Le regole del Senato e le paure della sinistra
Ovviamente non c'entrano "il bene del Paese", l'esigenza di "conciliare le due Italie" né altre belle formule retoriche. Se i furbetti del Botteghino si stanno sbattendo in tutti i modi per offrire alla Casa delle Libertà qualcosa di gradito a Silvio Berlusconi e soci (una presidenza della Repubblica più o meno "condivisa" o la guida di una delle due Camere) è perché, salvo una clamorosa campagna acquisti di senatori da parte dell'Unione (ipotesi improbabile, visto anche che il più bravo a muoversi nel calciomercato si trova dalla parte opposta), palazzo Madama può considerarsi sin d'ora paralizzato.
Il numero legale. La prima trappola per il centrosinistra è contenuta nello stesso regolamento del Senato, e si chiama "verificazione del numero legale". Nell'aula è infatti necessario che sia presente la metà più uno dei senatori (inclusi i senatori a vita e quelli eletti all'estero). In aula il numero legale è sempre presunto, a meno che, prima di una votazione, dodici Senatori non ne chiedano la "verificazione". Se il Senato non è in numero legale, il Presidente sospende la seduta per venti minuti o più. Alla quarta volta consecutiva in cui manca il numero legale, la seduta si chiude con un nulla di fatto (art. 108 del regolamento del Senato). Questo vuol dire, ad esempio, che alla Cdl basta far trovare in aula una dozzina di senatori cui viene assegnato il solo compito di chiedere insistentemente la verifica del numero legale per paralizzare l'attività del Senato e costringere l'Unione a far trovare presenti i suoi senatori a ranghi pressocché completi. Nelle commissioni, dove avviene una parte fondamentale dei lavori, il procedimento è analogo, anche se in molti casi è sufficiente che sia presente un terzo dei componenti della Commissione. Qui basta però che il controllo del numero legale sia chiesto da un solo senatore (art. 30).
Problemi di ubiquità. Quando i lavori si svolgono in contemporanea, i senatori o stanno in una commissione (possono essere membri di più di una di esse) o stanno in aula. Sono quindi in grado di garantire la loro presenza (ai fini del numero legale) e il loro voto (ai fini dell'approvazione del provvedimento) solo da una parte, mettendo in difficoltà il loro schieramento in tutte le altre sedi in cui è richiesta la loro presenza.
In caso di parità. Qualora, come accade nelle grandi occasioni, maggioranza e opposizione siano presenti in aula a ranghi praticamente completi, in caso di parità di voti (ipotesi non troppo irrealistica, visti gli equilibri) la proposta è bocciata (art. 107). Discorso analogo in commissione, dove per qualunque approvazione occorre il voto favorevole della metà "più uno" dei presenti.
Commissioni senza maggioranza. Nelle commissioni deve essere rispettata, «per quanto possibile, la proporzione esistente in Assemblea tra tutti i gruppi parlamentari» (art. 21). In altre parole gli equilibri tra le diverse forze politiche del Senato devono riflettersi nelle commissioni. Questo vuol dire che una maggioranza di uno o due voti in aula comporta necessariamente la creazione di commissioni in cui centrodestra e centrosinistra avranno esattamente lo stesso numero di senatori. Secondo i primi calcoli, la parità è scontata sin d'ora in tre commissioni permanenti su quattordici e si raggiungerà in numerose altre commissioni ogni volta che un senatore a vita o un eletto all'estero dovessero mancare all'appello.
Il voto segreto. La richiesta di voto segreto è un'altra delle "trappole" più temute da qualunque maggioranza, specie nelle votazioni di quei provvedimenti nei quali è facile la creazione di maggioranze occasionali trasversali e alternative a quella "ufficiale". Lo scrutinio segreto è obbligatorio in tutte le votazioni riguardanti le singole persone (elezione del presidente e degli altri organi interni del Senato) e può essere chiesto quando sono in gioco diritti o libertà fondamentali (art. 113). In queste occasioni, bastano venti Senatori in Assemblea e cinque in Commissione per chiedere che il voto avvenga con modalità segreta. Va da sé che minore è lo scarto tra maggioranza e opposizione (e nel prossimo Parlamento sarà il più piccolo di sempre), maggiore è la possibilità che da una simile votazione escano brutte "sorprese" per la maggioranza. Del resto, il voto segreto viene chiesto apposta...
Senatori a vita ed eletti all'estero. I senatori a vita non sono giovanissimi: si va dagli 80 anni di Sergio Pininfarina ai 97 (tra tre giorni, auguri) di Rita Levi-Montalcini. Gli eletti all'estero vengono, ovviamente, da posti lontanissimi. E' lecito supporre che molti di costoro saranno presenti solo nelle occasioni più importanti, lasciando il centrosinistra scoperto (e basta davvero poco per mandarlo in minoranza) nelle votazioni "ordinarie". Eppure, in quanto componenti del Senato, senatori a vita ed eletti all'estero contribuiscono ad alzare la soglia dei presenti richiesta per il raggiungimento del numero legale.
Il numero legale. La prima trappola per il centrosinistra è contenuta nello stesso regolamento del Senato, e si chiama "verificazione del numero legale". Nell'aula è infatti necessario che sia presente la metà più uno dei senatori (inclusi i senatori a vita e quelli eletti all'estero). In aula il numero legale è sempre presunto, a meno che, prima di una votazione, dodici Senatori non ne chiedano la "verificazione". Se il Senato non è in numero legale, il Presidente sospende la seduta per venti minuti o più. Alla quarta volta consecutiva in cui manca il numero legale, la seduta si chiude con un nulla di fatto (art. 108 del regolamento del Senato). Questo vuol dire, ad esempio, che alla Cdl basta far trovare in aula una dozzina di senatori cui viene assegnato il solo compito di chiedere insistentemente la verifica del numero legale per paralizzare l'attività del Senato e costringere l'Unione a far trovare presenti i suoi senatori a ranghi pressocché completi. Nelle commissioni, dove avviene una parte fondamentale dei lavori, il procedimento è analogo, anche se in molti casi è sufficiente che sia presente un terzo dei componenti della Commissione. Qui basta però che il controllo del numero legale sia chiesto da un solo senatore (art. 30).
Problemi di ubiquità. Quando i lavori si svolgono in contemporanea, i senatori o stanno in una commissione (possono essere membri di più di una di esse) o stanno in aula. Sono quindi in grado di garantire la loro presenza (ai fini del numero legale) e il loro voto (ai fini dell'approvazione del provvedimento) solo da una parte, mettendo in difficoltà il loro schieramento in tutte le altre sedi in cui è richiesta la loro presenza.
In caso di parità. Qualora, come accade nelle grandi occasioni, maggioranza e opposizione siano presenti in aula a ranghi praticamente completi, in caso di parità di voti (ipotesi non troppo irrealistica, visti gli equilibri) la proposta è bocciata (art. 107). Discorso analogo in commissione, dove per qualunque approvazione occorre il voto favorevole della metà "più uno" dei presenti.
Commissioni senza maggioranza. Nelle commissioni deve essere rispettata, «per quanto possibile, la proporzione esistente in Assemblea tra tutti i gruppi parlamentari» (art. 21). In altre parole gli equilibri tra le diverse forze politiche del Senato devono riflettersi nelle commissioni. Questo vuol dire che una maggioranza di uno o due voti in aula comporta necessariamente la creazione di commissioni in cui centrodestra e centrosinistra avranno esattamente lo stesso numero di senatori. Secondo i primi calcoli, la parità è scontata sin d'ora in tre commissioni permanenti su quattordici e si raggiungerà in numerose altre commissioni ogni volta che un senatore a vita o un eletto all'estero dovessero mancare all'appello.
Il voto segreto. La richiesta di voto segreto è un'altra delle "trappole" più temute da qualunque maggioranza, specie nelle votazioni di quei provvedimenti nei quali è facile la creazione di maggioranze occasionali trasversali e alternative a quella "ufficiale". Lo scrutinio segreto è obbligatorio in tutte le votazioni riguardanti le singole persone (elezione del presidente e degli altri organi interni del Senato) e può essere chiesto quando sono in gioco diritti o libertà fondamentali (art. 113). In queste occasioni, bastano venti Senatori in Assemblea e cinque in Commissione per chiedere che il voto avvenga con modalità segreta. Va da sé che minore è lo scarto tra maggioranza e opposizione (e nel prossimo Parlamento sarà il più piccolo di sempre), maggiore è la possibilità che da una simile votazione escano brutte "sorprese" per la maggioranza. Del resto, il voto segreto viene chiesto apposta...
Senatori a vita ed eletti all'estero. I senatori a vita non sono giovanissimi: si va dagli 80 anni di Sergio Pininfarina ai 97 (tra tre giorni, auguri) di Rita Levi-Montalcini. Gli eletti all'estero vengono, ovviamente, da posti lontanissimi. E' lecito supporre che molti di costoro saranno presenti solo nelle occasioni più importanti, lasciando il centrosinistra scoperto (e basta davvero poco per mandarlo in minoranza) nelle votazioni "ordinarie". Eppure, in quanto componenti del Senato, senatori a vita ed eletti all'estero contribuiscono ad alzare la soglia dei presenti richiesta per il raggiungimento del numero legale.