La felicità non è un coniglio socialista
Bisogna essere molto ignoranti e del tutto privi di senso del ridicolo per paragonare il richiamo alla felicità lanciato dal bollito nel suo appello al termine del faccia a faccia televisivo con Silvio Berlusconi ai grandi documenti su cui si fondano gli Stati Uniti d'America, che pure alla "happiness" fanno esplicito riferimento. E invece il refrain di tanti elettori di sinistra è proprio questo: «Prodi è stato più americano di Berlusconi, Berlusconi si riconosce in Bush mentre Prodi si riconosce nei testi più nobili della tradizione americana» e così via.
La verità è che la differenza non potrebbe essere più grande, in termini filosofici e quanto a conseguenze politiche. Il candidato premier dell'Unione punta alla organizzazione della felicità: «Le energie ci sono a condizione che ci mettiamo insieme. E allora sarà possibile, a mio parere, organizzare anche un po’ di felicità per noi». Insomma, l'organizzazione della felicità come scopo ultimo della politica, in piena coerenza con la versione alle vongole dell'umanesimo ateo propria del sedicente "cattolico adulto" Romano Prodi.
La dichiarazione d'indipendenza americana suona completamente diversa: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; che, allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi».
Dunque. Da un lato c'è una visione dell'uomo e dello Stato imbevuta di socialismo, che rende il primo subalterno al secondo. Lo Stato provvede a tutto, persino alla «organizzazione» dei bisogni più profondi dell'uomo. Per inciso, con una evidente contraddizione: la ricerca della felicità dell'uno può essere, come spesso avviene, in pieno contrasto con il progetto di felicità dell'altro, e non si capisce come possa uno Stato decidere quale progetto premiare con la propria politica. A meno che non si presuma l'esistenza di una "felicità collettiva" che la politica deve perseguire, ennesima reincarnazione costruttivista del bene comune, e forse questa presunzione Prodi ce l'ha davvero. Torna in mente Paul Claudel: «Chi cerca di creare per gli altri il paradiso in Terra, tutto ciò che ottiene è soltanto un molto rispettabile inferno».
Dall'altro lato c'è una visione profondamente religiosa e liberale (sì, le due cose vanno di pari passo, e non è certo un caso) dell'uomo e dell'origine dei suoi diritti: i diritti dell'uomo derivano dal loro Creatore. La felicità non la organizza lo Stato, ma la ricercano i singoli uomini, ognuno col suo progetto individuale. Ai governi resta il compito di garantire che gli individui siano liberi di perseguire il proprio progetto di felicità. Garantire, non organizzare. Quello che si limita a garantire simili diritti è uno Stato liberale, quello che pretende di organizzarli è uno Stato socialista.
Tutte cose che i cattolici adulti, quelli veri, sanno già benissimo. Come dice oggi ad Avvenire il presidente della Compagnia delle Opere, Raffaello Vignali, «la verità, la felicità, la bellezza non dipendono dalla politica. Essa non ha, non può avere, potere salvifico. In un regime democratico, almeno: la politica è un servizio alla persona e alla società».
La verità è che la differenza non potrebbe essere più grande, in termini filosofici e quanto a conseguenze politiche. Il candidato premier dell'Unione punta alla organizzazione della felicità: «Le energie ci sono a condizione che ci mettiamo insieme. E allora sarà possibile, a mio parere, organizzare anche un po’ di felicità per noi». Insomma, l'organizzazione della felicità come scopo ultimo della politica, in piena coerenza con la versione alle vongole dell'umanesimo ateo propria del sedicente "cattolico adulto" Romano Prodi.
La dichiarazione d'indipendenza americana suona completamente diversa: «Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità; che, allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini i Governi».
Dunque. Da un lato c'è una visione dell'uomo e dello Stato imbevuta di socialismo, che rende il primo subalterno al secondo. Lo Stato provvede a tutto, persino alla «organizzazione» dei bisogni più profondi dell'uomo. Per inciso, con una evidente contraddizione: la ricerca della felicità dell'uno può essere, come spesso avviene, in pieno contrasto con il progetto di felicità dell'altro, e non si capisce come possa uno Stato decidere quale progetto premiare con la propria politica. A meno che non si presuma l'esistenza di una "felicità collettiva" che la politica deve perseguire, ennesima reincarnazione costruttivista del bene comune, e forse questa presunzione Prodi ce l'ha davvero. Torna in mente Paul Claudel: «Chi cerca di creare per gli altri il paradiso in Terra, tutto ciò che ottiene è soltanto un molto rispettabile inferno».
Dall'altro lato c'è una visione profondamente religiosa e liberale (sì, le due cose vanno di pari passo, e non è certo un caso) dell'uomo e dell'origine dei suoi diritti: i diritti dell'uomo derivano dal loro Creatore. La felicità non la organizza lo Stato, ma la ricercano i singoli uomini, ognuno col suo progetto individuale. Ai governi resta il compito di garantire che gli individui siano liberi di perseguire il proprio progetto di felicità. Garantire, non organizzare. Quello che si limita a garantire simili diritti è uno Stato liberale, quello che pretende di organizzarli è uno Stato socialista.
Tutte cose che i cattolici adulti, quelli veri, sanno già benissimo. Come dice oggi ad Avvenire il presidente della Compagnia delle Opere, Raffaello Vignali, «la verità, la felicità, la bellezza non dipendono dalla politica. Essa non ha, non può avere, potere salvifico. In un regime democratico, almeno: la politica è un servizio alla persona e alla società».