Ma quei morti non li ha fatti Calderoli
di Fausto Carioti
In Arabia Saudita, in Pakistan e in grandissima parte del mondo islamico i governi fanno mettere in carcere i cristiani che praticano il loro culto. Questi governi - per la stragrande maggioranza sono dittature - continuano tranquillamente a fare affari con i Paesi cristiani, in primis il nostro, e hanno il loro seggio alle Nazioni Unite. Nessuno si sogna di dichiarare “impresentabili” i loro ministri, nessuno ne chiede le dimissioni, nessuno intende aprire una crisi diplomatica con i loro Stati perché umiliano e maltrattano in questo modo i cristiani. Le dimissioni sono state invece chieste ieri, innanzitutto da Silvio Berlusconi, per Roberto Calderoli, sanguigno ministro della Lega. Calderoli ha avuto la colpa di mostrarsi in televisione con addosso una maglietta raffigurante una delle vignette su Maometto che hanno infiammato la parte più retriva del mondo musulmano. Le stesse vignette che hanno portato ieri centinaia di manifestanti - aizzati da chi aveva interesse a scatenare i disordini - a protestare davanti al consolato italiano di Bengasi, in Libia. Ci sono stati morti, feriti, automobili bruciate. La colpa di tutto ciò, ovviamente, è stata attribuita, anche da Berlusconi, all'esponente del Carroccio (sbagliando, secondo quanto ha rivelato poi l’ambasciatore italiano in Libia).
Qualcosa non torna. Si chiede la testa - metaforicamente, almeno qui in Italia - del ministro leghista. Calderoli, inutile dirlo, si è dimostrato ancora una volta sopra le righe, ha cercato la provocazione anche quando tutti i segnali consigliavano un briciolo di cautela - l'irriverenza è una libertà che vignettisti e giornalisti debbono prendersi di diritto, ma dalla quale i ministri farebbero bene ad astenersi. La sinistra, però, ha provato a spacciare per vera la favola che i morti di ieri siano colpa di quella maglietta. Quei morti, invece, sono figli di una religione che - almeno così come interpretata da larga parte del mondo musulmano - è abituata a soffocare le critiche nel sangue e a concedere spazi limitatissimi alla libertà d’espressione. Ieri a Teheran, con la benedizione degli ayatollah, è stata bruciata in piazza una croce. Nessuno stamattina si sognerà di presentarsi davanti all’ambasciata iraniana di Roma a chiedere il conto. Chi vuole venderci l’Islam come una religione di tolleranza ci spieghi almeno perché, dinanzi alle manifestazioni cui assistiamo in questi giorni, tratta i fanatici che le mettono in atto come dei normali fedeli musulmani e considera un pazzo criminale chi si è limitato a indossare in video una maglietta politicamente poco felice.
© Libero. Pubblicato il 18 febbraio 2006.
Addendum. In seguito l'ambasciatore italiano in Libia, commentando le cause che hanno spinto i manifestanti, ha detto di non poter escludere «che altri fattori a noi vicini abbiano potuto influire».
Addendum 2. Probabili, come prevedibile, le dimissioni di Calderoli in giornata.
Update. E infatti Calderoli si è dimesso.
Sullo stesso tema, su questo blog:
"Islam, quattro letture contro i luoghi comuni"
"Pensierini politicamente scorretti sulle vignette e l'Islam"
"Quell'abisso che separa Islam e Occidente (by G. Orsina)"
"Voltaire, salvaci (da noi stessi)"
"Ratzinger pessimista sull'evoluzione dell'Islam"
"Ratzinger e l'evoluzione dell'Islam, seconda puntata"
"Islam, cinque domande ai musulmani e ai relativisti"
"La mappa del bavaglio islamico in Europa"
Lettura consigliata: da Semplicemente Liberale, "Il paradosso della politica"
In Arabia Saudita, in Pakistan e in grandissima parte del mondo islamico i governi fanno mettere in carcere i cristiani che praticano il loro culto. Questi governi - per la stragrande maggioranza sono dittature - continuano tranquillamente a fare affari con i Paesi cristiani, in primis il nostro, e hanno il loro seggio alle Nazioni Unite. Nessuno si sogna di dichiarare “impresentabili” i loro ministri, nessuno ne chiede le dimissioni, nessuno intende aprire una crisi diplomatica con i loro Stati perché umiliano e maltrattano in questo modo i cristiani. Le dimissioni sono state invece chieste ieri, innanzitutto da Silvio Berlusconi, per Roberto Calderoli, sanguigno ministro della Lega. Calderoli ha avuto la colpa di mostrarsi in televisione con addosso una maglietta raffigurante una delle vignette su Maometto che hanno infiammato la parte più retriva del mondo musulmano. Le stesse vignette che hanno portato ieri centinaia di manifestanti - aizzati da chi aveva interesse a scatenare i disordini - a protestare davanti al consolato italiano di Bengasi, in Libia. Ci sono stati morti, feriti, automobili bruciate. La colpa di tutto ciò, ovviamente, è stata attribuita, anche da Berlusconi, all'esponente del Carroccio (sbagliando, secondo quanto ha rivelato poi l’ambasciatore italiano in Libia).
Qualcosa non torna. Si chiede la testa - metaforicamente, almeno qui in Italia - del ministro leghista. Calderoli, inutile dirlo, si è dimostrato ancora una volta sopra le righe, ha cercato la provocazione anche quando tutti i segnali consigliavano un briciolo di cautela - l'irriverenza è una libertà che vignettisti e giornalisti debbono prendersi di diritto, ma dalla quale i ministri farebbero bene ad astenersi. La sinistra, però, ha provato a spacciare per vera la favola che i morti di ieri siano colpa di quella maglietta. Quei morti, invece, sono figli di una religione che - almeno così come interpretata da larga parte del mondo musulmano - è abituata a soffocare le critiche nel sangue e a concedere spazi limitatissimi alla libertà d’espressione. Ieri a Teheran, con la benedizione degli ayatollah, è stata bruciata in piazza una croce. Nessuno stamattina si sognerà di presentarsi davanti all’ambasciata iraniana di Roma a chiedere il conto. Chi vuole venderci l’Islam come una religione di tolleranza ci spieghi almeno perché, dinanzi alle manifestazioni cui assistiamo in questi giorni, tratta i fanatici che le mettono in atto come dei normali fedeli musulmani e considera un pazzo criminale chi si è limitato a indossare in video una maglietta politicamente poco felice.
© Libero. Pubblicato il 18 febbraio 2006.
Addendum. In seguito l'ambasciatore italiano in Libia, commentando le cause che hanno spinto i manifestanti, ha detto di non poter escludere «che altri fattori a noi vicini abbiano potuto influire».
Addendum 2. Probabili, come prevedibile, le dimissioni di Calderoli in giornata.
Update. E infatti Calderoli si è dimesso.
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