Trentatré, trentatré, trentatré

Ora, col senno di poi e un po' di dietrologia, si spiegano le uscite odierne di Massimo D'Alema e Romano Prodi, schieratissime in favore della rielezione di Carlo Azeglio Ciampi al Quirinale. Con ogni probabilità i due sapevano ciò che Silvio Berlusconi non sapeva, e cioè che Ciampi stava per fare il gran rifiuto. Il suo «no, grazie» è arrivato in un comunicato nel quale l'ottuagenario dice queste cose:
«Sono profondamente grato per le molteplici dichiarazioni in favore della mia rielezione a Presidente della Repubblica, anche perché esse implicano una valutazione positiva del mio operato quale Capo dello Stato, garante dell'unità nazionale e custode dell'ordine costituzionale. Interpreto questa convergenza di parti politiche diverse sul mio nome come disponibilità a quel civile confronto che - al di là delle naturali asprezze della dialettica politica, acuite dal recente momento elettorale - è premessa e condizione, indispensabili, della saldezza delle istituzioni e, quindi, della salute della Repubblica. Tuttavia tali dichiarazioni mi inducono, per una esigenza di doverosa chiarezza, a confermare pubblicamente la mia "non disponibilità" ad un rinnovo del mandato, anticipata nel messaggio di commiato di fine anno. Non ritengo, infatti, data l'età avanzata di poter contare sulle energie necessarie all'adempimento, per il lungo arco di tempo previsto, di tutte le gravose funzioni proprie del Capo dello Stato. A ciò si aggiunge una considerazione di carattere oggettivo, che ho maturato nel corso del mandato presidenziale: nessuno dei precedenti nove Presidenti della Repubblica è stato rieletto. Ritengo che questa sia divenuta una consuetudine significativa. E' bene non infrangerla. A mio avviso, il rinnovo di un mandato lungo, quale è quello settennale, mal si confà alle caratteristiche proprie della forma repubblicana del nostro Stato».
I commenti ipocriti dei tanti (non tutti: quelli cui sta sulle scatole D'Alema erano sinceri) che a sinistra si sono detti dispiaciuti del diniego ciampista fanno parte dei giochi e non scandalizzano chi scrive. Mentre a sinistra brindano in molti, il centrodestra è in seri problemi, come prova la ricandidatura di Gianni Letta da parte di Berlusconi. Un'ipotesi - come dire - suggestiva, ma che non ha alcuna chance di realizzarsi. Il vertice che si dovrebbe tenere tra Berlusconi, Gianfranco Fini e Pier Ferdinando Casini è chiamato a tirare fuori un'ipotesi più concreta. Che potrebbe anche essere una "non decisione". Si fa strada infatti, nella Cdl, la tentazione di lasciare il cerino in mano all'Unione. Un ragionamento tipo: «Hanno la maggioranza, l'obbligo di indicare i candidati è loro. Se proporranno un candidato super partes, lo voteremo. Se invece ci mettono sul piatto uno dei loro, tipo D'Alema, rifiuteremo l'offerta e li costringeremo a eleggerlo solo con i loro numeri. Noi grideremo all'occupazione di tutte le istituzioni e sulla loro ingordigia di poltrone, constatabile da chiunque, costruiremo le nostre prossime campagne elettorali». A dirla tutta: molti parlamentari del centrodestra confidano, a microfoni spenti, di sperare in un simile colpo di mano dell'Unione, nella certezza di poterglielo far pagare caro dal punto di vista elettorale. Qualcuno si spinge a ipotizzare un "soccorso azzurro" sotterraneo per D'Alema, cui probabilmente mancheranno i voti di molti franchi tiratori dell'Unione (il presidente dei Ds non sta simpatico a tanti, nel caso non si fosse capito). Sensata o no che sia questa ipotesi, puzza di argomento disperato.
Se invece la partita non dovesse risolversi in un muro contro muro, se cioè le diplomazie sotterranee al lavoro in queste ore tra le due metà del Parlamento dovessero produrre qualche risultato, l'Unione potrebbe proporre, magari all'interno di una rosa di candidati, il nome di Giuliano Amato, sul quale, silenziosamente o meno, potrebbero convergere un bel po' di voti della Cdl. L'alternativa resta Franco Marini. Per la Cdl sarebbe un affare sotto molti punti di vista: eviterebbe di assistere all'ascesa di un comunista al Quirinale, ma consentirebbe di gridare comunque all'occupazione scandalosa delle poltrone da parte dell'Unione, e riaprirebbe i giochi per la presidenza del Senato.
Resta solo da dare le quote, che tra poche ore saranno comunque sorpassate: trentatré per cento delle chances di spuntarla a D'Alema, trentatré ad Amato e trentatré a Marini. Forse D'Alema merita qualcosina in più e Marini qualcosina in meno, ma il titolo mi veniva bene così, citando "Non ci resta che piangere".

Per chi vuole saperne di più: "Quirinale, la grande partita dell'ipocrisia".

Update. Il patto a sinistra era davvero blindato. Marini fa ciò che D'Alema si aspettava da lui: si sfila dalla corsa per il Quirinale e lancia il presidente dei Ds. Del resto, ne andava della tenuta dell'alleanza.

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