Gli estremisti, i moderati islamici e i versetti del corano
Ayaan Hirsi Ali, somala, rifugiatasi prima in Olanda per sfuggire alla misoginia degli islamici somali e quindi scappata negli Stati Uniti per sfuggire alle minacce degli islamici olandesi (era dedicato a lei il biglietto affisso col coltello sul corpo di Theo Van Gogh: «So con certezza, Hirsi Ali, che tu sarai distrutta»), ha appena rilasciato un'intervista al New York Times, in occasione della pubblicazione della sua autobiografia.
Nell'intervista Hirsi Ali, che adesso lavora per il think tank conservatore American Enterprise Institute, spiega così la persistente latitanza dei moderati islamici e la loro conclamata subalternità rispetto agli estremisti:
Nell'intervista Hirsi Ali, che adesso lavora per il think tank conservatore American Enterprise Institute, spiega così la persistente latitanza dei moderati islamici e la loro conclamata subalternità rispetto agli estremisti:
«Ogni volta che c'è un dibattito tra un vero jihadista e quelli che abbiamo deciso di chiamare islamici moderati, vincono i jjhadisti. Perché si presentano con il Corano e con le citazioni dal Corano. Si presentano con citazioni dalla Hadith e dalla Sunnah, e dalle tradizioni del profeta. E ogni asserzione che fanno, sia che riguardi l'obbligo delle donne a indossare il velo, o il fatto che gli ebrei debbano essere uccisi, o che gli americani sono i nostri nemici, o qualsiasi altra cosa, vincono loro. Perché ciò che dicono è del tutto coerente con ciò che è scritto nel Corano e nella Hadith. E ciò che gli islamici moderati non riescono a fare è dire: "Ascoltate, sarà anche scritto tutto là dentro, ma non era inteso per un contesto come il nostro. Noi siamo andati avanti. Possiamo cambiare il Corano, possiamo cambiare la Hadith". Questò è ciò che manca».La reinterpretazione delle scritture e dei precetti dell'islam, il loro adattamento ai tempi, fu proprio il cuore del discorso che fece Ratzinger ai suoi allievi a Castel Gandolfo nel settembre del 2005, secondo il racconto fatto dal suo allievo Joseph Fessio.
«Spiegò che nella tradizione islamica», sono le parole di Fessio, «Dio ha dato la Sua parola a Maometto, ma è una parola eterna. Non è la parola di Maometto. E' qui per l'eternità così com'è. Non vi è possibilità di adattarla o interpretarla, mentre nel Cristianesimo e nell'Ebraismo il processo è completamente differente, perché Dio ha lavorato attraverso le Sue creature. Quindi non è solo la parola di Dio, è la parola di Isaia; non è solo la parola di Dio, ma la parola di Marco». In sostanza «vi è una logica interna nella Bibbia, che permette e richiede di essere adattata e applicata a nuove situazioni». A domanda se il Papa sia pessimista sul cambiamento dell'Islam, perché richiederebbe una radicale reinterpretazione del Corano, il suo allievo risponde: «Sì, questa reinterpretazione è impossibile, perché è contraria alla vera natura dell'Islam così come è inteso dai musulmani». E questo rende anche impossibile una Riforma dell'Islam.Padre Fessio fece poi, con ogni probabilità dietro pressione del Vaticano, una brusca retromarcia. Ma che il succo della tesi di Ratzinger fosse stato molto simile a quello della sua prima versione lo si è capito un anno dopo, nel famoso discorso accademico che papa Benedetto XVI ha tenuto a Ratisbona, quando ha insistito sull'importanza del ruolo della ragione umana nella lettura dei testi sacri, ovvero sulla necessità di una loro continua reinterpretazione. Spiega tutto molto bene il teologo Samir Khalil Samir.