Qui Cannes: ecco "Il Codice Da Vinci"
di Fausto Carioti
CANNES - Volevate il relativismo? Eccolo nella sua versione più facilmente assimilabile. Te lo bevi che manco te ne accorgi, in due ore e 32 minuti. Lo hanno proiettato ieri notte qui a Cannes, in anteprima per la stampa. In sala, l’atmosfera dell’Evento. Dentro ci trovate tutto quello è lecito attendersi da un film intitolato “Il Codice Da Vinci” e anche di più, come sempre accade quando c’è Hollywood di mezzo. Per chi avesse trascorso gli ultimi due anni in un altro universo, è appena diventato film il caso editoriale più discusso, discutibile e azzeccato degli ultimi tempi. La storia che ha reso ricco il suo autore, Dan Brown, deve la sua fortuna al fatto di essere un’indovinatissima miscela di ingredienti che più a la page, più politicamente corretti non si può. C’è la Chiesa romana oscurantista e nemica delle donne, che mantiene da duemila anni i fedeli all’oscuro della verità (“il più grande insabbiamento della Storia”, dice uno dei protagonisti in uno dei momenti più forti del film). Ci sono monaci-killer dell’Opus Dei (che aggiungere?) impegnati a sgozzare il prossimo manco fossero Al Zarkawi. Ci sono sette laiciste para-massoniche impegnate a custodire la verità per diffonderla il giorno in cui dovrà essere data l’ultima spallata al Vaticano. C’è il recupero delle “naturali” tradizioni del paganesimo, tipo il giocoso sesso di gruppo (solo evocato, non vi attendete niente del genere dalla pellicola). C’è il Louvre con i suoi tesori, a dare quel tocco di pseudo-culturale che “fa fino”. Ci sono i vangeli apocrifi, l’esoterismo, l’astrologia e un simbolismo facile facile, tanto intrigante quanto a buon mercato. Il tutto condito con un pizzico di cavalieri templari, che su pietanze simili stanno sempre bene. E soprattutto, ovunque, c’è questo concetto del sacro femminino, del fatto che le donne, cara lettrice e cara spettatrice pagante, sono assai migliori degli uomini (il testosterone provoca guerre e morti, l’utero dà la vita: questa è la filosofia che passa il convento di Dan Brown e del regista Ron Howard, prendere o lasciare). Insomma, la pellicola è un polpettone a cavallo tra new age e femminismo progressista, ma con quegli ingredienti – il thriller, il mistero, la storia - capaci di acchiappare un po’ tutti. Un prodotto buono senza dubbio per gli Stati Uniti, ma alla fine, come scopriremo a partire da questo fine settimana, quando sbarcherà nei cinema di tutto il mondo, perfetto anche per l’Europa del pensiero debole e se possibile del nessun pensiero, che si imbarazza a ricordare le radici cristiane della propria cultura. Soprattutto, un polpettone – è il caso di dirlo – cucinato divinamente, come solo gli studios di Los Angeles sanno fare.
A quale trama diano vita tutti questi elementi non è giusto svelarlo. Basti sapere che – a proposito di sacro femminino - tutto ruota attorno alla figura di Maria Maddalena, sposa di Gesù Cristo e madre di sua figlia. Tom Hanks interpreta il ruolo del protagonista, l’esperto di simbologia Robert Langdon, che assieme ad Audrei Tatou, nei panni della poliziotta Sophie Neveu, svelerà tutti i misteri e spiegherà agli spettatori che nel cristianesimo non vi è nulla di sacro, perché l’unica cosa sacra è la Natura (ovviamente femmina), col suo eterno ciclo di fertilità. Tempi, ritmo e inquadrature della pellicola migliorano il best seller che ha preceduto il film, e la bravura di Tom Hanks non fa che rendere ancora più efficace il messaggio. Che è sintetizzato benissimo dalle parole che Dan Brown fa dire a Langdon nel libro: “Tutte le religioni del mondo sono basate su falsificazioni”. Un messaggio che gli autori hanno voluto puntellare con mezze verità (poche), con errori (molti) tanto marchiani quanto credibili agli occhi dei meno informati, con luoghi comuni (moltissimi) nei quali un certo pubblico un po’ laicista e parecchio ignorante sguazzerà felice come un bimbo nella vasca con le paperelle. Stasera sarà proprio il “Codice da Vinci” ad inaugurare l’apertura ufficiale di questa cinquantanovesima edizione del festival di Cannes. A conferma che il piatto forte della rassegna, qui alla Croisette, è questo.
Proprio le tante “inaccuratezze” con cui è farcita la storia – prima tra tutte l’invenzione di un’Opus Dei modellata sui più cupi e scontati stereotipi americani in materia di “sette religiose” (così è definita l’Opera, né più né meno, nell’edizione originale del libro, in una pagina introduttiva intitolata “Fatti”, proprio a volerne sottolineare la veridicità oggettiva) hanno reso rovente la vigilia della proiezione. Gli autori, in sostanza, sono accusati di avere imbevuto la trama di “spiegazioni” così verosimili a giustificazione delle tesi anticristiane sbandierate in quelle due ore e mezza da poter influenzare con facilità il vastissimo pubblico che lo andrà a vedere senza essersi adeguatamente informato. Il regista e i produttori del kolossal, come già fatto da Dan Brown, si difendono ricordando che si tratta di una storia inventata (“fiction”), ma è difficile credere sino in fondo alla loro neutralità. Altrimenti non si spiega – ad esempio – la scelta di voler sparare a zero, a tutti i costi, sulla prelatura personale di Giovanni Paolo II. Con tutti i nomi diversi da Opus Dei che gli autori potevano inventarsi (e a Dan Brown non è certo la fantasia che manca). Onore al merito, comunque, per Javier Echevarría, prelato dell’Opera, che nei giorni scorsi ha raccolto la sfida: «Non boicotteremo “Il Codice Da Vinci. Dan Brown non lo sa, ma il suo libro ci rende più popolari e più forti». La Chiesa, però, è divisa dinanzi ad un fenomeno di massa così imponente, e il quotidiano dei vescovi, “Avvenire”, ha messo la pellicola all’indice. E appena il film sbarcherà nelle sale è scontato che la temperatura attorno al “caso Da Vinci” salirà ulteriormente, per la gioia di chi è al botteghino.
Si dirà: è solo un film. Appunto. Piaccia o non piaccia, Hollywood è il veicolo che oggi riesce a trasmettere modelli e valori meglio di ogni altro. Basta fare un giro sul web per vedere il vero e proprio culto che si è creato attorno al libro, al coro di lettori e lettrici che ringraziano Dan Brown per aver loro finalmente “spiegato” quanto siano falsi e innaturali i valori del cristianesimo, per avere un piccolo anticipo di quello che sarà l’effetto del film. E’ il relativismo che arriva a cavallo della cultura più pervasiva, la cultura pop, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Da venerdì nelle migliori sale cinematografiche. Presentarsi vaccinati.
Post scriptum. Quasi dimenticavo. Il Codice Da Vinci svela – finalmente – anche il mistero del Graal. Il “sacro calice”, stringi stringi, altro non è che la sessualità femminile. Averlo saputo prima.
© Libero. Pubblicato il 17 maggio 2006.
CANNES - Volevate il relativismo? Eccolo nella sua versione più facilmente assimilabile. Te lo bevi che manco te ne accorgi, in due ore e 32 minuti. Lo hanno proiettato ieri notte qui a Cannes, in anteprima per la stampa. In sala, l’atmosfera dell’Evento. Dentro ci trovate tutto quello è lecito attendersi da un film intitolato “Il Codice Da Vinci” e anche di più, come sempre accade quando c’è Hollywood di mezzo. Per chi avesse trascorso gli ultimi due anni in un altro universo, è appena diventato film il caso editoriale più discusso, discutibile e azzeccato degli ultimi tempi. La storia che ha reso ricco il suo autore, Dan Brown, deve la sua fortuna al fatto di essere un’indovinatissima miscela di ingredienti che più a la page, più politicamente corretti non si può. C’è la Chiesa romana oscurantista e nemica delle donne, che mantiene da duemila anni i fedeli all’oscuro della verità (“il più grande insabbiamento della Storia”, dice uno dei protagonisti in uno dei momenti più forti del film). Ci sono monaci-killer dell’Opus Dei (che aggiungere?) impegnati a sgozzare il prossimo manco fossero Al Zarkawi. Ci sono sette laiciste para-massoniche impegnate a custodire la verità per diffonderla il giorno in cui dovrà essere data l’ultima spallata al Vaticano. C’è il recupero delle “naturali” tradizioni del paganesimo, tipo il giocoso sesso di gruppo (solo evocato, non vi attendete niente del genere dalla pellicola). C’è il Louvre con i suoi tesori, a dare quel tocco di pseudo-culturale che “fa fino”. Ci sono i vangeli apocrifi, l’esoterismo, l’astrologia e un simbolismo facile facile, tanto intrigante quanto a buon mercato. Il tutto condito con un pizzico di cavalieri templari, che su pietanze simili stanno sempre bene. E soprattutto, ovunque, c’è questo concetto del sacro femminino, del fatto che le donne, cara lettrice e cara spettatrice pagante, sono assai migliori degli uomini (il testosterone provoca guerre e morti, l’utero dà la vita: questa è la filosofia che passa il convento di Dan Brown e del regista Ron Howard, prendere o lasciare). Insomma, la pellicola è un polpettone a cavallo tra new age e femminismo progressista, ma con quegli ingredienti – il thriller, il mistero, la storia - capaci di acchiappare un po’ tutti. Un prodotto buono senza dubbio per gli Stati Uniti, ma alla fine, come scopriremo a partire da questo fine settimana, quando sbarcherà nei cinema di tutto il mondo, perfetto anche per l’Europa del pensiero debole e se possibile del nessun pensiero, che si imbarazza a ricordare le radici cristiane della propria cultura. Soprattutto, un polpettone – è il caso di dirlo – cucinato divinamente, come solo gli studios di Los Angeles sanno fare.
A quale trama diano vita tutti questi elementi non è giusto svelarlo. Basti sapere che – a proposito di sacro femminino - tutto ruota attorno alla figura di Maria Maddalena, sposa di Gesù Cristo e madre di sua figlia. Tom Hanks interpreta il ruolo del protagonista, l’esperto di simbologia Robert Langdon, che assieme ad Audrei Tatou, nei panni della poliziotta Sophie Neveu, svelerà tutti i misteri e spiegherà agli spettatori che nel cristianesimo non vi è nulla di sacro, perché l’unica cosa sacra è la Natura (ovviamente femmina), col suo eterno ciclo di fertilità. Tempi, ritmo e inquadrature della pellicola migliorano il best seller che ha preceduto il film, e la bravura di Tom Hanks non fa che rendere ancora più efficace il messaggio. Che è sintetizzato benissimo dalle parole che Dan Brown fa dire a Langdon nel libro: “Tutte le religioni del mondo sono basate su falsificazioni”. Un messaggio che gli autori hanno voluto puntellare con mezze verità (poche), con errori (molti) tanto marchiani quanto credibili agli occhi dei meno informati, con luoghi comuni (moltissimi) nei quali un certo pubblico un po’ laicista e parecchio ignorante sguazzerà felice come un bimbo nella vasca con le paperelle. Stasera sarà proprio il “Codice da Vinci” ad inaugurare l’apertura ufficiale di questa cinquantanovesima edizione del festival di Cannes. A conferma che il piatto forte della rassegna, qui alla Croisette, è questo.
Proprio le tante “inaccuratezze” con cui è farcita la storia – prima tra tutte l’invenzione di un’Opus Dei modellata sui più cupi e scontati stereotipi americani in materia di “sette religiose” (così è definita l’Opera, né più né meno, nell’edizione originale del libro, in una pagina introduttiva intitolata “Fatti”, proprio a volerne sottolineare la veridicità oggettiva) hanno reso rovente la vigilia della proiezione. Gli autori, in sostanza, sono accusati di avere imbevuto la trama di “spiegazioni” così verosimili a giustificazione delle tesi anticristiane sbandierate in quelle due ore e mezza da poter influenzare con facilità il vastissimo pubblico che lo andrà a vedere senza essersi adeguatamente informato. Il regista e i produttori del kolossal, come già fatto da Dan Brown, si difendono ricordando che si tratta di una storia inventata (“fiction”), ma è difficile credere sino in fondo alla loro neutralità. Altrimenti non si spiega – ad esempio – la scelta di voler sparare a zero, a tutti i costi, sulla prelatura personale di Giovanni Paolo II. Con tutti i nomi diversi da Opus Dei che gli autori potevano inventarsi (e a Dan Brown non è certo la fantasia che manca). Onore al merito, comunque, per Javier Echevarría, prelato dell’Opera, che nei giorni scorsi ha raccolto la sfida: «Non boicotteremo “Il Codice Da Vinci. Dan Brown non lo sa, ma il suo libro ci rende più popolari e più forti». La Chiesa, però, è divisa dinanzi ad un fenomeno di massa così imponente, e il quotidiano dei vescovi, “Avvenire”, ha messo la pellicola all’indice. E appena il film sbarcherà nelle sale è scontato che la temperatura attorno al “caso Da Vinci” salirà ulteriormente, per la gioia di chi è al botteghino.
Si dirà: è solo un film. Appunto. Piaccia o non piaccia, Hollywood è il veicolo che oggi riesce a trasmettere modelli e valori meglio di ogni altro. Basta fare un giro sul web per vedere il vero e proprio culto che si è creato attorno al libro, al coro di lettori e lettrici che ringraziano Dan Brown per aver loro finalmente “spiegato” quanto siano falsi e innaturali i valori del cristianesimo, per avere un piccolo anticipo di quello che sarà l’effetto del film. E’ il relativismo che arriva a cavallo della cultura più pervasiva, la cultura pop, bellezza. E tu non ci puoi fare niente. Da venerdì nelle migliori sale cinematografiche. Presentarsi vaccinati.
Post scriptum. Quasi dimenticavo. Il Codice Da Vinci svela – finalmente – anche il mistero del Graal. Il “sacro calice”, stringi stringi, altro non è che la sessualità femminile. Averlo saputo prima.
© Libero. Pubblicato il 17 maggio 2006.