Il discorso di Ciampi e il gioco delle finzioni

Quello di Carlo Azeglio Ciampi non è stato un discorso d'addio. Il presidente della Repubblica è riuscito a dire, nell'ordine, che:
1) in questi sette anni ha voluto abitare al Quirinale con la moglie (insomma, ci si è trovato benissimo, nel caso non si fosse capito) e durante questo periodo il palazzo sul Colle è diventato «la casa degli italiani»;
2) in questi sette anni ha visitato ogni provincia d'Italia;
3) in questi sette anni ha trasmesso «l'orgoglio di essere italiani» (strizzatina d'occhio alla destra tradizionalista);
4) il nostro Paese, «investito dalla globalizzazione» (si noti: «investito dalla», non «coinvolto nella», che sarebbe stata la formula neutrale) sta attraversando per questo «problemi» e «difficoltà» che inducono (nientemeno) una «spontanea reazione» (strizzatina d'occhio alla sinistra estrema);
5) in questi sette anni è stato imparziale e rispettoso con tutti;
6) ha difeso la laicità dello Stato (spot diretto al target dei laici), ma in piena intesa con «Sua Santità Benedetto XVI», al quale ha fatto gli auguri a reti unificate, così come prima andava d'amore e d'accordo con «il Suo indimenticabile predecessore, Giovanni Paolo II» (spot diretto al target dei cattolici).
In tutto, in un discorso di 7.300 battute, 3.990 (il 55%) sono state usate per rivendicare i suoi meriti durante il settennato.
Quello di Ciampi non è stato un discorso d'addio, che quando sarà il momento avrà tempo e modo di fare. E' stato un discorso di ricandidatura per il Quirinale. E siccome Ciampi non è certo uno sprovveduto, sa benissimo che il modo migliore per tenere alte le sue chances è mantenere il profilo da civil servant che tutto cerca tranne che nuovi incarichi. Incarichi che però, se proprio gli dovessero capitare addosso, il nostro è sempre pronto ad assumersi.
Maggioranza e opposizione partecipano al gioco delle parti. Silvio Berlusconi e Romano Prodi smaniano per occupare quel posto, anche se non lo dicono. In caso di vittoria ampia di uno dei due, l'operazione è scontata. Tutti, però, tengono in piedi l'ipotesi di un Ciampi-bis. Primo, per ovvie ragioni di facciata, perché dire il contrario sarebbe poco elegante e nessuno si vuole fare nemico il Quirinale in campagna elettorale. Secondo, per ragioni sostanziali: in caso di pareggio o di vittoria risicata, o tocca a Ciampi o tocca a Giuliano Amato.
Se poi - anagrafe a parte, che ovviamente ha il suo gran peso - la rielezione di Ciampi al Quirinale sia una cosa desiderabile o meno, è altro discorso. Dipende, ovviamente, dalle alternative e dalla configurazione del Parlamento che dovrà eleggere il prossimo presidente della Repubblica. Agli amici della Cdl che storcono il naso (cosa che talvolta faccio anche io) dinanzi a Ciampi, rispondo con tre parole: Oscar-Luigi-Scalfaro.
Piaccia o meno, molti dei meriti che Ciampi ha rivendicato nel suo spottone a reti unificate sono reali. Soprattutto gli va riconosciuto che sinora - nonostante la sua vicinanza ideologica all'opposizione - sia stato di fatto imparziale da un punto di vista istituzionale e abbia insistito nel recupero del concetto di Patria (con la maiuscola) . Né, va aggiunto, ha mai ceduto alla retorica del declino e dello sfascio che tanto piace a Prodi e alla sinistra. Abbiamo avuto di peggio al Quirinale. Di molto peggio. E di molto peggio potremmo avere.

Post popolari in questo blog

L'articolo del compagno Giorgio Napolitano contro Aleksandr Solzhenitsyn

Anche De Benedetti scarica Veltroni

Quando Napolitano applaudiva all'esilio di Solzhenitsyn