Quell'abisso che separa Islam e Occidente (by G. Orsina)

di Giovanni Orsina
Guardandole con occhi occidentali mentre sul televisore scorrono le immagini dei disordini di Damasco e Beirut, non è facile davanti alle vignette su Maometto fare a meno di chiedersi: e per questi disegni così tanto rumore? Misuriamo così, concretamente, l’abissale divario di sensibilità, e suscettibilità, che sul terreno religioso separa l’Islam dall’Occidente; e sul terreno della politica l’ostilità che nei nostri confronti s’è accumulata in certe fasce del mondo musulmano. Ostilità della quale l’omicidio di padre Santoro in Turchia potrebbe essere l’ennesima manifestazione.
Nessuno di noi può fare a meno di chiedersi in quale modo questo divario e questa ostilità debbano essere gestiti. Nessuno di noi può ignorare che, qualunque decisione prenderemo, sarà gravida di conseguenze. Non pochi in Occidente, in Italia ad esempio Ciampi, Pisanu e Prodi, hanno reagito a questa vicenda sottolineando in generale l’esigenza che le convinzioni religiose non siano svilite né messe in berlina, in particolare l’assai scarso senso politico dimostrato da chi deride l’Islam nel clima storico dei nostri anni. Ed è evidente che quei non pochi hanno ragione, così in generale come in particolare. Questa ragione, tuttavia, porta con sé un corollario e un limite, dei quali dobbiamo essere consapevoli. Il corollario è che quando parliamo di convinzioni religiose è di tutte le religioni che stiamo parlando. Certamente sbaglia chi offende nella sua fede musulmana un tassista di Aleppo o un impiegato di Riad; ma che cosa dovremmo dire, allora, di chi urta la suscettibilità cristiana di un commesso palermitano o di una maestra torinese? Perché nessuno può ignorare quanto l’Occidente sia andato avanti nella demolizione dei suoi propri luoghi sacri: nella satira certamente, ma anche nella letteratura, nel teatro, nella cinematografia - a cominciare dal lontano 1930, anno in cui Gesù Cristo partecipò a un’orgia ne «L’Age d’or» di Luis Buñuel e Salvador Dalí. E non può valere il principio per il quale quel che è nostro possiamo farlo a pezzi, mentre quel che è d’altri dobbiamo tutelarlo, perché a quel che è nostro tengono ancora tanti dei nostri, e la loro sensibilità sarebbe ingiusto ignorarla. Né possiamo dire che chi s’offende di più e reagisce peggio va trattato meglio, perché ciò significherebbe premiare la prepotenza. Se rispetto per le religioni dev’essere, dunque, lo sia per tutte, a cominciare dalla nostra.
Ma questo rispetto, dicevo, deve pure avere un limite: non può, non deve, essere fissato in una legge. Per quanto robustamente possiamo appellarci alla salvaguardia delle convinzioni altrui, per quanto fortemente possiamo criticare chi non le rispetta, i nostri appelli e le nostre critiche si fermano sul terreno della responsabilità morale. Sono secoli che in Occidente discutiamo della libertà di espressione e dei suoi limiti. Ci abbiamo messo secoli a capire quant’è difficile disciplinarla, e quanto incombe il rischio che la disciplina si allarghi sempre di più, e alla fine la libertà se la mangi tutta. Di suscettibilità, in questi secoli, ne abbiamo fatte a pezzi una moltitudine: religiose, anzitutto; ma anche morali, culturali, sessuali. Erano suscettibilità che venivano dalla nostra tradizione. Eppure chi si offendeva ha dovuto imparare a offendersi in privato; ha dovuto imparare la difficile arte della tolleranza. La via che abbiamo percorso in questi secoli è diventata la strada maestra dell’Occidente, e indietro non possiamo né dobbiamo tornare.
Per questo la giusta disapprovazione per chi con un disegno urta i sentimenti dei musulmani non può che accompagnarsi a un rifiuto infinitamente più intransigente opposto a chi condanna a morte il disegnatore, o ne incendia l’ambasciata. Chi brucia la bandiera danese, infatti, non se la sta prendendo solamente con le vignette inopportune, ma attaccando un paese intero se la prende con il sistema politico e sociale che quelle vignette le ha rese possibili. Ovvero se la prende con il diritto di libera manifestazione del pensiero, quel diritto che il premier danese Rasmussen ha richiamato quando si è rifiutato di chiedere scusa, affermando correttamente che uno Stato libero non è responsabile di quel che affermano i suoi cittadini. E tanto lo disprezza, quel sistema, tanto lo giudica imbelle, che si vuole sostituire ad esso, e giustiziare i colpevoli di propria mano. La frattura con la nostra tradizione di tolleranza e pluralismo non potrebbe essere più profonda. La necessità di salvaguardare quella tradizione non potrebbe essere più pressante.
© Il Mattino. Pubblicato il 6 febbraio 2006.

Update importante. «Secondo la rete turca Ntv, il giovane omicida di padre Santoro avrebbe detto dopo la confessione di essere rimasto sconvolto dalle caricature del profeta Maometto pubblicate in vari paesi europei». Il resto qui, sul sito dell'agenzia Ansa.

Per chi se la fosse persa. La ricetta con cui il premier turco Tayyip Erdogan bussa alle porte della Ue: limitare la libertà di stampa.

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