Do you (really) remember Al Gore?

Silvio Berlusconi è sicuro che il risultato delle urne cambierà in seguito al controllo sulle schede annullate. Premesso che del riconteggio qui ce ne freghiamo; premesso che comunque vale la pena di farlo perché quando si perde o si vince per lo 0,01% un controllo in più non fa mai male; premesso che tanto tra un anno si va a votare ed è meglio così; premesso che però, a pensarci bene, vedere la faccia di alcuni di loro il giorno in cui la Cassazione o la Corte d'Appello dovessero annunciare un verdetto opposto a quello diffuso dal Viminale sarebbe meglio del Viagra, ecco, fatte queste premesse è importante non passare per pirla. Perché quando a sinistra dicono frasi tipo "nelle più grandi democrazie del mondo il comportamento di Berlusconi sarebbe stato inconcepibile", occorre saper rispondere a tono. Gli esponenti dell'Unione lo dicono in tutti i talk show, Massimo D'Alema l'ha sparata senza pudori: «Ricordo che il democratico Al Gore riconobbe di essere sconfitto pur avendo 500 mila voti in più. Quelle sono democrazie, dovrebbero imparare».
Ecco, impariamolo allora. E insegnamolo anche a loro, quello che succede nelle democrazie. Le elezioni presidenziali americane cui si riferisce il marinaretto si chiusero l'8 novembre dell'anno 2000. Il risultato, dopo la prima verifica, fatta nel giro di 48 ore, era chiaro: il candidato repubblicano alla Casa Bianca, George W. Bush, si era aggiudicato i 25 grandi elettori dello Stato della Florida per 327 voti, ed era quindi presidente degli Stati Uniti. Il fatto che avesse preso complessivamente meno voti di Al Gore ovviamente non c'entra nulla, visto che tutto dipende da quali stati si aggiudicano i contendenti.
Il 10 novembre, a due giorni dalla chiusura dei seggi, col cavolo che Al Gore aveva riconosciuto la sua sconfitta. Al contrario: faceva dire a un suo portavoce, William Daley, che «contrariamente alle affermazioni fatte dallo staff di Bush l'elezione non è finita. Noi vogliamo che la volontà vera e accertata del popolo prevalga e ciò significa lasciare che il sistema legale faccia il proprio corso. Se, alla fine del processo, Bush sarà vincitore, rispetteremo il risultato». Stessa identica cosa affermata da Berlusconi, il quale l'11 aprile, parlando a palazzo Chigi, ha dichiarato testualmente: «Nessuno, al momento, può dire di aver vinto. Non esiteremo a riconoscere la vittoria dell'avversario, ma solo quando saranno ultimate le doverose procedure legali di verifica». Le stesse parole usate da Al Gore. Solo che il candidato democratico è citato dalla sinistra italiana come esempio di correttezza, mentre Berlusconi è il solito monumento all'eversione costituzionale.
Per farla breve: Al Gore si guardò bene dal concedere alcunché all'avversario sino al 13 dicembre, oltre un mese dopo il voto, quando, in seguito a una sentenza della Corte Suprema americana, ammise che Bush sarebbe stato il nuovo presidente degli Stati Uniti, pur senza dichiararsi battuto. Così funziona nelle grandi democrazie.

Post scriptum. Romano Prodi, appena umiliato dal suo amico Carlo Azeglio Ciampi, che si è rifiutato di stravolgere la prassi costituzionale per assegnargli l'incarico nei tempi rapidi che chiedeva il bollito, dice che Berlusconi «deve andare a casa» e che senza Berlusconi (che col suo partito rappresenta un quarto degli italiani e con la sua coalizione oltre metà degli stessi) la politica italiana «non soffrirebbe». Prodi sì che è un signore, lui sì che rispetta le forme istituzionali. Lui sì che unisce l'Italia.

Lettura fortemente consigliata: "Gli irriducibili dello zero virgola", dell'amico e collega Mario Sechi.

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