Quirinale, la grande partita dell'ipocrisia

Si mente in modo spudorato, si mandano avanti candidati finti per coprire quelli veri, si dichiara di voler appoggiare un candidato che si spera venga sconfitto, si cerca il modo migliore per fregare il proprio alleato, o addirittura un uomo del proprio partito, trattando sottobanco con l'avversario con il quale pubblicamente ti ricopri di insulti. E' la partita per il Quirinale, quintessenza della politica italiana. Scandalizzarsi è inutile: la politica funziona così, per farla ci vuole pelo sullo stomaco. Quella che segue è una piccola guida, costruita sui candidati in corsa per il Colle, per capire meglio una partita in cui poco o nulla è come sembra. Con un'avvertenza: la fotografia di oggi tra due giorni potrebbe essere già vecchia. Perché le variabili in gioco, come si vedrà, sono tante, in continuo movimento, e si intrecciano tutte tra di loro.
Carlo Azeglio Ciampi. Dinanzi all'ipotesi di una sua riconferma Silvio Berlusconi non si strappa i capelli trapiantati per la gioia. Però è il candidato al quale affida la maggior parte delle sue speranze. I Ds (e in buona misura anche la Margherita) invece se ne sbarazzerebbero volentieri. Non per disistima nei confronti nel personaggio, ci mancherebbe. Ma per potersi giocare quella poltrona tra di loro (e forse l'uno contro l'altro, come proverò a spiegare). Però davanti al suo nome sono costretti a inchinarsi. Tradotto: se Berlusconi, il cui scopo è mandare al Quirinale il meno peggio, dovesse puntare dritto su Ciampi, Ds e Margherita sarebbero in serio imbarazzo e non potrebbero dire di no. Solo Ciampi, a questo punto, potrebbe tirarli fuori dai guai, rifiutando, per ragioni di età, un secondo incarico. Ma l'idea di essere il primo presidente della Repubblica a fare il bis lo tenta. E non poco. Se dovesse davvero vincere anche questa corsa, i veri sconfitti sarebbero i Ds. Delle quattro principali cariche dello Stato (presidenza della Repubblica, del Senato, della Camera e del Consiglio) nemmeno una finirebbe nelle loro mani. I Ds, primo partito della coalizione, avrebbero "donato il sangue", come dicono loro, per mandare Franco Marini, Fausto Bertinotti e Romano Prodi a occupare le rispettive cariche, senza ottenere manco un Quirinale in cambio. Massimo D'Alema non la prenderebbe benissimo: il primo a farne le spese sarebbe Piero Fassino, e il secondo sarebbe Prodi, che si troverebbe un molosso con baffi intento ad annusargli le parti basse, in attesa del momento migliore per affondare i denti.
Giuliano Amato. E' il presidente della repubblica che Berlusconi sogna. Tanto che lo tiene ancora coperto, definendolo «uno di sinistra», e quindi improponibile per il Colle, apposta per non bruciarlo. Perché sa che far vincere Amato potrebbe essere impresa ardua. Nessun partito dell'Unione si riconosce in lui, né è pronto quindi a fare le barricate per portarlo al Quirinale. Anzi, a sinistra tanti lo considerano ancora un craxiano opportunista che per restare a galla si è infilato nelle liste dell'Ulivo. Se dovesse arrivare al rush finale, i Ds - il partito al quale è più vicino - sarebbero costretti a sostenerlo. Poco male: c'è sempre il voto segreto per silurarlo. Ma non è così facile, perché curriculum, anagrafe e stima (bipartisan, per non dire raccolta più a destra che a sinistra) dicono che Amato sulla carta è un candidato forte. Forse pure troppo. Per i Ds la sua vittoria sarebbe una sconfitta. Anche perché Amato, pur non essendo "organico" al partito, è comunque considerato dagli alleati "in quota" a Fassino e D'Alema, e quindi la sua nomina con ogni probabilità verrebbe fatta pagare ai Ds in sede di assegnazione delle poltrone ministeriali.
Giorgio Napolitano. L'anziano senatore a vita diessino, migliorista che fu, pare fatto apposta per l'incarico. Il portamento e la trombonaggine istituzionale li ha, i modi democristiani pure e il senso delle istituzioni non gli manca. Pur senza ammetterlo mai, potrebbe digerirlo anche Berlusconi. Il problema è proprio questo: dentro al suo partito lo vedono come un dc mancato. In più, a differenza di Amato, proviene dal Partito comunista, quindi al Botteghino proprio non potrebbero tirarsi indietro davanti al suo nome. Ma, in quanto ex-pci, Napolitano sarebbe considerato dagli alleati dei Ds una concessione enorme al partito di D'Alema e Fassino. I quali, anche in questo caso, resterebbero a bocca asciutta e, in cambio della definitiva abrogazione del "fattore K", dovrebbero pagare un prezzo sostanzioso in termini di poltrone governative. Dalla loro i vertici diessini hanno l'appoggio della Cdl, che non riuscirebbe a far digerire ai suoi elettori un ex comunista al Quirinale. Non dopo aver visto Bertinotti andare alla presidenza della Camera. Ed è difficile che l'Unione vada al muro contro muro nei confronti del centrodestra per un nome del quale, stringi stringi, non frega nulla a nessuno. Se lotta all'arma bianca dovrà essere, la si farà solo per un altro nome.
Massimo D'Alema. Lui scalpita per andare al Quirinale, Fassino scalpita per spedircelo perché sennò paga di persona e perché così alla Farnesina può andarci lui, Prodi se lo toglierebbe dalle scatole più che volontieri. Del resto, il patto tra gli alleati prevedeva Bertinotti alla presidenza della Camera, Marini a quella del Senato e D'Alema, appunto, a quella della Repubblica. I Ds la loro parte l'hanno fatta, ora tocca agli altri. Prodi sa che è difficile, e sta cercando in tutti i modi di convincere D'Alema a fare il ministro degli Esteri. Massimo, nel modo più gentile («è prematuro parlarne adesso...»), gli ha fatto capire che non ha alcuna intenzione di accettare alcun ministero sinché non si è chiusa la partita del Quirinale. Anche perché sa bene che il futuro governo rischia di avere vita molto breve. L'incarico di Prodi può aspettare, dunque. Solo che per il centrodestra la sua candidatura sarebbe una dichiarazione di guerra: due ex pci, due uomini di punta degli attuali partiti postcomunisti, portati a colpi di maggioranza a ricoprire le prime tre cariche dello Stato, rappresenterebbero una sconfitta indigeribile. E anche se dentro Forza Italia c'è un partito consistente, interpretato da Giuliano Ferrara, cui non dispiacerebbe vedere D'Alema al Quirinale, l'idea ancora non è stata fatta propria da Berlusconi, che anzi l'ha stoppata in modo ufficiale. Il centrosinistra i numeri per imporre D'Alema al Quirinale con una prova di forza li ha. Ma possono permetterselo, alla luce della drammatica situazione in cui si trovano al Senato? E dopo che i vescovi, tramite Avvenire, hanno detto chiaramente che le tre prime cariche dello Stato non debbono essere lottizzate dall'Unione, possono tirare dritto sul suo nome? La risposta, ovviamente, è "sì", se lo possono permettere, ma sapendo di pagare un prezzo altissimo. E la Margherita, ora che ha ottenuto ciò che voleva, non intende complicare ulteriormente la vita a Marini, e ha tutto l'interesse a svelenire l'atmosfera. Insomma, sul nome di D'Alema si misurerà quanto è forte l'asse Ds-Margherita e quanta voglia hanno i centristi dell'Unione di andare al massacro per i loro alleati.
Franco Marini. E' un'idea ancora allo stato embrionale, che gira nel centrodestra nelle ultime ore. Ha i suoi perché. Primo: visto che tocca scegliere il meno peggio, meglio Marini di un ex comunista. Secondo: si creano seri problemi ai già precari equilibri di Prodi. Terzo, c'è anche il pretesto giusto: dopo un laico (Ciampi), in base alla logica dell'alternanza dovrebbe toccare a un cattolico. Oltretevere gradirebbero di certo. Così, se da Forza Italia facessero capire che su Marini si può fare un "ragionamento", difficilmente la Margherita resterebbe insensibile. I Ds, che lo hanno appoggiato al Senato, avrebbero seri imbarazzi a non difenderlo (almeno ufficialmente, nel segreto dell'urna poi è tutta un'altra cosa) nella partita per il Quirinale. E va da sé che tanti cattolici del centrodestra non resterebbero insensibili al richiamo delle comuni radici democristiane. Con Marini sul Colle la presidenza del Senato andrebbe ai Ds: quasi scontato il nome di Giorgio Napolitano. Così i Ds, primo partito della maggioranza, quanto a cariche istituzionali dovrebbero accontentarsi di una poltrona dello stesso peso di quella di Bertinotti, per di più in mano a un "alieno" come Napolitano. Anche in questo caso, per D'Alema e Fassino la partita si risolverebbe in una sconfitta. Avendo buoni motivi per sentirsi - proprio loro - bistrattati dal leader dell'Unione, diventerebbero un alleato difficilmente gestibile. Con tutte le sensazioni di déjà vu che questo dovrebbe provocare a Prodi.
Altri candidati. Al momento nessuno degli altri nomi che girano appare credibile. Quanto al nome di Gianni Letta, Berlusconi lo ha buttato lì per coprire le sue vere intenzioni. Non si vede alcun motivo per cui a sinistra dovrebbero votarlo. Non si vincono le elezioni, nemmeno nel modo rocambolesco in cui le hanno vinte quelli dell'Unione, per mandare al Quirinale il braccio destro del tuo peggior nemico.

Update. (ASCA) - Roma, 2 mag - Il presidente del Consiglio dimissionario, Silvio Berlusconi, è appena giunto a Palazzo Giustiniani per incontrarsi con il presidente del Senato, Franco Marini.

Update 2. La Cdl fa la cosa più logica e, dopo il colloquio tra Berlusconi e Ciampi per le dimissioni del governo, candida Ciampi al Quirinale. «La Casa delle Libertà - è scritto in una nota - fa appello al Parlamento ed ai rappresentanti delle Regioni perché interpretino il corale sentimento degli italiani e, al di là e al di sopra di ogni possibile convenienza di parte, rieleggano Carlo Azeglio Ciampi che in questi sette anni ha rappresentato un solido punto di riferimento morale e istituzionale di tutta la nazione». Panico a sinistra, dove si spera che il diretto interessato si chiami fuori. Ma Ciampi, per ora, a sfilarsi non ci pensa proprio.

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