Diritti umani, l'Onu prova a peggiorarsi

Il modo con cui le Nazioni Unite affrontano la questione "diritti umani" è una schifezza, e chi si è letto un paio di libri sull'argomento lo sa benissimo. Però si può fare di peggio, e all'Onu ci stanno provando. Cercando di rendere la Commissione per i diritti umani peggiore di quella che è adesso. Si tratta della commissione che ha prodotto il rapporto su Guantanamo in fretta e furia, mentre sta adottando tempi biblici per spiegare al mondo le modalità curiose ed originali con cui certi regimi islamici, tipo la Siria, pretendono di interpretare il rispetto delle libertà individuali. Il Wall Street Journal ha il pregio di non usare giri di parole, e scrive che «in verità l'unico scopo al quale serve la Commissione è deviare le critiche rivolte a chi veramente viola i diritti umani accumulando insulti contro gli Stati Uniti e contro Israele».
Insomma, persino Kofi Annan ha capito che c'è del marcio dalle sue parti, tanto che sta pensando di cancellare la Commissione, rimpiazzandola con un Consiglio per i diritti umani. Oltre al nome, in un primo tempo era previso che cambiassero il numero dei Paesi chiamati a partecipare all'organismo, nonché la maggioranza richiesta per esservi eletti, che doveva essere elevata a due terzi. Minore il numero dei partecipanti e più alto il quorum richiesto, minore sarebbe stato il numero delle dittature impresentabili che possono aspirare a ottenere il seggio (a proposito: oggi vi partecipano, tra gli altri, Sudan, Cuba, Arabia Saudita e Zimbawe). La solita commissione di saggi è stata incaricata di lavorarci sopra. Dopo mesi di lavoro, ecco la loro proposta: il Consiglio dovrà essere composto da 45 Stati, contro i 53 che compongono la Commissione attuale (otto in meno, sai che differenza), mentre il quorum di due terzi è già stato affondato, preferendogli la maggioranza semplice. Respinta anche la proposta di rendere ineleggibili gli Stati canaglia finiti sotto le sanzioni Onu del Capitolo VII. Non basta. La proposta delle Nazioni Unite prevede di distribuire i seggi non in base al rispetto dei diritti umani, ma a un semplice criterio geografico: 12 all'Africa, 13 all'Asia-Medio Oriente, 8 all'America Latina, 5 all'Europa orientale e 7 al gruppo "occidentale", che comprende, tra gli altri, Stati Uniti, Canada, Australia, Nuova Zelanda e Israele. Ciò vuol dire, come spiega il Wall Street Journal, che «ai due gruppi che contengono la maggior parte delle democrazie è riservata la quota minore di seggi. Per contrasto, nel 2005 solo 9 Paesi nell'intera Africa hanno avuto il rating di "free" dalla Freedom House. In Asia e Medio Oriente solo una dozzina di Paesi su 54 sono "free", e questo includendo Tuvalu, Palau, Nauru e Kiribati. In parole semplici, questo meccanismo non solo non esclude regimi abusivi dalla partecipazione al Consiglio, ma - al contrario - garantisce loro una presenza nel consiglio». La buona notizia è che gli Stati Uniti si oppongono.

Post scriptum. Quanto alla questione Guantanamo, qui la si pensa come Tony Blair: «E' un'anomalia che deve finire». Però si pensa anche che Blair abbia il diritto di dirlo perché non manca di denunciare le ben più gravi "anomalie" rappresentate dal dittatore Fidel Castro Ruz a Cuba e dal coatto Hugo Chavez in Venezuela. Si pensa infatti, qui, che non abbia alcun diritto di criticare il carcere di Guantanamo chi, vuoi per carenze intellettuali vuoi perché ha gli occhi foderati da un'ideologia criminale, insiste nel non vedere cose come queste.

"Sins of Commission - Human rights lose at the U.N. again", editoriale sul Wall Street Journal (registrazione - gratuita - obbligatoria).

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