Coniglio bollito alla bolognese

di Fausto Carioti
Da ieri gli elettori del centrosinistra hanno un ottimo motivo in più per essere depressi dal loro portabandiera. Romano Prodi ha rifiutato, in modo ufficiale e definitivo, il faccia a faccia televisivo con Silvio Berlusconi. Tramite un portavoce, il coniglio bollito alla bolognese ha comunicato al presidente di viale Mazzini, il diessino Claudio Petruccioli, che il motivo della fuga è dovuto al fatto che il presidente del Consiglio ha respinto le condizioni che lo stesso Prodi aveva posto. Il premier ha intenzione di presentarsi comunque davanti alle telecamere lunedì, per il previsto confronto televisivo. Se Prodi non ci sarà, peggio per lui: Berlusconi fa sapere di «rispettare» la sua scelta, pur ritenendo l’atteggiamento di Prodi «illegittimo e irresponsabile». La messa in onda, in realtà, è tutt’altro che scontata: l’opposizione preme affinché la trasmissione sia cancellata, ma Berlusconi ha già avvisato Petruccioli: «Non si può mettere il bavaglio al leader di una coalizione se l’altro leader decide di non partecipare a un dibattito in tv».
Prodi si lamenta soprattutto perché il premier non ha accettato la sua richiesta di cancellare la conferenza stampa di fine legislatura. La verità è un’altra. E cioè che Prodi sa di avere un vantaggio, anche se sempre più striminzito, nei confronti del suo avversario. Sa che Berlusconi, ogni volta che appare in televisione, guadagna voti. Sa che ogni volta che sugli schermi appare lui, invece, gli sbadigli vanno via come il pane e i voti per il centrosinistra calano come le palpebre dei telespettatori. Prodi ha anche capito, osservando le apparizioni televisive del premier, che Berlusconi è tirato a lucido come non mai. E infatti sono due mesi che la sua squadra, a palazzo Grazioli, lo sta allenando e mettendo alla prova su ogni possibile argomento, proprio in vista del big match finale. Il presidente del Consiglio oggi conosce a menadito tutti i risultati del suo governo e quelli dei governi dell’Ulivo, snocciola una serie impressionante di raffronti interni e internazionali (dai quali riesce a dimostrare invariabilmente che il suo, data la congiuntura, è stato il migliore dei governi possibili) ed è convinto - in gran parte a ragione - che contro di lui sia stata montata un’enorme campagna di disinformazione. Forte delle sue capacità televisive, che anche gli avversari gli riconoscono, muore dalla voglia di vendicarsi su Prodi dei torti subiti dalla sinistra. Prodi, dal canto suo, non è mai stato in grado di padroneggiare i dati e tradurli in un discorso politico coerente ed efficace. Nemmeno nei casi più importanti.
Emblematico l’episodio del suo insediamento alla guida della Commissione europea, il 17 settembre del 1999, a Strasburgo. Il discorso del giuramento è l’atto più solenne che avviene dinanzi al parlamento europeo, ed è regolato da un protocollo rigidissimo. Che Prodi, per il fastidio dei presenti, fu costretto a strapazzare. Prima iniziò a parlare in ritardo, perché la sua segreteria non riusciva a stampare il testo del discorso. Quindi attaccò a leggere, ma con una lentezza imbarazzante, eccessiva persino per lui, tra gli sguardi perplessi degli europarlamentari. Doveva prendere tempo, fare melina: quella che aveva in mano era solo una parte del discorso. Finalmente, quando un collaboratore riuscì a consegnargli le ultime cartelle del documento, Prodi poté ricominciare a leggere alla sua lentezza normale.
Questa è la stoffa del personaggio: come Linus ha bisogno della coperta, così Prodi necessita un testo preparato da qualcuno che ne capisca. L’idea di trovarsi davanti un Berlusconi caricato, preparatissimo e intenzionato a giocarsi il tutto per tutto lo getta nel panico. Così ha scelto, anche stavolta, di fare melina e sperare che il vantaggio che gli danno adesso i sondaggi non si azzeri da qui al 9 aprile. Per coprire questa verità inconfessabile e cercare di uscirne con un po’ di dignità, Prodi ha provato a mettere il cerino in mano a Berlusconi, ponendogli condizioni irricevibili. La conferenza stampa di fine legislatura, che Prodi considera inaccettabile sul «piano sia simbolico che politico», è infatti uno dei rituali necessari a tutte le democrazie: chi ha governato per cinque anni ha il diritto-dovere di rispondere del bilancio del suo governo dinanzi agli organi d’informazione e ai cittadini. La par condicio alla quale Prodi si ribella fu voluta proprio dal centro-sinistra, alla fine della scorsa legislatura, per sterilizzare il Cavaliere. E il regolamento che Prodi non condivide è stato votato dalla Commissione di vigilanza, ed è parte integrante della stessa legge. La scelta di Prodi, insomma, politicamente e umanamente appare assai vigliacca.
Niente di strano. Il coraggio del personaggio è quello che emerge dal suo interrogatorio del 4 luglio del 1993, in qualità di testimone, davanti ad Antonio Di Pietro e ad altri Pm di Milano. Gianni Barbacetto, Peter Gomez e Marco Travaglio (non proprio tre fan di Berlusconi) nel libro “Mani Pulite” lo raccontano così. «Prodi ripete di non saper nulla di tangenti. È intimorito, balbetta, chiede di poter tornare a casa, dove lo aspetta la moglie. (...) Dopo qualche altra domanda, Di Pietro lo congeda in modo brusco: dice di tornare a casa, ma di riflettere bene sui temi toccati nell’interrogatorio, sulle domande fatte e le risposte date. L’audizione è durata due ore. Il saluto è minaccioso: “Ci rivediamo lunedì. Sappia però che potremmo essere costretti a farla continuare a riflettere lontano da casa”. (...) Di questo trattamento, Prodi corre a lagnarsi dal giudice Filippo Mancuso e dall’amico presidente Scalfaro. Quest’ultimo, turbato dal suo racconto, coglie la prima occasione utile per lanciare un pubblico richiamo contro i presunti eccessi della custodia cautelare».
Per inciso, l’intervento dell’amico Scalfaro gli fu utile: l’interrogatorio successivo si svolse nella caserma dei carabinieri, e non più in procura, e stavolta il cerbero Di Pietro, che tanto l’aveva fatto tremare, non era presente. A conferma del fatto che nella vita si può andare avanti anche scappando e piagnucolando, purché si sappia farlo nei posti giusti. Del resto, come diceva don Abbondio, «il coraggio uno non se lo può dare».

© Libero. Pubblicato l'8 marzo 2006.

Update. Berlusconi pronto a rinunciare alla conferenza stampa finale.

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