Il gioco sporco di Gheddafi

di Fausto Carioti
Con la scaltrezza tipica dei beduini come lui, il dittatore libico Muhammar Gheddafi ha capito benissimo che nei Paesi islamici l’odio contro l’Occidente è la parola magica che riesce a mettere tutti d’accordo, laici e ayatollah, sunniti e sciiti. È la medicina per tutte le malattie, la cura a tutte le lacerazioni interne, al pari dell’antiberlusconismo per la sinistra italiana. E anche se le anime belle e politicamente corrette del progressismo nostrano fingono di non saperlo, in terra d’Islam l’arma più efficace da usare contro l’Occidente è l’identità religiosa. Non a caso, catturato e messo sotto processo, Saddam Hussein, che fu il leader del partito laico baath, si è fatto crescere la barba come ogni bravo musulmano e ha iniziato a parlare di fede. In tribunale, sta sempre ben attento a farsi riprendere dalle telecamere con un’antica copia del Corano in mano. Un chiaro messaggio alla Umma, la grande comunità islamica: vuol dire “io sono uno dei vostri, abbiamo lo stesso nemico, gli infedeli che mi stanno processando”. Purtroppo per noi italiani, Gheddafi appare intenzionato a percorrere una strada simile. Resa molto più pericolosa dal fatto che il colonnello sta ancora al potere e non ha alcuna intenzione di mollarlo, se non per passarlo, quando sarà, al suo figlio prediletto, Seif el Islam.
Pur non essendo in prigione, il dittatore libico si trova messo all’angolo. Reduce dal fallimento del socialismo in salsa araba, privato della stampella dell’Unione sovietica, mai diventato credibile come interlocutore politico degli occidentali, minacciato dai fondamentalisti islamici che hanno individuato in lui un anello debole, il colonnello rischia di perdere il controllo del paese. L’età media dei suoi sudditi, pari ad appena 21 anni e mezzo, e un tasso di disoccupazione del 30%, contribuiscono a fare della Libia un ordigno pronto a esplodere in mano a chi la governa. Per uscire dal pantano Gheddafi sta giocando l’unica carta in grado di deviare altrove la rabbia dei libici: l’odio verso l’Occidente. Cioè, innanzitutto, verso noi italiani, che siamo il bersaglio più facile, visto il nostro passato di colonizzatori tanto sbruffoni quanto gonzi (siamo l’unico Paese occidentale che è riuscito a chiudere in passivo economico l’avventura coloniale).
La situazione è resa peggiore dal fatto che Gheddafi, spaventato, per cercare di rimanere a galla ha appena stipulato un accordo contronatura con quelli che sino a ieri erano i suoi principali nemici: i Fratelli musulmani libici, i quali sono stati fatti uscire dal carcere e hanno visto il loro movimento riconosciuto dalla legge. Ovviamente, il fatto che abbia tolto il guinzaglio agli integralisti islamici rende la situazione ancora più complicata per gli italiani e tutti gli altri “infedeli” occidentali.
Anche se la sinistra italiana fingerà di non aver letto le sue parole, ieri Gheddafi ha rivelato che gli scontri sanguinosi avvenuti a Bengasi davanti al consolato italiano non sono dovuti alla maglietta per la quale Roberto Calderoli è stato costretto a dimettersi, ma, parole sue, «a causa del mancato risarcimento per il crimine dell’occupazione della Libia nel 1911». Per farci capire meglio l’aria che tira dalle sue parti, ha aggiunto che i fanatici «si sono diretti al consolato d’Italia perché odiano l’Italia e non la Danimarca, non nutrono odio per la Danimarca e non conoscono quello stupido che fa disegni stupidi quanto lui». Al punto che «intendevano uccidere il console italiano e i suoi familiari». Insomma, ce l’hanno a morte con noi e ci hanno aggredito in quanto italiani. Calderoli poteva fare anche a meno di dimettersi, per quei morti davanti al consolato non ha alcuna responsabilità.
La domanda, ovviamente, è perché tutto questo accada proprio adesso. Di certo, al rais va bene così. Con spregiudicatezza tutta beduina, il dittatore sta giocando su due tavoli. Da un lato ci minaccia apertamente mentre cavalca l’odio dei libici nei confronti degli italiani e lascia campo libero ai fondamentalisti islamici - ieri ha definito Calderoli «fascista, razzista, crociato e colonizzatore»: accuse, anche religiose, dirette a infiammare ancora di più le masse libiche. Dall’altro Gheddafi ci fa capire che, ci piaccia o meno, lui rappresenta una garanzia per noi e i nostri interessi: è lui che ha fatto fermare con le pallottole chi voleva uccidere gli italiani a Bengasi, e, se lui e la sua famiglia cadono, il rischio è che la Libia finisca sotto l’influenza di qualche leader religioso amico dei tagliatori di teste.
Come sempre, le minacce vere sono quelle che non si dicono davanti alle telecamere: il 25% del petrolio importato dall’Italia viene dai pozzi di Gheddafi. E anche il gas di Tripoli è destinato ad avere un peso sempre maggiore nelle nostre importazioni, visto che entro breve entrerà in funzione il nuovo gasdotto che ci collegherà alla Libia. È questo il vero potere di ricatto che Gheddafi ha nei nostri confronti. Uno così, che gioca in modo tanto arrogante con le vite dei suoi sudditi per minacciare apertamente le nostre, meriterebbe di essere preso a calci. Per farlo, però, bisogna prima avere il coraggio di iniziare a sganciarci dal petrolio. E il gas, come si è visto questo inverno, non può essere l’alternativa. La soluzione c’è, è quella adottata da tutti i grandi Paesi europei: si chiama energia nucleare. Silvio Berlusconi ha iniziato a capirlo. Romano Prodi no, lui non ci arriverà mai.

© Libero. Pubblicato il 4 marzo 2006.

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