stati Uniti e di Israele. Un motivo che si chiama Fausto Bertinotti. Pur non essendo un gigante, il leader di Rifondazione Comunista vola chilometri più in alto di lui. Ha più voti di Diliberto, nella coalizione conta assai di più e quanto a eloquio e charme il confronto manco si pone. Quel che è peggio, nella aggrovigliata topografia dell’Unione, Rifondazione è collocata a sinistra dei Comunisti italiani. Tempo fa Diliberto ha provato a rifarselo amico, proponendogli una lista unitaria della sinistra alternativa. Bertinotti gli ha risposto picche, nella convinzione (sensata) di avere tutto da perderci. Così adesso i due si devono contendere lo stesso gruzzolo di elettori, e Diliberto, che parte con un notevole svantaggio, è impegnato in un divertente match di wrestling contro la geometria euclidea per dimostrare agli elettori della sinistra estrema che, pur stando più vicino a Prodi di Bertinotti, in realtà è più a sinistra del segretario di Rifondazione. Da qui le dichiarazioni che ne fanno l’unico noglobal del mondo occidentale in corsa per una poltrona da ministro e le fotografie che lo ritraggono accanto ai leader più imbarazzanti del pianeta.
Quanto a sangue sulle mani, infatti, pochi sono in grado di competere con Fidel Castro. Per stringere un accordo “di reciproca collaborazione” con il partito comunista cubano, nel gennaio del 2004, Diliberto è volato sino all’Avana, tornando comprensibilmente orgoglioso: «Siamo l’unico partito in Europa ad aver stabilito un rapporto così stretto». Senso di vomito, raccapriccio per quanto accade a Cuba in materia di diritti umani? Ma figuriamoci: quella di Castro, aveva spiegato pochi mesi prima Diliberto, è solo «una democrazia applicata in forme diverse rispetto a quella occidentale». Molto diverse. Il progetto “Cuba Archive” ha iniziato a fare la conta dei civili uccisi dal regime comunista dal 1959 a oggi, mettendo nel conto solo i morti provati da almeno due fonti indipendenti e ai quali era possibile attribuire un nome. Sinora si è arrivati a 9.240 uccisioni: 5.640 fucilati, 1.203 vittime di esecuzioni sommarie, 2.199 morti in carcere (gran parte dei quali, manco a dirlo, prigionieri politici), 198 “desaparecidos”. E la stima, visti i criteri adottati, è drammaticamente approssimata per difetto. A questi vanno aggiunti almeno 77.833 “balseros” morti in mare mentre cercavano la libertà fuggendo dall’isola. Diliberto, però, non se ne è mai fatto un problema. Nell’aprile del 2003, quando persino la sinistra italiana si era rivoltata contro un nuovo giro di vite del dittatore, lui era insorto a difenderlo: «Adesso va di moda parlare male di Cuba. Io però non mi accodo». Tranquillo, nessuno si era illuso del contrario.
Nel novembre del 2004 è stato il turno dei leader di Hezbollah, l’etichetta politica che ospita i terroristi libanesi autori di stragi di civili e soldati israeliani a colpi di razzi Katyusha. La milizia radicale sciita è considerata un’organizzazione terroristica, oltre che da Israele, da Stati Uniti, Inghilterra, Olanda e Australia. Persino il Parlamento europeo si è mosso, dichiarando Hezbollah un movimento terroristico e chiedendo ai pavidi ministri dell’Unione europea di fare altrettanto. Del resto, nel manifesto dell’organizzazione libanese, scritto nel 1985, si legge che la loro lotta proseguirà sin quando la «entità sionista», cioè Israele, non sarà «completamente distrutta». Assieme ad Hamas e alle altre organizzazioni terroristiche islamiche, Hezbollah sinora ha contributo ad uccidere oltre mille civili israeliani e a ferirne 2.200. Imbarazzi? Figuriamoci. Diliberto è corso a stringere la mano al segretario del partito Hezbollah, Hassan Nasrlallah, spiegando ai giornalisti italiani che i terroristi non sono quelli come lui, ma «chi attacca i civili». Dimenticando la lunga lista di donne e bambini israeliani fatti fuori dai suoi nuovi impresentabili compagni con barba e turbante. Cosa non si fa per amore.

© Libero. Pubblicato il 2 marzo 2006.

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