La religione è più forte del comunismo. Anche in Cina

Sembra una di quelle vecchie barzellette che giravano ai tempi della Germania Est, con Erich Honecker che fa al suo vice: «Certo che se qui se ne vanno via tutti, presto rimarremo solo in due», e l'altro che gli risponde commosso: «Compagno presidente, sua moglie deve volerle davvero molto bene». Solo che stavolta la storia è ambientata in Cina. E non è una barzelletta. La racconta Asia News, riprendendola da Epoch Times: almeno 20 dei 60 milioni di membri del partito comunista cinese appartengono a qualche organizzazione religiosa e circa la metà partecipa regolarmente ai servizi religiosi. E' evidente che nel comunismo in salsa cinese c'è qualcosa che non va. Per la disperazione del presidente cinese Hu Jintao, che ha varato una campagna di comunicazione per la promozione dell'ateismo e minaccia l'espulsione dal partito per chi non si adegua, convinto - assolutamente a ragione - che le idee religiose «generano un cambiamento di mentalità dei quadri del partito e portano a un tracollo della loro fede nel partito comunista, acuiscono il declino dei principi del partito e affondano il partito e lo stato in ulteriori crisi politiche e sociali». Infatti le iscrizioni al partito stanno crollando.
Particolare importante: la libertà religiosa cresce più forte nel Sud del Paese, l'area più "globalizzata", laddove più è sviluppata la libertà di mercato. A ulteriore conferma che avere libero mercato senza rispetto dei diritti umani è possibile, ma rende il compito di chi deve mantenere l'ordine ogni giorno più difficile del precedente. La libertà non viaggia chiusa in compartimenti stagni, e i muri prima o poi crollano. Anche in Cina.

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