Nel programma di Prodi c'è la riforma (statalista) delle pensioni

di Fausto Carioti
Addio ai fondi pensione, addio al Tfr come lo conosciamo oggi. La riforma previdenziale del centrosinistra (anche se ovviamente non l’hanno chiamata così) è scritta a pagina 172 del loro programma, e la logica che la ispira si chiama «controllo pubblico». L’Unione intende statalizzare l’intera previdenza complementare, trasferendola forzatamente all’Inps per sottoporla alle stesse regole (rendimenti compresi) della previdenza obbligatoria. Non solo. Il possibile futuro governo Prodi è pronto a dirottare in questa nuova gestione dell’Inps i soldi delle liquidazioni. Tutti, anche quelli dei lavoratori che, come consentito dalla riforma varata dal centrodestra, non intendono usare il loro Tfr per aderire a forme previdenziali complementari. Questo non per garantire pensioni migliori agli italiani, ma per contenere il fabbisogno pubblico, specie nel periodo in cui la spesa previdenziale raggiungerà il suo massimo, attorno all’anno 2030.
Anche se scritto con lo stesso stile involuto che caratterizza tutte le 281 pagine che lo compongono, su questo argomento il programma dell’Unione parla chiaro. Il capitolo è quello dedicato alla previdenza complementare, definita «il pilastro del futuro». Sostenendo di volerla difendere «dal rischio di mercato e dall’inflazione», il centrosinistra, per la gioia dei compagni rifondaroli, intende introdurre «un meccanismo a “controllo pubblico”». Che sarà realizzato mediante «il conferimento a un’apposita gestione Inps dei montanti contributivi maturati con i fondi di pensione, da trasformare in trattamenti aggiuntivi a quelli della pensione obbligatoria, applicando le stesse formule di conversione». Tradotto, significa che Romano Prodi vuole togliere dai fondi pensione i soldi conferiti dai lavoratori, per metterli in una nuova gestione dell’Inps, chiamata “Fondo di riserva”, che dovrà garantire gli stessi rendimenti della gestione obbligatoria. Dal momento che non è fatto alcun distinguo, è lecito dedurre che questa “riforma” riguarderà tutti i fondi pensione, sia quelli “chiusi”, istituiti da aziende, sindacati e associazioni di categoria, sia quelli “aperti”, messi sul mercato da banche, assicurazioni e altri intermediari finanziari. Chi ha la fortuna di poter contare su un fondo dagli alti rendimenti, dovrà rinunciarci: nel programma dell’Unione, alla voce “previdenza”, non c’è spazio per la libertà di scelta.
Come detto, c’è di più. Si avrebbero «effetti maggiori e più immediati», si legge ancora, se anche «il Tfr non indirizzato ai fondi di previdenza venisse fatto affluire allo stesso “Fondo di riserva”, con una garanzia di un rendimento almeno pari all’attuale Tfr». Uno spostamento di soldi che apre più di un dubbio. Ad esempio sul ruolo degli eredi: oggi i familiari dei lavoratori defunti prima di andare in pensione hanno diritto a ricevere il Tfr maturato, che è a tutti gli effetti una quota dello stipendio trattenuta dal datore di lavoro. Se il Tfr venisse trasformato interamente in contributi previdenziali, a chi spetterebbero quei soldi? All’Inps o agli eredi del lavoratore? Il programma non lo dice, ma quale sia lo scopo dell’intera operazione lo si capisce poco dopo: «Le risorse finanziarie accumulate nel “Fondo di riserva” aiuterebbero a controbilanciare le uscite previdenziali nella fase più critica della “gobba”, con effetti positivi sul fabbisogno pubblico». Ciò che ha in mente davvero l’Unione, quindi, non è una gestione separata da quella obbligatoria, ma un modo per finanziare quest’ultima e mettere una pezza ai conti pubblici. Invece di tagliare le spese, le coprono con un prelievo forzoso dei contributi destinati alla previdenza complementare. E lo chiamano «il pilastro del futuro».

© Libero. Pubblicato il 17 febbraio 2006.

Il programma dell'Unione (file Pdf).
La riforma delle pensioni varata dal governo Berlusconi (legge delega 243/2004).

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