Gli elettori della Cdl, indispettiti e dispettosi
di Giovanni Orsina
Se la prima notizia di quest’elezione è che il centrosinistra ne ha cavato a fatica una maggioranza, per quanto risicatissima al Senato, la seconda è certo che il Paese rimane del tutto imprevedibile. I tanti sondaggi diffusi fin quando si poteva si sono rivelati, quale più quale meno, sbagliati. Il più vicino ai numeri reali, e di gran lunga, è stato (ma guarda un po’!) quello americano commissionato da Berlusconi, che tanto è stato sbeffeggiato. Non parliamo poi degli exit poll, immediatamente successivi al voto e perciò in teoria attendibili: hanno trasformato un testa a testa mozzafiato in una comoda marcia trionfale. Per i professionisti del marketing politico, insomma, quest’elezione è stata una Waterloo. Davanti alla quale credo che dovremmo porci due domande: la prima, perché il Paese è così imprevedibile? La seconda, perché malgrado si sia dimostrato così spesso imprevedibile, continuiamo tutti a pensare di saperlo prevedere? Perché seguitiamo a fidarci dei sondaggi e degli exit poll, ignorando magari quei campanelli d’allarme che pure in qualche zona remota della nostra testa continuano, malgrado tutto, a squillare?
Una prima risposta a questi interrogativi, in puro stile berlusconiano, potrebbe essere: il Paese in realtà è comprensibile, ma i sondaggisti faziosi (ovvero di sinistra) lo rappresentano diverso da com’è, sperando che prima o poi s’adegui alla rappresentazione che loro ne fanno. Una seconda e più semplice recita: perché le società demoscopiche non sanno fare il loro lavoro. Una terza, infine, è che gli elettori del centrodestra, per timore o per malizia, sono a tal punto reticenti che ogni rilevazione delle loro opinioni è fatalmente destinata a fallire.
A mio avviso la terza risposta, oltre a essere la più interessante, è pure quella che coglie maggiormente nel segno. Gli elettori della Casa delle Libertà sono indispettiti e dispettosi. Indispettiti perché si sentono delegittimati, mal giudicati, schifati persino. Per quanto negli ultimi giorni della campagna ci si sia concentrati soprattutto sull’epiteto anatomico del quale Berlusconi ha gratificato gli elettori unionisti, l’attribuzione d’un valore etico alle scelte politiche in realtà pesa sulla destra ben più che sulla sinistra. A giudicare gli elettori del centrosinistra dei bolscevichi pedofagi e autolesionisti è soprattutto il presidente del Consiglio, e in larga misura per una strategia elettorale. A ritenere che a votare il centrodestra in generale, e Berlusconi in particolare, sia un’«imbecil gente» di ottusi telespettatori e commercianti grifagni, dediti all’evasione fiscale e al parcheggio in doppia fila quando non alla militanza in Cosa Nostra, è una parte consistente e influente della cultura italiana. Influente non perché riesca a intercettare gli umori profondi del Paese, dai quali è lontana mille miglia e dai quali, per altro, è ben fiera di essere lontana. Ma perché è ancora capace di fissare i termini del culturalmente legittimo: di quel che è possibile, anzi giusto e buono, dire e fare; e di quello che invece è moralmente deteriore, e perciò inconfessabile.
Indispettiti, tanti elettori di centrodestra si sono fatti pure dispettosi. Tacciono perché hanno paura di essere mal giudicati, ma tacciono pure perché si divertono a far saltare gli schemi. Non solo ritengono di appartenere a un’Italia profonda che nessuno - non i sindacati, non Confindustria, non gli intellettuali, non i quotidiani - riesce a rappresentare, tranne forse il grande outsider di Arcore; ma hanno anche piacere che quell’Italia rimanga sommersa, che tutti i conti preventivi si facciano senza di lei, e che essa emerga poi d’improvviso in sede di consuntivo, e guasti le feste. Tanto più ne hanno piacere, poi, quando com’è accaduto in questa campagna elettorale si vedono continuamente e costantemente dati per sconfitti, e possono mimetizzarsi proprio dietro a quelle cosiddette verità evidenti che detestano più di ogni altra cosa.
Se così stanno le cose, gli errori che hanno commesso le società demoscopiche, e la maggior parte dei commentatori politici con loro, possiamo in parte scusarli. Soltanto in parte, però. Perché non è certo la prima volta che gli elettori moderati si nascondono, e ormai la lezione dovremmo averla imparata tutti da tempo. La lezione di un Paese il cui ventre si nasconde alla vista del ceto intellettuale perché lo teme e disprezza, e il cui ceto intellettuale rifiuta di guardare al ventre perché non lo capisce e ne ha ribrezzo. Speriamo di ricordarcene almeno la prossima volta.
© Il Mattino. Pubblicato il 12 aprile 2006 col titolo "L'elettore reticente".
Se la prima notizia di quest’elezione è che il centrosinistra ne ha cavato a fatica una maggioranza, per quanto risicatissima al Senato, la seconda è certo che il Paese rimane del tutto imprevedibile. I tanti sondaggi diffusi fin quando si poteva si sono rivelati, quale più quale meno, sbagliati. Il più vicino ai numeri reali, e di gran lunga, è stato (ma guarda un po’!) quello americano commissionato da Berlusconi, che tanto è stato sbeffeggiato. Non parliamo poi degli exit poll, immediatamente successivi al voto e perciò in teoria attendibili: hanno trasformato un testa a testa mozzafiato in una comoda marcia trionfale. Per i professionisti del marketing politico, insomma, quest’elezione è stata una Waterloo. Davanti alla quale credo che dovremmo porci due domande: la prima, perché il Paese è così imprevedibile? La seconda, perché malgrado si sia dimostrato così spesso imprevedibile, continuiamo tutti a pensare di saperlo prevedere? Perché seguitiamo a fidarci dei sondaggi e degli exit poll, ignorando magari quei campanelli d’allarme che pure in qualche zona remota della nostra testa continuano, malgrado tutto, a squillare?
Una prima risposta a questi interrogativi, in puro stile berlusconiano, potrebbe essere: il Paese in realtà è comprensibile, ma i sondaggisti faziosi (ovvero di sinistra) lo rappresentano diverso da com’è, sperando che prima o poi s’adegui alla rappresentazione che loro ne fanno. Una seconda e più semplice recita: perché le società demoscopiche non sanno fare il loro lavoro. Una terza, infine, è che gli elettori del centrodestra, per timore o per malizia, sono a tal punto reticenti che ogni rilevazione delle loro opinioni è fatalmente destinata a fallire.
A mio avviso la terza risposta, oltre a essere la più interessante, è pure quella che coglie maggiormente nel segno. Gli elettori della Casa delle Libertà sono indispettiti e dispettosi. Indispettiti perché si sentono delegittimati, mal giudicati, schifati persino. Per quanto negli ultimi giorni della campagna ci si sia concentrati soprattutto sull’epiteto anatomico del quale Berlusconi ha gratificato gli elettori unionisti, l’attribuzione d’un valore etico alle scelte politiche in realtà pesa sulla destra ben più che sulla sinistra. A giudicare gli elettori del centrosinistra dei bolscevichi pedofagi e autolesionisti è soprattutto il presidente del Consiglio, e in larga misura per una strategia elettorale. A ritenere che a votare il centrodestra in generale, e Berlusconi in particolare, sia un’«imbecil gente» di ottusi telespettatori e commercianti grifagni, dediti all’evasione fiscale e al parcheggio in doppia fila quando non alla militanza in Cosa Nostra, è una parte consistente e influente della cultura italiana. Influente non perché riesca a intercettare gli umori profondi del Paese, dai quali è lontana mille miglia e dai quali, per altro, è ben fiera di essere lontana. Ma perché è ancora capace di fissare i termini del culturalmente legittimo: di quel che è possibile, anzi giusto e buono, dire e fare; e di quello che invece è moralmente deteriore, e perciò inconfessabile.
Indispettiti, tanti elettori di centrodestra si sono fatti pure dispettosi. Tacciono perché hanno paura di essere mal giudicati, ma tacciono pure perché si divertono a far saltare gli schemi. Non solo ritengono di appartenere a un’Italia profonda che nessuno - non i sindacati, non Confindustria, non gli intellettuali, non i quotidiani - riesce a rappresentare, tranne forse il grande outsider di Arcore; ma hanno anche piacere che quell’Italia rimanga sommersa, che tutti i conti preventivi si facciano senza di lei, e che essa emerga poi d’improvviso in sede di consuntivo, e guasti le feste. Tanto più ne hanno piacere, poi, quando com’è accaduto in questa campagna elettorale si vedono continuamente e costantemente dati per sconfitti, e possono mimetizzarsi proprio dietro a quelle cosiddette verità evidenti che detestano più di ogni altra cosa.
Se così stanno le cose, gli errori che hanno commesso le società demoscopiche, e la maggior parte dei commentatori politici con loro, possiamo in parte scusarli. Soltanto in parte, però. Perché non è certo la prima volta che gli elettori moderati si nascondono, e ormai la lezione dovremmo averla imparata tutti da tempo. La lezione di un Paese il cui ventre si nasconde alla vista del ceto intellettuale perché lo teme e disprezza, e il cui ceto intellettuale rifiuta di guardare al ventre perché non lo capisce e ne ha ribrezzo. Speriamo di ricordarcene almeno la prossima volta.
© Il Mattino. Pubblicato il 12 aprile 2006 col titolo "L'elettore reticente".