Fenomenologia di Fabio Capello, teocon berlusconiano

di Fausto Carioti
Ora, intendiamoci. E' ovvio che uno che guadagna quattro milioni a stagione (tanti gliene passa la Juventus, premi inclusi, e sono tutti meritati, dal primo all'ultimo euro) e potenzialmente di milioni ne vale sei (tanti gliene aveva messi sul piatto il Real Madrid) non può ridursi a fare il collega di Oliviero Diliberto e Alfonso Pecoraro Scanio. Insomma, non lo vedremo in Parlamento, almeno sin quando non avrà smesso di allenare, e di questo occorre avere dolorosa consapevolezza. Resta, però, il dato di fatto: Fabio Capello è l’unica vera novità che in questi anni la cosiddetta “società civile” abbia dato al centrodestra. Comunisti e postcomunisti hanno i magistrati, gli Umberto Eco, i Camilleri e le Ferilli. La Casa delle Libertà di tifosi vip ha solo lui. Però è Capello. È l’allenatore più vincente d’Europa. È il miglior manager italiano, come confermano la sua busta paga e la stima internazionale di cui gode. Tra due settimane Capello voterà di nuovo per Silvio Berlusconi: lo ha appena detto all’Espresso, il settimanale più antiberlusconiano d’Italia, perché figurati se lui si fa certi problemi.
Friulano, 59 anni, figlio di un padre sopravvissuto ai campi di concentramento, Capello - chi segue il calcio lo sa - non è tipo da cercare facili consensi. Se deve far scorrere le unghie sulla lavagna non si tira indietro. È per questo, oltre al fatto che vince sempre, che sta sulle scatole a tanti. A Roma, dove ha riportato lo scudetto, deve girare con la scorta: su di lui pende la fatwa dei tifosi, è accusato di apostasia, avendo lasciato la squadra giallorossa per passare agli odiati torinesi. Persino tra gli ultras della Juventus, dove tanto per cambiare ha già vinto uno scudetto ed è pronto a fare il bis, molti non l’hanno ancora digerito. Lui se ne frega. Se ne frega anche di come la pensano i suoi attuali datori di lavoro. Dice: «Berlusconi è stato grandissimo come imprenditore, cioè in una posizione dove poteva decidere tutto o quasi. In politica invece è un uomo con le mani legate. Ha dovuto accontentare troppa gente e non ha potuto fare come voleva lui. Però lo voterò ancora».
Poche settimane fa aveva detto a Repubblica che il dittatore Francisco Franco «ha lasciato in eredità l’ordine», perché in Spagna «funziona tutto e funziona bene, ci sono educazione, pulizia, rispetto e poca burocrazia». Apriti cielo. Anche in Spagna ci sono gli antifascisti di professione, i quali debbono avere lo stesso sprezzo del ridicolo di quelli italiani, se sono arrivati a portare il “caso Capello” davanti alla Commissione europea. Chiamato a spiegarsi dall’Espresso, Capello non indietreggia di un passo. «Ho solo detto che anche un dittatore a volte può fare qualcosa di buono. Sono contro ogni tirannia, sia chiaro: ma se il franchismo ha lasciato una burocrazia che funziona, perché non devo dirlo?». Appunto. Così gli viene chiesto se lui sia di destra. Capello non dice né «sì» né «no». Argomenta. Dice di aver iniziato a seguire la politica nel ’68 e di aver votato per tanti partiti diversi: «Psi, Pri, Dc per tanti anni, poi Lega Nord e Forza Italia». Chi era già pronto a disegnarlo in camicia nera resta deluso.
C’è anche qualcosa di sinistra, in lui: dei sindacati dice di apprezzare «quello che hanno fatto per l’emancipazione dei lavoratori sfruttati», e si prega di notare quel verbo al passato. Rifiuta le etichette, ma non può evitare quella di teocon, di conservatore sensibile al richiamo delle radici religiose. «Sono molto cattolico e non mi piace l’attuale legge sull’aborto», spiega. «Mi piace invece papa Ratzinger: per me nella Chiesa c’era bisogno di una sterzatina tradizionalista. Sa, io sono uno che prega due volte al giorno, al mattino e alla sera, dovunque mi trovi». Vincente, intelligente e politicamente scorretto: troppe qualità in una persona sola. Uno così in politica rischia di non entrarci mai, nemmeno da pensionato. Peccato mortale, però.

© Libero. Pubblicato il 25 marzo 2006.

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