In difesa di Rossi e Turigliatto. E contro Bertinotti
di Fausto Carioti
Certo, difendere su Libero i senatori Fernando Rossi e Franco Turigliatto, i quali con la loro astensione hanno contribuito a mandare in crisi il governo Prodi, rischia di passare per carità pelosa. Però va fatto, per ragioni di decenza e perché nessuno si è degnato di spendere una parola per loro, nemmeno il Manifesto, che pure certe motivazioni avrebbe dovuto capirle benissimo. Mentre Rai Tre, Liberazione e l’Unità allestiscono processi in piazza ai due parlamentari pacifisti (con il quotidiano di Antonio Padellaro che sobriamente invita al linciaggio politico titolando: «Hanno tradito 19 milioni di elettori»). E poi perché nessuno ha alzato un sopracciglio sul duro match di wrestling che Fausto Bertinotti e gli altri esponenti di Rifondazione hanno ingaggiato contro la propria coerenza, uscendone vincitori e lasciando l’avversario tramortito. In queste ore i rifondaroli cachemire e caviale stanno gettando ami un po’ ovunque per allargare la maggioranza a esponenti dell’Udc e di altri partiti di centro. Stanno cercando di scendere a patti col diavolo, impersonificato dal senatore a vita e uomo dei “poteri forti” Sergio Pininfarina, mai corteggiato dai compagni come oggi, nonostante lo sgarbo che gli ha fatto in aula mercoledì. Dulcis in fundo, per domenica i rifondaroli stanno organizzando una manifestazione di piazza in difesa del governo Prodi, imitati dai Verdi e dai Comunisti italiani. Sarà divertentissimo vederli sfilare contro il vile pacifismo e in favore della valorosa missione militare in Afghanistan. Ma nessun imbarazzo è troppo grande se si tratta di lasciare al suo posto il presidente della Camera e gli altri esponenti del Politburo prodiano. Poltrona rossa trionferà.
«Contro la guerra, senza se e senza ma». Qualcuno ricorda? Era sulle bocche di tutti, sugli striscioni, sulle bandiere della pace, sui manifesti elettorali, scritto sui muri. Ora è scomparso. Era servito per rastrellare i voti degli elettori più ingenui e degli antiamericani con la bava alla bocca. Fatta la grazia, gabbato lo santo: il giorno dopo il voto si torna a fare realpolitik, guidati da quel fine stratega di Massimo D’Alema. Così la politica estera della sinistra si è imbottita di «se» e di «ma». È vero, ha detto mercoledì il ministro in Senato, mandiamo i nostri soldati in Afghanistan, «ma la missione è innanzitutto politica e civile». Li ritireremo? «Se» e quando ci saranno le condizioni politiche per farlo. Siamo con i pacifisti e con il multilateralismo dell’Onu, «ma» in questo momento non possiamo dire no agli Stati Uniti e al loro unilateralismo. Così a sinistra fingono di essersi scordati il ritornello con il quale si sono riempiti la bocca per mesi.
La sola colpa di Rossi e Turigliatto è essere stati fedeli a ciò che andavano a dire in piazza agli elettori. Avevano promesso che non avrebbero mai votato in favore delle missioni di guerra. Hanno mantenuto l’impegno. Certo, per Prodi e Bertinotti il «dissenziente» perfetto è il senatore Fosco Giannini, di Rifondazione Comunista. Il quale prima ha detto in aula che il governo italiano «è complice dello sciagurato progetto Usa di guerra infinita e permanente». In diretta televisiva ha spiegato che «questo governo che dovrei sostenere non riesce a liberarsi dalla subordinazione agli Usa, alla Nato, all’Unione Europea, al nefasto Patto di stabilità, al Vaticano, alla Confindustria e ai poteri economici forti italiani». Per poi tirare le somme e concludere: «Voterò ancora a favore di questo governo, che quasi nulla ha di alternativa sociale e politica». Il lettore è libero di decidere chi, tra Turigliatto, il quale ieri è stato espulso da Rifondazione, e Giannini, che in casa Bertinotti oggi è una specie di eroe, abbia tradito i suoi elettori.
Intanto lo stato maggiore del Prc sta cercando - sinora con scarsi risultati - di allestire una campagna acquisti che manco il Luciano Moggi dei tempi d’oro. Gennaro Migliore, capogruppo rifondarolo alla Camera e uomo di fiducia di Bertinotti, ieri ha chiesto un «rafforzamento» della maggioranza, «anche con alcune aggiunte eventuali sulla base del nostro programma, perché questo è stato il mandato degli elettori. Tutti i voti aggiuntivi che possano dare stabilità saranno un servizio al Paese». Tradotto: caro Marco Follini, cari senatori del movimento per le Autonomie, anche se siete stati eletti con il centrodestra e la pensate agli antipodi rispetto a noi in nove casi su dieci, siamo pronti a farvi i ponti d’oro affinché ci diate una mano a uscire dal fango e a mantenere Bertinotti su quella sedia alla quale tiene tanto. Notare che «il mandato degli elettori» è vincolante solo per i loro parlamentari, ma vale come la carta igienica per gli eletti nelle liste della Cdl, i quali possono, anzi debbono tradirlo e fare il salto della quaglia. Per il bene del Paese, s’intende.
Anche la pretesa di obbligare i parlamentari a votare come indicato dal loro partito suona un po’ ridicola in bocca ai compagni di Bertinotti. In quella costituzione alla quale tengono tanto non c’è scritto niente di simile. Anzi, a essere pignoli vi si legge esattamente il contrario: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Ma le vestali della sacra Carta, pronte a strepitare ogni volta che Berlusconi propone di modificarla, stavolta o stanno zitte o si uniscono al coro dei picchiatori. E dire che i motivi che hanno portato i due senatori a votare contro la relazione di D’Alema stavano già scritti sui manifesti elettorali dei loro partiti. Dov’è il tradimento? Del resto, se il partito decidesse per tutti, basterebbe fare un Parlamento composto dai soli leader: il voto di Piero Fassino e quello di Francesco Rutelli valgono cinque, quello di Silvio Berlusconi sei, Gianfranco Fini quattro. Chi mette assieme più punti vince. È questo il loro concetto di democrazia parlamentare? Se sì, lo dicano, così risparmiamo un sacco di soldi in stipendi di senatori, deputati e portaborse e facciamo lavorare le Camere in modo molto più spedito.
L’errore a sinistra c’è stato, ma non porta la firma di Turigliatto e Rossi. Lo hanno commesso Romano Prodi, Fassino e gli altri leader del centrosinistra, quando hanno firmato insieme un programma inutile di 281 pagine, ben sapendo che in realtà erano divisi su ogni cosa: questo sì, un tradimento della buona fede degli elettori. Tutti a casa, allora. Come ha detto D’Alema. Senza se e senza ma.
© Libero. Pubblicato il 23 febbraio 2007.
Certo, difendere su Libero i senatori Fernando Rossi e Franco Turigliatto, i quali con la loro astensione hanno contribuito a mandare in crisi il governo Prodi, rischia di passare per carità pelosa. Però va fatto, per ragioni di decenza e perché nessuno si è degnato di spendere una parola per loro, nemmeno il Manifesto, che pure certe motivazioni avrebbe dovuto capirle benissimo. Mentre Rai Tre, Liberazione e l’Unità allestiscono processi in piazza ai due parlamentari pacifisti (con il quotidiano di Antonio Padellaro che sobriamente invita al linciaggio politico titolando: «Hanno tradito 19 milioni di elettori»). E poi perché nessuno ha alzato un sopracciglio sul duro match di wrestling che Fausto Bertinotti e gli altri esponenti di Rifondazione hanno ingaggiato contro la propria coerenza, uscendone vincitori e lasciando l’avversario tramortito. In queste ore i rifondaroli cachemire e caviale stanno gettando ami un po’ ovunque per allargare la maggioranza a esponenti dell’Udc e di altri partiti di centro. Stanno cercando di scendere a patti col diavolo, impersonificato dal senatore a vita e uomo dei “poteri forti” Sergio Pininfarina, mai corteggiato dai compagni come oggi, nonostante lo sgarbo che gli ha fatto in aula mercoledì. Dulcis in fundo, per domenica i rifondaroli stanno organizzando una manifestazione di piazza in difesa del governo Prodi, imitati dai Verdi e dai Comunisti italiani. Sarà divertentissimo vederli sfilare contro il vile pacifismo e in favore della valorosa missione militare in Afghanistan. Ma nessun imbarazzo è troppo grande se si tratta di lasciare al suo posto il presidente della Camera e gli altri esponenti del Politburo prodiano. Poltrona rossa trionferà.
«Contro la guerra, senza se e senza ma». Qualcuno ricorda? Era sulle bocche di tutti, sugli striscioni, sulle bandiere della pace, sui manifesti elettorali, scritto sui muri. Ora è scomparso. Era servito per rastrellare i voti degli elettori più ingenui e degli antiamericani con la bava alla bocca. Fatta la grazia, gabbato lo santo: il giorno dopo il voto si torna a fare realpolitik, guidati da quel fine stratega di Massimo D’Alema. Così la politica estera della sinistra si è imbottita di «se» e di «ma». È vero, ha detto mercoledì il ministro in Senato, mandiamo i nostri soldati in Afghanistan, «ma la missione è innanzitutto politica e civile». Li ritireremo? «Se» e quando ci saranno le condizioni politiche per farlo. Siamo con i pacifisti e con il multilateralismo dell’Onu, «ma» in questo momento non possiamo dire no agli Stati Uniti e al loro unilateralismo. Così a sinistra fingono di essersi scordati il ritornello con il quale si sono riempiti la bocca per mesi.
La sola colpa di Rossi e Turigliatto è essere stati fedeli a ciò che andavano a dire in piazza agli elettori. Avevano promesso che non avrebbero mai votato in favore delle missioni di guerra. Hanno mantenuto l’impegno. Certo, per Prodi e Bertinotti il «dissenziente» perfetto è il senatore Fosco Giannini, di Rifondazione Comunista. Il quale prima ha detto in aula che il governo italiano «è complice dello sciagurato progetto Usa di guerra infinita e permanente». In diretta televisiva ha spiegato che «questo governo che dovrei sostenere non riesce a liberarsi dalla subordinazione agli Usa, alla Nato, all’Unione Europea, al nefasto Patto di stabilità, al Vaticano, alla Confindustria e ai poteri economici forti italiani». Per poi tirare le somme e concludere: «Voterò ancora a favore di questo governo, che quasi nulla ha di alternativa sociale e politica». Il lettore è libero di decidere chi, tra Turigliatto, il quale ieri è stato espulso da Rifondazione, e Giannini, che in casa Bertinotti oggi è una specie di eroe, abbia tradito i suoi elettori.
Intanto lo stato maggiore del Prc sta cercando - sinora con scarsi risultati - di allestire una campagna acquisti che manco il Luciano Moggi dei tempi d’oro. Gennaro Migliore, capogruppo rifondarolo alla Camera e uomo di fiducia di Bertinotti, ieri ha chiesto un «rafforzamento» della maggioranza, «anche con alcune aggiunte eventuali sulla base del nostro programma, perché questo è stato il mandato degli elettori. Tutti i voti aggiuntivi che possano dare stabilità saranno un servizio al Paese». Tradotto: caro Marco Follini, cari senatori del movimento per le Autonomie, anche se siete stati eletti con il centrodestra e la pensate agli antipodi rispetto a noi in nove casi su dieci, siamo pronti a farvi i ponti d’oro affinché ci diate una mano a uscire dal fango e a mantenere Bertinotti su quella sedia alla quale tiene tanto. Notare che «il mandato degli elettori» è vincolante solo per i loro parlamentari, ma vale come la carta igienica per gli eletti nelle liste della Cdl, i quali possono, anzi debbono tradirlo e fare il salto della quaglia. Per il bene del Paese, s’intende.
Anche la pretesa di obbligare i parlamentari a votare come indicato dal loro partito suona un po’ ridicola in bocca ai compagni di Bertinotti. In quella costituzione alla quale tengono tanto non c’è scritto niente di simile. Anzi, a essere pignoli vi si legge esattamente il contrario: «Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni». Ma le vestali della sacra Carta, pronte a strepitare ogni volta che Berlusconi propone di modificarla, stavolta o stanno zitte o si uniscono al coro dei picchiatori. E dire che i motivi che hanno portato i due senatori a votare contro la relazione di D’Alema stavano già scritti sui manifesti elettorali dei loro partiti. Dov’è il tradimento? Del resto, se il partito decidesse per tutti, basterebbe fare un Parlamento composto dai soli leader: il voto di Piero Fassino e quello di Francesco Rutelli valgono cinque, quello di Silvio Berlusconi sei, Gianfranco Fini quattro. Chi mette assieme più punti vince. È questo il loro concetto di democrazia parlamentare? Se sì, lo dicano, così risparmiamo un sacco di soldi in stipendi di senatori, deputati e portaborse e facciamo lavorare le Camere in modo molto più spedito.
L’errore a sinistra c’è stato, ma non porta la firma di Turigliatto e Rossi. Lo hanno commesso Romano Prodi, Fassino e gli altri leader del centrosinistra, quando hanno firmato insieme un programma inutile di 281 pagine, ben sapendo che in realtà erano divisi su ogni cosa: questo sì, un tradimento della buona fede degli elettori. Tutti a casa, allora. Come ha detto D’Alema. Senza se e senza ma.
© Libero. Pubblicato il 23 febbraio 2007.