Miti terzomondisti infranti: anche gli aborigeni stuprano e uccidono

di Fausto Carioti
Deve essere destino che la sinistra veda cadere i propri miti, grandi e piccoli, uno dopo l’altro. Tra i pochi rimasti resisteva quello, caro a una certa area antioccidentale e terzomondista, della naturale innocenza e bontà di chi non è ancora stato toccato dal virus della modernità e del capitalismo. Avete presente quelli che dicono che le violenze sistematiche sono un prodotto dell’industrializzazione e del liberismo, cui si deve il principio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo? Di questo si tratta. E invece niente da fare, è crollato pure questo mito. Per chi ci credeva, le notizie apparse negli ultimi giorni sui quotidiani australiani, e riprese ieri dal Corriere della Sera, sono state un brutto risveglio: gli aborigeni australiani sono autori di una «sistematica, frequentissima pratica degli stupri sui bambini, anche molto piccoli», e sulle donne. Al punto che il governo federale di Canberra sta pensando di limitare l’autonomia riservata a queste popolazioni, in modo da prendere il controllo della situazione.
La legge tribale, affidata all’anziano del villaggio, tollera infatti la pratica delle violenze sessuali, che spesso sono compiute dagli stessi capi del clan. Il magistrato che ha scoperchiato il verminaio, il pubblico accusatore Nanette Rogers, racconta storie da incubo e denuncia che molte vittime di abusi sessuali hanno paura di parlare con la polizia, temendo ritorsioni da parte della loro stessa tribù. Secondo il magistrato, la responsabilità principale è proprio della cultura degli indigeni, che rende i maschi troppo spesso sicuri di poter violare la legge nella convinzione di riuscire a cavarsela senza problemi. «La violenza», spiega il magistrato, «è intrecciata a moltissimi aspetti della società aborigena. La quale tende a essere molto punitiva. Se un testimone riferisce ciò che ha visto in un tribunale, rischia di essere fisicamente punito dalla famiglia del violentatore per averlo messo nei guai».
Insomma, il messaggio che arriva dall’Australia centrale è che si può essere degli infami di prima categoria pur essendo aborigeni e non possedendo un televisore né un conto in banca. Ovviamente, c’è già chi, in nome del relativismo culturale, convinto che tutte le tradizioni siano ugualmente nobili e rispettabili, ha chiesto che nessuno intervenga per far cessare questo abominio. Intendiamoci: chiunque abbia letto un paio di libri non scritti da Rigoberta Menchù sa che il mito dell’innocenza dei “nativi”, al quale ormai credono solo pochi illusi, è una solenne idiozia. Però a sinistra c’è chi è convinto davvero che le popolazioni non occidentali ancora non toccate dal progresso siano migliori e più sane di noi, per il semplice fatto che vivono al di fuori del mercato e dei valori occidentali. Per usare le parole di qualche anno fa del neo ministro dell’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio, «i popoli indigeni, forti della loro cultura eco-spirituale, rivendicano, ora, un ruolo di protagonisti nel disegnare la globalizzazione dei diritti, della giustizia sociale e della pace».
Ma nella cultura di chi compie e copre simili crimini di spirituale non c’è proprio niente. Ci sono solo la peggiore brutalità e l’egoismo più bieco: proprio quelli che, secondo una certa letteratura fantasy in voga anche in Italia, dovrebbero essere i tratti distintivi esclusivi delle civiltà industrializzate. La storia della piccola aborigena di 17 mesi rapita da un membro anziano della sua tribù, stuprata, operata d’urgenza all’intestino, ridotta nell’impossibilità di avere figli, e quella della bimba affogata in un fiume mentre un diciottenne che aveva da poco sniffato benzina la violentava, fanno giustizia, almeno, di tante facili banalità.
Alla fine, ciò che resta dopo aver letto quelle storie, è la consapevolezza che non solo non basta essere indigeno per essere automaticamente buono e innocente, ma anche che, pur con tutti i loro difetti, le deprecate istituzioni occidentali, come i tribunali che cercano di applicare la legge in modo uguale per tutti, funzionino assai meglio di certi meccanismi di giustizia primitivi che finiscono quasi sempre per dare ragione al più forte. Quanto a chi tollera simili violenze in nome del relativismo dei valori, pensare che indigeni e aborigeni non siano in grado di distinguere il bene dal male, ritenerli incapaci di comprendere che è un atto immensamente malvagio stuprare e mutilare un bambino, equivale a crederli essere umani di serie B. E questo sì che è razzismo.

© Libero. Pubblicato il 19 maggio 2006.

Intervista ad Abc del magistrato Nanette Rogers.
L'articolo del Corriere della Sera: L'Australia agli aborigeni: «Troppi bambini stuprati. Vi togliamo l'autonomia».
Intervista del Corriere della Sera a Massimo Fini: «Lasciateli vivere come vogliono loro».

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