Prodi, un mese e mezzo dopo

Ci sono voluti cinque anni ai signorini dei poteri forti per intonare il de profundis al governo Berlusconi. Per il governo Prodi è bastato un mese e mezzo, puntellato da annunci scomposti e spesso contrastanti di ministri ed esponenti dell'Unione dai quali non si capiva molto, tranne che vi era una forte volontà politica di cancellare norme come la legge Biagi e la riforma Moratti e di bloccare la costruzione di tutte le grandi opere pubbliche. La migliore cartina di tornasole di questa delusione maturata in tempi rapidissimi è La Stampa, il giornale di casa Fiat.
Il 9 aprile, il giorno stesso del voto, il direttore Giulio Anselmi in questo editoriale spiegava (anche) così la sua scelta di campo in favore dell'Unione e contro Berlusconi: «Gran parte della classe dirigente che gli aveva dato fiducia gliel'ha ritirata». Stessa sorte, ma in tempi molto più rapidi, è toccata ora al povero Prodi: la classe dirigente gli ha tolto la fiducia. Faceva un certo effetto oggi la prima pagina del giornale di Luca Cordero di Montezemolo (consigliere d'amministrazione della Stampa, presidente di Confindustria e presidente della Fiat) titolare «Prodi non conquista gli industriali». Faceva effetto, perché non è nel dna della Stampa sparare titoli così duri. Specie nei confronti del centrosinistra. Completava l'opera Mario Deaglio nel suo editoriale, evidenziando il «profondissimo gelo» riservato dalla platea degli imprenditori a Prodi e parlando di «partenza in salita» per il nuovo governo.
Il Corriere, intanto, prosegue la demolizione del governo prodiano (Paolo Mieli si conferma, anche in questo caso, un precursore). Dario Di Vico firma un editoriale in cui sostiene che la risposta di Prodi e Bersani agli industriali «è stata debole»; che «il pubblico in grisaglia si attendeva altro»; si accusa il «programmismo» del centrosinistra, ovvero «aver concordato un programma dell’Unione troppo largo, un menu che accontenta tutti i gusti ma che tradisce l’indulgenza del cuoco»; si fa notare la «gelida cortesia» riservata dal gotha dell'industria italiana a Prodi e la «ovazione da stadio» tributata a Gianni Letta. Sembrano passati anni da quando, in quella stessa colonna, Mieli invitava a votare per Prodi e scriveva di auspicare «un esito favorevole ad una delle due parti in competizione: il centrosinistra», al quale attribuiva «i titoli atti a governare al meglio per i prossimi cinque anni», anche grazie al «modo con il quale Prodi stesso ha affrontato le numerose contraddizioni interne al proprio schieramento». Sembrano passati anni, ma era il 28 marzo: nemmeno due mesi fa.
Di solito il governo appena insediato gode di un periodo di luna di miele con gli elettori e i poteri forti. Il secondo esecutivo Prodi è il primo governo della seconda repubblica al quale questo piacere è stato negato.
Ovviamente, Corriere, Stampa e compagnia bella raccolgono ora quello che hanno contribuito a seminare in campagna elettorale: il "programmismo" avrebbero potuto denunciarlo mesi fa (il programma di governo più lungo e inutile della storia italiana era a disposizione di tutti ben prima del voto, bastava leggerlo) e non occorreva un genio della politica per capire che nell'Unione c'è una componente importante di forze tribali desiderose di allontanare l'Italia dal modello anglosassone per renderla un po' più simile al Venezuela di Hugo Chavez. La priorità di Mieli e dei suoi emuli era però quella di sbarazzarsi di Berlusconi, confidando che nella vittoria della sinistra avrebbero avuto un peso decisivo le forze riformiste. Hanno perso ambedue le scommesse: Berlusconi è sempre al centro della politica italiana e le forze riformiste nel centrosinistra valgono come il due di bastoni quando si gioca a poker.

Post scriptum. Dinanzi a una prima pagina come quella odierna della Stampa, il segretario dei Ds Piero Fassino riesce a parlare di «grande sintonia» tra Prodi e Montezemolo, sostenendo anche che l'editorialista del Corriere della Sera (il quale non è certo un simpatizzante della Cdl) ha raccontato un'assemblea diversa da quella reale. Non so a voi, ma a me ricorda qualcuno.

Update di sabato 27 maggio. Liberazione, quotidiano di Rifondazione Comunista, non l'ha presa bene. E si lamenta con la stampa brutta e cattiva. «Neanche una critica, sui grandi giornali, alla relazione assai modesta di Montezemolo. Spietati coi politici, ossequiosi con Confindustria e con i padroni dell’economia. In questo modo non si compromette la verità e dunque la piena libertà di informazione?». Benvenuti al governo, compagni.

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