Il Corriere avvia lo sganciamento da Prodi
Tanto per capirsi. Non è che Paolo Mieli sia dossettiano o comunista. Figuriamoci: certe etichette non si applicano a certa gente. E' che, come tutto il salottino buono, voleva togliersi Silvio Berlusconi dalle scatole, e Romano Prodi era funzionale a questo piano. Da qui l'endorsement limpido e sfacciato del Corriere della Sera. Però il Caimano si è dimostrato più forte di tutte le Cassandre (illuminante questo articolo di Peppino Caldarola). Così ora Prodi, per dirla con il linguaggio che un tempo era dei compagni, ha esaurito la sua spinta propulsiva. E Mieli rispolvera alla grande Pierluigi Battista e lo piazza in prima pagina. Battista (tanto di cappello) non si riparmia nessuna perifrasi, nessuna forma retorica, nessun contorcimento logico e semantico per dirci, nel suo editoriale odierno, che la scelta di dare l'incarico di formare il governo a Prodi è «doverosa», a meno di voler «infliggere un intollerabile strappo allo spirito e alla lettera della democrazia maggioritaria dell'alternanza». Però, se «chi ha perso le elezioni, adducendo le ragioni della "ricucitura" di un Paese spaccato in due, intendesse suggerire un nome di "decantazione" — un nome di una personalità vicina al centrosinistra ma non invisa allo schieramento opposto», insomma se Berlusconi dovesse proporre un governo guidato da Mario Monti o Giuliano Amato (qualora il secondo non traslocasse al Quirinale), il presidente della Repubblica dovrebbe farci un serissimo pensiero sopra e assumere su di sé l'onere delle conseguenze politiche della sua scelta. In altre parole, per il Corriere Prodi non è più il candidato unico alla presidenza del Consiglio: c'è un alternativa che il Quirinale deve valutare con estrema attenzione. E' il primo segnale che il Corriere ha iniziato ad abbandonare il leader dell'Unione al suo destino. Un'operazione che porterà avanti passo dopo passo, in modo soft, quasi gentile. Come è nello stile del suo direttore.