I blocchi dei metalmeccanici, la legge della giungla e la morte del sindacato

di Fausto Carioti
I più forti, i più violenti, bloccano le strade. I più deboli subiscono: spengono il motore e aspettano. Mutismo e rassegnazione, come impongono i “nonni” in caserma: stessa logica mafiosa. I sindacati applaudono. La polizia sta a guardare. Chiamiamola pure col suo nome: legge della giungla. È il modello di confronto sociale più diffuso in Italia. Ieri è stato il turno dei metalmeccanici. Ma è uno sport che in questo Paese praticano un po’ tutti, nobili e figli del popolo. L’autostrada rovina la vista dalla villa di Capalbio? Il principe Nicola Caracciolo, con il suo corteo di ambientalisti Vip, ti organizza il blocco dell’Aurelia: dieci chilometri di coda, e pazienza per quei poveri bischeri che sono lì in fila ad aspettare. Non hai rispettato la legge sulle quote latte e rischi di pagare la multa? Assieme ad altri cento che stanno nella tua situazione invadi le strade con mucche e trattori. Viticoltori e coltivatori di pomodoro restano con il prodotto invenduto? Tutti giù per strada, e gli altri a bloccare i binari, come la scorsa estate. Tutti impuniti. Meglio: tutti premiati. Politici in fila per aiutarti a trovare una soluzione, prima pagina dei quotidiani locali garantita, servizio sui tg e intervista con foto sui quotidiani della buona borghesia italiana. Il teppismo di gruppo, in Italia, paga sempre. E a ridosso delle elezioni paga un po’ di più.
Ieri le tute blu hanno dato il loro contributo a questa logica di sopraffazione. Fermata per l’intera mattinata la tangenziale di Torino. Blocchi sulla Torino-Milano, sulla Orte-Cesena e su decine di altre strade. Non è andata meglio a Bergamo e nel centro di Genova. In un Paese serio i sindacati avrebbero condannato gli autori dei blocchi, che stanno agendo in aperta violazione della legge, scavalcando i loro stessi rappresentanti e allontanando le simpatie del resto degli italiani dalla causa dei metalmeccanici. Ma le sigle confederali, che evidentemente di serio e responsabile non hanno più nulla, hanno deciso che i violenti è meglio arruolarli e nominarli avanguardie del sindacato. Non c’è niente di velato nel messaggio lanciato da Giorgio Cremaschi, leader della Fiom-Cgil, in vista dell’incontro di oggi con la controparte: «Gli industriali ci pensino settanta volte sette prima di decidere di non fare il contratto. La mobilitazione di queste ore dimostra che i calcoli fatti da qualcuno su una rinuncia dei metalmeccanici al contratto nazionale sono sbagliati e si ritorcono sulle aziende». Chiarissimo anche l’avvertimento di Tonino Regazzi, segretario nazionale della Uilm: «Se Federmeccanica darà una risposta negativa alle nostre richieste, le proteste e i blocchi si estenderanno a tutta Italia». Tradotto: o le imprese mettono la firma su ciò che chiediamo, o dovranno assumersi la responsabilità di vedere il Paese bloccato.
Il sindacato, così facendo, e probabilmente anche senza accorgersene, prende atto della propria inutilità. Non è stato capace di trovare un accordo con le imprese per il rinnovo del contratto. Non è capace di mantenere la protesta degli operai, molti dei quali suoi iscritti, all’interno delle regole democratiche. Non fa in alcun modo da filtro tra i lavoratori e la collettività, smentendo così la propria pretesa di svolgere un ruolo “sociale”. Tutto quello che sa fare è cavalcare la protesta dei teppisti e minacciare di aizzarli contro i “padroni”. Ma un sindacato simile è ormai un organismo autoreferenziale, la cui unica funzione è trasformare i soldi delle tessere in stipendi per i propri sindacalisti. È un sindacato che è già morto, anche se non sa di esserlo, forse perché per illuderlo di essere vivo gli basta portare i pensionati a Roma in gita premio quando c’è da manifestare contro il governo guidato dal “nemico”.
Se il braccio di ferro per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici si trascina da oltre un anno, è chiaro che le imprese hanno la loro dose di responsabilità. Ed è giusto che i lavoratori le chiamino a rispondere di queste colpe, nei tempi e nei modi in cui la legge consente loro di farlo. Ma quello che è avvenuto ieri, e che rischia di ripetersi nei prossimi giorni, non ha niente a che vedere con un modo corretto di portare avanti il conflitto sociale. È un ricatto vigliacco, giocato sulla pelle degli altri italiani. Un ricatto che può essere condotto solo perché il governo - specie adesso, che siamo a undici settimane dalle elezioni - a tutto pensa tranne che a usare la polizia per far rispettare la legge. Savino Pezzotta, numero uno della Cisl, ricorda che «i lavoratori pagano di tasca loro le giornate di sciopero». E ci mancherebbe altro. Ma la domanda cui devono rispondere Pezzotta e i suoi colleghi sindacalisti è un’altra: le giornate perse dai poveri cristi rimasti bloccati sulle tangenziali e sulle autostrade dai picchetti dei “compagni metalmeccanici”, quelle, chi le paga?

© Libero. Pubblicato il 17 gennaio 2006.

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