Facce di culatello

Era il 17 marzo del 2001. Silvio Berlusconi era il candidato premier dell'opposizione. Davanti all'assise degli industriali, a Parma, disse che il programma della Confindustria di Antonio D'Amato sembrava «la fotocopia di un programma di governo, quello che noi presenteremo agli italiani». La sinistra reagì nel modo più logico e prevedibile. Massimo D'Alema usò parole alte e nobili. Disse che «la politica deve leggere i documenti di tutti, poi fare la sintesi per fare un programma per l'Italia, non solo per una parte dell'Italia».
Il candidato premier del centrosinistra, Francesco Rutelli, rispose che il loro programma di governo sarebbe stato «fatto con grandi e piccole imprese, artigiani, commercianti, disoccupati e studenti: insomma con gli italiani». Specificando che nell'Italia dell'Ulivo «non comandano la Confindustria, i commercianti, gli artigiani o i sindacati: comanda la politica, il governo».
Enrico Letta, tanto perbene e carino quanto sopravvalutato (gli giova il fatto che quelli che lo circondano sono assai peggio di lui), disse che «è un errore grave appiattirsi sulle tesi di Confindustria».
Salto in avanti di cinque anni. E' il 3 marzo del 2006. Romano Prodi si presenta a Rimini, al congresso della Cgil. La parola d'ordine che lo lega a Guglielmo Epifani è «insieme». Rivolto ai sindacalisti rossi, che lo ringraziano commossi con una lunga standing ovation, dice: «Abbiamo raggiunto lo stesso tipo di conclusione sullo stato economico e sociale del Paese. Non credo di sbagliarmi se affermo inoltre che vi sia anche concordanza sulle ricette e le politiche che dopo mesi di lavoro abbiamo proposto nel nostro programma». Una leccata clamorosa, che coglie di sorpresa perfino lo stesso Epifani.
E il fatto che la politica deve leggere i documenti di tutti e poi farne una sintesi in nome dell'interesse generale, e non adottare un programma «solo per una parte dell'Italia»? E il principio per cui in Italia «non comandano la Confindustria, i commercianti, gli artigiani o i sindacati: comanda la politica, il governo», che fine ha fatto? E la necessità di non «appiattirsi» sulle richieste di una sola parte sociale?
E soprattutto: come definirli, tutti costoro?

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