La notte del morto vivente
Tre di notte. Romano Prodi, con quasi nove ore di ritardo rispetto al previsto, trova il coraggio di apparire in pubblico. Festeggia in piazza Santi Apostoli. Dice che ha vinto, ma probabilmente nemmeno lui è così bollito da crederci. Lo sgarbo istituzionale con cui finge di ignorare l'esistenza del Senato è tale che se lo avesse fatto Silvio Berlusconi se ne parlerebbe per settimane. Attorno a lui i suoi uomini e Piero Fassino fingono di ridere. Per loro è stata una giornata da incubo. Si erano svegliati convinti di avere 5 punti di vantaggio, si sono illusi davanti agli exit poll, sono andati a letto scoprendo di essere ancora minoranza nel Paese: alla Camera non raggiungono il 50% dei voti, quota che al Senato la Cdl riesce a sorpassare.
I meccanismi elettorali consegnano all'Unione la maggioranza della Camera, e probabilmente i voti degli italiani all'estero le daranno la maggioranza di un seggio al Senato. Nel caso in cui il centrosinistra dovesse esprimere il presidente di Palazzo Madama, questo vantaggio si annullerebbe. La prassi, correttamente, vuole che i senatori a vita possano tutt'al più rafforzare una maggioranza già esistente, non crearne una laddove non esiste. A Prodi resterebbe la strada della campagna acquisti di alcuni senatori dello schieramento opposto, ma purtroppo per lui l'Udeur fa già parte della sua coalizione. Il Corriere, Confindustria e tutto l'establishment volgarmente chiamato "poteri forti" sono pronti a scaricarlo, e magari lo faranno già negli editoriali che leggeremo tra poche ore, dove si invocheranno nomi come Mario Monti e Tommaso Padoa Schioppa alla guida del solito governicchio tecnico che piace tanto ai furbetti di via Solferino.
Prodi da adesso è politicamente morto, anche se nessuno ha ancora avuto il coraggio di dirglielo. Se forma il governo si brucia nel giro di poche settimane e ne esce a pezzi, ostaggio non solo di ogni componente dell'Unione, ma persino di ogni singolo senatore della sua maggioranza, senza il cui appoggio cade. Se non lo forma è finito, perché un'altra occasione simile non l'avrà mai più. Affidargli l'incarico di formare il prossimo governo è un atto doveroso, perché è giusto che il compito sia assegnato a chi detiene la maggioranza alla Camera, che ha il diritto-dovere di provare a formare l'esecutivo. Ma, appunto, sarebbe una crudeltà, il modo migliore per accelerare la dipartita definitiva di Prodi, la cui data e le cui modalità a questo punto sono solo questione di un accordo tra Ds e Margherita.
Berlusconi lascia palazzo Chigi, ma politicamente mette a segno una vittoria importante. Prodi non ha un partito: è un manager che gli azionisti dell'Unione hanno scelto per portarli al governo. Ha fatto quello che poteva, ora non serve più e presto gli arriverà il benservito. Berlusconi, invece, paradossalmente è più forte di prima: piazzando Forza Italia al 23,7 per cento, primo partito della coalizione che conta più voti nel Paese, si è appena confermato azionista di maggioranza del centrodestra. Tutto ciò che accadrà nella Casa delle Libertà dovrà essere deciso o approvato da lui. Comprese la creazione di un eventuale partito unico dei moderati e, soprattutto, la transizione al post-berlusconismo.
Update. Intanto anche chi non lo ama è costretto a rendere omaggio a Berlusconi. Lucia Annunziata sulla Stampa, gran bell'articolo tutto da leggere.
I meccanismi elettorali consegnano all'Unione la maggioranza della Camera, e probabilmente i voti degli italiani all'estero le daranno la maggioranza di un seggio al Senato. Nel caso in cui il centrosinistra dovesse esprimere il presidente di Palazzo Madama, questo vantaggio si annullerebbe. La prassi, correttamente, vuole che i senatori a vita possano tutt'al più rafforzare una maggioranza già esistente, non crearne una laddove non esiste. A Prodi resterebbe la strada della campagna acquisti di alcuni senatori dello schieramento opposto, ma purtroppo per lui l'Udeur fa già parte della sua coalizione. Il Corriere, Confindustria e tutto l'establishment volgarmente chiamato "poteri forti" sono pronti a scaricarlo, e magari lo faranno già negli editoriali che leggeremo tra poche ore, dove si invocheranno nomi come Mario Monti e Tommaso Padoa Schioppa alla guida del solito governicchio tecnico che piace tanto ai furbetti di via Solferino.
Prodi da adesso è politicamente morto, anche se nessuno ha ancora avuto il coraggio di dirglielo. Se forma il governo si brucia nel giro di poche settimane e ne esce a pezzi, ostaggio non solo di ogni componente dell'Unione, ma persino di ogni singolo senatore della sua maggioranza, senza il cui appoggio cade. Se non lo forma è finito, perché un'altra occasione simile non l'avrà mai più. Affidargli l'incarico di formare il prossimo governo è un atto doveroso, perché è giusto che il compito sia assegnato a chi detiene la maggioranza alla Camera, che ha il diritto-dovere di provare a formare l'esecutivo. Ma, appunto, sarebbe una crudeltà, il modo migliore per accelerare la dipartita definitiva di Prodi, la cui data e le cui modalità a questo punto sono solo questione di un accordo tra Ds e Margherita.
Berlusconi lascia palazzo Chigi, ma politicamente mette a segno una vittoria importante. Prodi non ha un partito: è un manager che gli azionisti dell'Unione hanno scelto per portarli al governo. Ha fatto quello che poteva, ora non serve più e presto gli arriverà il benservito. Berlusconi, invece, paradossalmente è più forte di prima: piazzando Forza Italia al 23,7 per cento, primo partito della coalizione che conta più voti nel Paese, si è appena confermato azionista di maggioranza del centrodestra. Tutto ciò che accadrà nella Casa delle Libertà dovrà essere deciso o approvato da lui. Comprese la creazione di un eventuale partito unico dei moderati e, soprattutto, la transizione al post-berlusconismo.
Update. Intanto anche chi non lo ama è costretto a rendere omaggio a Berlusconi. Lucia Annunziata sulla Stampa, gran bell'articolo tutto da leggere.