A sinistra si inventano i morti anche in Iraq
Piero Sansonetti, direttore di Liberazione, è uno dei giornalisti di sinistra che leggo di buon grado. Leggendolo e discutendoci una volta in un recente dibattito radiofonico a Radio 24 mi sono fatto l'idea che sia una persona intelligente. La pensiamo agli antipodi su tutto - ovviamente - ma è un avversario ideologico che tutto sommato, pur conoscendolo superficialmente, stimo abbastanza, e lo conferma anche il fatto che spesso viene intervistato su Libero. Insomma, stamattina leggo il suo editoriale su Fabrizio Quattrocchi, che nei confronti del nostro piccolo grande eroe italiano dice cose di gran lunga meno livorose di molti altri a sinistra (anche se non sono le mie idee, inutile dirlo). Poi, verso la fine dell'articolo, incappo nella seguente frase: «Fabrizio Quattrocchi - come Enzo, come Nicola, come più di duemila americani, come centinaia di inglesi, come alcuni polacchi, coreani, giapponesi, tedeschi, francesi, come quasi duecentomila iracheni - è una vittima di questa guerra». E allora capisco, per l'ennesima volta, che aveva ragione Giovannino Guareschi quando parlava della terza narice: ce l'hanno tutti, anche i migliori.
Duecentomila morti iracheni. E' una cifra fasulla, buttata lì - non vedo proprio altra spiegazione - al solo scopo di gettare un altro po' di fango sugli Stati Uniti, che tanto per i comunisti non è mai abbastanza. I dati ufficiali, forniti da George W. Bush a metà dicembre, parlano di circa 30mila morti iracheni: appena 170.000 in meno di quelli evidenziati da Sansonetti. Obiezione da sinistra: ma che fai, ci vendi per buoni i dati della Casa Bianca? Obiezione accolta. Esiste un conteggio indipendente, fatto - dicono loro - con criteri scientifici da un gruppo di bravi studiosi "impegnati", ovviamente contrari alla guerra. E' consultabile da chiunque sul sito di Iraq Body Count. Il numero di morti in Iraq, a tutt'oggi, secondo loro, è compreso tra 27.787 e 31.317. Per gli appassionati della matematica, la media dei due estremi è pari a 29.552, cioè qualcosina in meno della cifra dichiarata da Bush.
Particolare importantissimo: questa cifra comprende tutti i morti in Iraq a causa di eventi violenti a partire dal 2003 al 2005, anche quelli fatti dai kamikaze. Secondo l'ultima statistica disponibile, le forze alleate guidate dagli americani sono ritenute responsabili infatti del 37% delle vittime: molto meno della metà del totale, quindi. Il 9% dei morti sono stati fatti dai terroristi della resistenza irachena (il rapporto di Iraq Body Count ovviamente li chiama "forze anti-occupazione"). Gli atti di violenza criminale successivi alla liberazione irachena che ha portato la democrazia nel Paese (il rapporto IBC la chiama "invasione" americana) hanno provocato il 36% delle vittime. Il restante 18% pare da attribuire alla criminalità comune e ad altri fattori non meglio precisati. Il rapporto di Iraq Body Count, vista la "imparzialità" dei suoi curatori (ovvero il fatto che siano apertamente anti-americani) e i criteri oggettivi adottati, è ritenuto generalmente la fonte più credibile.
Anche per questo nessuno ha preso sul serio il sondaggio pubblicato dal giornale medico Lancet, che ha interpellato un campione di appena 988 famiglie irachene e dalle loro risposte ha estrapolato statisticamente un numero di morti complessivo che dovrebbe essere pari a centomila. Questa stima, realizzata col metodo induttivo, ovvero il meno scientifico possibile, è la più elevata sinora fatta delle vittime in Iraq. Anche essa, ovviamente, comprende i morti per tutte le cause violente, terroristi e delinquenti comuni compresi. E comunque, anche a fingere di voler prendere per buona la cifra, siamo appena a metà dei 200.000 sparati in prima pagina dal quotidiano rifondarolo.
A chi dice poi (qualcuno particolarmente sveglio che lo sostenga si trova sempre) che un morto, due, trentamila o duecentomila non fa differenza, la risposta è sempre la solita: vallo a chiedere ai 170.000 morti in meno se sono d'accordo oppure no. E soprattutto, se davvero trentamila morti o duecentomila sono la stessa cosa, perché a sinistra c'è tutta questa smania di gonfiare le cifre, a costo di inventarsele? Perché tutta questa macabra ansia da prestazione sui cadaveri, questo fare a gara a chi tira fuori la lista più lunga?
Duecentomila morti iracheni. E' una cifra fasulla, buttata lì - non vedo proprio altra spiegazione - al solo scopo di gettare un altro po' di fango sugli Stati Uniti, che tanto per i comunisti non è mai abbastanza. I dati ufficiali, forniti da George W. Bush a metà dicembre, parlano di circa 30mila morti iracheni: appena 170.000 in meno di quelli evidenziati da Sansonetti. Obiezione da sinistra: ma che fai, ci vendi per buoni i dati della Casa Bianca? Obiezione accolta. Esiste un conteggio indipendente, fatto - dicono loro - con criteri scientifici da un gruppo di bravi studiosi "impegnati", ovviamente contrari alla guerra. E' consultabile da chiunque sul sito di Iraq Body Count. Il numero di morti in Iraq, a tutt'oggi, secondo loro, è compreso tra 27.787 e 31.317. Per gli appassionati della matematica, la media dei due estremi è pari a 29.552, cioè qualcosina in meno della cifra dichiarata da Bush.
Particolare importantissimo: questa cifra comprende tutti i morti in Iraq a causa di eventi violenti a partire dal 2003 al 2005, anche quelli fatti dai kamikaze. Secondo l'ultima statistica disponibile, le forze alleate guidate dagli americani sono ritenute responsabili infatti del 37% delle vittime: molto meno della metà del totale, quindi. Il 9% dei morti sono stati fatti dai terroristi della resistenza irachena (il rapporto di Iraq Body Count ovviamente li chiama "forze anti-occupazione"). Gli atti di violenza criminale successivi alla liberazione irachena che ha portato la democrazia nel Paese (il rapporto IBC la chiama "invasione" americana) hanno provocato il 36% delle vittime. Il restante 18% pare da attribuire alla criminalità comune e ad altri fattori non meglio precisati. Il rapporto di Iraq Body Count, vista la "imparzialità" dei suoi curatori (ovvero il fatto che siano apertamente anti-americani) e i criteri oggettivi adottati, è ritenuto generalmente la fonte più credibile.
Anche per questo nessuno ha preso sul serio il sondaggio pubblicato dal giornale medico Lancet, che ha interpellato un campione di appena 988 famiglie irachene e dalle loro risposte ha estrapolato statisticamente un numero di morti complessivo che dovrebbe essere pari a centomila. Questa stima, realizzata col metodo induttivo, ovvero il meno scientifico possibile, è la più elevata sinora fatta delle vittime in Iraq. Anche essa, ovviamente, comprende i morti per tutte le cause violente, terroristi e delinquenti comuni compresi. E comunque, anche a fingere di voler prendere per buona la cifra, siamo appena a metà dei 200.000 sparati in prima pagina dal quotidiano rifondarolo.
A chi dice poi (qualcuno particolarmente sveglio che lo sostenga si trova sempre) che un morto, due, trentamila o duecentomila non fa differenza, la risposta è sempre la solita: vallo a chiedere ai 170.000 morti in meno se sono d'accordo oppure no. E soprattutto, se davvero trentamila morti o duecentomila sono la stessa cosa, perché a sinistra c'è tutta questa smania di gonfiare le cifre, a costo di inventarsele? Perché tutta questa macabra ansia da prestazione sui cadaveri, questo fare a gara a chi tira fuori la lista più lunga?