Lo schiaffo di Mieli a Prodi
Se il giorno in cui ha visto la Cassazione dargli ragione Romano Prodi si aspettava che l'indomani il Corriere della Sera lo incoronasse vincitore delle elezioni, senza se e senza ma, ne è uscito con una brutta ulcera gastrica. Quarantott'ore dopo l'ipotesi di un "governo di decantazione" lanciata da Pierluigi Battista, Paolo Mieli fa un nuovo passo avanti sulla strada del pensionamento prodiano. Stamattina gli ha fatto trovare un editoriale di Giovanni Sartori che, preso alla lettera, toglierebbe a Prodi il diritto politico di governare.
Alla domanda "chi ha vinto?" Sartori risponde che, a differenza del 2001, «questa volta si può rispondere che ha vinto Prodi ma anche che ha vinto Berlusconi, oppure che hanno vinto tutti e due, oppure ancora che hanno perso tutti e due. Sono tutte risposte plausibili». Insomma, Prodi e Berlusconi stanno sullo stesso piano. Quanto alla volontà di Prodi di formare un suo governo, il giudizio dell'editorialista è tranchant: «La legge glielo permette; ma i numeri (i seggi in Parlamento di cui dispone) no».
Quindi? Quindi «deve essere il Parlamento a rimediare. Dopotutto», scrive Sartori vergando così il requiem politico di Prodi, «il nostro è ancora un sistema parlamentare nel quale e per il quale le linee di divisione tra destra e sinistra non possono essere rigide ma devono essere, occorrendo, flessibili. (...) Questa volta o torniamo alle regole del sistema parlamentare, o rischiamo davvero di sprofondare nel nulla». E tornare alle regole del sistema parlamentare vuol dire fare un governo non del presidente (Prodi) uscito vincente - anche se per il rotto della cuffia - dalle urne, ma un governo che abbia una solida base parlamentare. Leggesi governo di larghe intese. Se non si fosse capito, è un invito a Prodi a fare un passo indietro.
Post scriptum. E' molto poco elegante farlo notare, ma nella stessa notte in cui il bollito si presentava in piazza Santi Apostoli per annunciare la sua vittoria qui si scriveva che «il Corriere, Confindustria e tutto l'establishment volgarmente chiamato "poteri forti" sono pronti a scaricarlo, e magari lo faranno già negli editoriali che leggeremo tra poche ore, dove si invocheranno nomi come Mario Monti e Tommaso Padoa Schioppa alla guida del solito governicchio tecnico che piace tanto ai furbetti di via Solferino».
Alla domanda "chi ha vinto?" Sartori risponde che, a differenza del 2001, «questa volta si può rispondere che ha vinto Prodi ma anche che ha vinto Berlusconi, oppure che hanno vinto tutti e due, oppure ancora che hanno perso tutti e due. Sono tutte risposte plausibili». Insomma, Prodi e Berlusconi stanno sullo stesso piano. Quanto alla volontà di Prodi di formare un suo governo, il giudizio dell'editorialista è tranchant: «La legge glielo permette; ma i numeri (i seggi in Parlamento di cui dispone) no».
Quindi? Quindi «deve essere il Parlamento a rimediare. Dopotutto», scrive Sartori vergando così il requiem politico di Prodi, «il nostro è ancora un sistema parlamentare nel quale e per il quale le linee di divisione tra destra e sinistra non possono essere rigide ma devono essere, occorrendo, flessibili. (...) Questa volta o torniamo alle regole del sistema parlamentare, o rischiamo davvero di sprofondare nel nulla». E tornare alle regole del sistema parlamentare vuol dire fare un governo non del presidente (Prodi) uscito vincente - anche se per il rotto della cuffia - dalle urne, ma un governo che abbia una solida base parlamentare. Leggesi governo di larghe intese. Se non si fosse capito, è un invito a Prodi a fare un passo indietro.
Post scriptum. E' molto poco elegante farlo notare, ma nella stessa notte in cui il bollito si presentava in piazza Santi Apostoli per annunciare la sua vittoria qui si scriveva che «il Corriere, Confindustria e tutto l'establishment volgarmente chiamato "poteri forti" sono pronti a scaricarlo, e magari lo faranno già negli editoriali che leggeremo tra poche ore, dove si invocheranno nomi come Mario Monti e Tommaso Padoa Schioppa alla guida del solito governicchio tecnico che piace tanto ai furbetti di via Solferino».