Primo stop per D'Alema. E Berlusconi resiste

E ora nell'Unione hanno paura. Si sono accorti - probabilmente è stato lo stesso Massimo D'Alema a farglielo notare - che sinora la partita per il Quirinale se la sono giocata nel modo peggiore. Hanno capito che stanno dando l'impressione di essere un gruppo di bulli di periferia in cerca di esibizioni muscolari, laddove la sostituzione di un presidente della Repubblica "condiviso" come Carlo Azeglio Ciampi e il risultato elettorale più equilibrato della storia italiana consiglierebbero tutt'altri modi. Hanno realizzato di aver fatto capire a tutti che stanno spingendo come forsennati su D'Alema solo per ragioni di parte, perché l'elezione del presidente Ds è l'unico modo per evitare la morte politica prematura di Romano Prodi e Piero Fassino. Oltre che di perdere, poi, a sinistra hanno paura di vincere per un soffio, per il cinquanta per cento e poco più dei voti dei grandi elettori chiamati a scegliere il prossimo inquilino del Quirinale. Una vittoria simile, un presidente della Repubblica imposto con un braccio di ferro e di fatto "dimezzato" perché non votato dai rappresentanti di metà del Paese e boicottato da una parte degli stessi esponenti dell'Unione, sarebbe il modo peggiore, per la nuova maggioranza, di avviare la legislatura.
I numeri dicono che si tratta di un'eventualità tutt'altro che improbabile. L'Unione può contare infatti su 348 deputati, 158 senatori e 35 delegati regionali, ai quali vanno aggiunti parte dei senatori a vita e degli eletti all'estero. In totale, circa 550 voti. Laddove la maggioranza richiesta, a partire dal quarto scrutinio, sarà di 506 voti (maggioranza dei 1010 grandi elettori). Insomma, c'è un margine teorico di una quarantina abbondante di voti. Che tutti però a sinistra danno per scontato che debba ridursi, visto che il nome di D'Alema fa venire forti mal di pancia anche dalle parti loro: la Rosa nel Pugno, che controlla venti grandi elettori, ha già detto che non voterà per il presidente dei Ds, mentre nella Margherita, che è la vera preoccupazione del Botteghino, non è passato inascoltato l'appello dei vescovi a non instaurare una dittatura della maggioranza. E pure l'Italia dei Valori non fa salti di gioia all'idea di votare il migliorino.
Questa esigenza di rallentare i tempi per capire bene quanto sia alto il rischio di andare a schiantarsi contro un muro, trovando allo stesso tempo il modo di salvare le apparenze davanti al Paese, spiega perché il vertice dell'Unione si sia concluso senza l'ufficializzazione di alcun candidato, spiega perché siano orientati a mandare l'ambasciatore di Prodi, Ricky Levi, a trattare con Gianni Letta per convincere almeno parte della Cdl a votare per il nome che loro indicheranno, e spiega anche perché nel centrosinistra stiano pensando addirittura di votare scheda bianca nei primi tre scrutini, quando è prevista una maggioranza qualificata dei due terzi. Il candidato dell'Unione ovviamente c'è, è unico e si chiama Massimo D'Alema, come sanno tutti, ma il fatto che ancora si vergognino di metterlo nero su bianco la dice lunga sui problemi che hanno.
A complicare la situazione di D'Alema il fatto che Silvio Berlusconi, contrariamente a quanto voleva far credere una certa vulgata vicina alla sinistra, stia riuscendo a tenere la posizione e al momento non sia arretrato di un millimetro: parlando a Napoli ha ribadito che nei confronti di D'Alema non potrà esserci alcuna concessione da parte della Cdl. Altra brutta notizia, il fatto che la Lega (da cui D'Alema, che è in ottimi rapporti con i vertici del Carroccio, si aspettava un aiutino) abbia detto che intende votare per Umberto Bossi. Almeno per i primi tre turni, poi si vedrà. Ma tanto basta ad aumentare l'incertezza dei diessini. E' il primo stop che trova la candidatura di D'Alema. Il quale è ancora favorito per la vittoria finale, ma intanto ha visto le sue quotazioni scendere.

Update. L'avvertimento dei vescovi alla Margherita e a Prodi, su Avvenire di sabato 6 maggio. Così chiaro che più non si potrebbe. Si spiega a Rutelli che le minacce dei Ds (si veda Visco) sono «sostanzialmente inapplicabili» e lo si avverte che il suo partito non può legarsi «fin d'ora, all'inizio della legislatura, mani e piedi all'ingombrante alleato, giocandosi così il futuro». Quanto a Prodi, «prima di lunedì dovrà decidere se accettare, supino, la logica unidirezionale dei Ds o far prevalere la dignità del suo ruolo, nella ricerca di una soluzione concordata». "La Margherita sulle spine si gioca il futuro", di Sergio Soave. Da leggere, per chi vuole capire bene la partita.
Intanto Ernesto Galli della Loggia insiste sulla linea mielista: D'Alema non deve fare il presidente della repubblica. Definisce quella del leader diessino «una pessima candidatura, pessimamente costruita, per un ottimo candidato». Il consiglio a D'Alema dell'editorialista del Corriere è il seguente:«Ci sembra giusto che il presidente dei Ds mantenga la sua candidatura. Ma riqualificandola politicamente: cioè facendone una candidatura in cui possa riconoscersi — pubblicamente, va sottolineato, non dietro le quinte e in modo non trasparente — almeno una parte della leadership del centro-destra, attraverso l'esplicito assenso di qualche suo capo. In caso contrario ci sentiremmo di dargli un consiglio: si ritiri dalla gara. (...) In politica ci sono vittorie più micidiali delle peggiori sconfitte». Il consiglio sarà anche peloso, ma l'analisi (che coincide in grandissima parte con questo già scritto in questo stesso post) non fa un grinza, e non ci sarebbe da stupirsi se fosse la stessa fatta da D'Alema. "Una scelta responsabile", di Ernesto Galli della Loggia.

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