L'unica cosa su cui ha ragione Oliviero Diliberto
di Fausto Carioti
Nella vicenda dei fantocci vestiti da soldato italiano, americano e israeliano, bruciati e impiccati al grido di «10-100-1000 Nassiriya» durante il rito tribale che si è tenuto sabato nelle strade di Roma, è chiaro che Oliviero Diliberto ha torto marcio. La sua colpa vera è ben precedente ai fatti di sabato, ai quali era presente nonostante fosse chiaro a tutti ciò che sarebbe successo in piazza, ed è quella, come ha scritto - da sinistra - Luca Ricolfi, di aver contributo a «intossicare» i giovani vendendo loro una «sistematica opera d’informazione a senso unico», ad esempio sul conflitto arabo-israeliano. Su una cosa, però, il segretario dei Comunisti italiani ha ragione: quando, intervistato da Repubblica, sbotta contro i suoi alleati: «Quanto opportunismo nella condanna e quanta ipocrisia nei miei colleghi!».
Indovinare con chi ce l’abbia Diliberto non è difficile. Di sicuro, malgrado quella deliziosa erre moscia, il suo arcinemico Fausto Bertinotti non è tra coloro che possono permettersi di alzare il ditino e dare lezioni sul comportamento da tenere in piazza, come invece ha fatto. Dopo aver lisciato il pelo ai teppisti dei centri sociali di tutta Italia e aver dedicato la loro aula in Senato a Carlo Giuliani, ucciso mentre, a volto coperto, si stava avventando contro un carabiniere, i compagni di Rifondazione Comunista debbono avere un gran senso dell’umorismo per giudicare «incompatibili con la convivenza civile» (come ha fatto Bertinotti) i comportamenti di chi se la prende con soldati di pezza. Ovviamente l’accusa di inciviltà i compagni di piazza di Diliberto la meritano tutta. Ma la lista di quelli che hanno il diritto di lanciarla, pur essendo lunghissima, non comprende il presidente della Camera e i vertici del suo partito.
Anche il presidente del Consiglio è intervenuto, chiedendo ai Comunisti italiani «l’impegno a finirla di giocare con la piazza». Ma in campagna elettorale, quando Diliberto era apparso in tutta Italia sui manifesti con la scritta «Via dalla sporca guerra», Romano Prodi non aveva avuto nulla da obiettare. E tra dire che una guerra è sporca e sostenere che chi la combatte è un criminale, e come tale merita di essere insultato in piazza, non si vede una grande differenza.
Né è la prima volta che accade qualcosa di simile: a Roma una manifestazione “pacifista”, come le tante che si sono tenute quando al governo c’era Silvio Berlusconi, non è degna di tale nome finché non viene bruciata almeno una bandiera con la stella di David. Tutto questo, per inciso, accade mentre a sinistra nessuno, a iniziare dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema, ha il coraggio politico di dire che la causa del conflitto mediorientale è il rifiuto arabo-islamico, dal 1948 a oggi, di riconoscere il diritto di Israele all’esistenza. Prodi, però, fino a domenica, quando - anche per ragioni di presentabilità internazionale - è stato costretto a prendere le distanze dall’accaduto, ha sempre preferito un silenzio complice. E lo ha fatto perché Diliberto e compagni, con le loro sparate contro gli Stati Uniti e contro Israele, gli servivano per assicurare alla sua coalizione il voto della parte più belluina dell’elettorato di sinistra. Operazione, peraltro, perfettamente riuscita, e rivelatasi decisiva per la risicatissima vittoria di Prodi. Per questo il primo degli ipocriti è proprio lui.
© Libero. Pubblicato il 21 novembre 2006.
Post scriptum 1. Letture consigliate:
Diritto di Israele a uno Stato. A sinistra il 12% è contrario, di Renato Mannheimer
Vabbè Diliberto, ma perché D'Alema non dice che Israele ha ragione?, di Antonio Polito
Post scriptum 2. Degno di nota:
Rossana Rossanda se la prende con Miriam Mafai, colpevole di oggettiva complicità con il nemico per aver criticato la manifestazione di Roma: «Erano in nove, è durato qualche minuto. Si poteva affogarli nella loro insignificanza», sostiene la Rossanda. Come risposta, vale quanto scritto ieri da Luca Ricolfi: «Lo scandalo non è che ci siano quattro "imbecilli", "teppisti" o "provocatori" (come vi sbizzarrite a chiamarli) che fanno quello che fanno. Lo scandalo è che nessuno degli altri manifestanti li abbia fermati, che non siano stati subissati da una marea di fischi, che non ci siano state decine di interviste a manifestanti che dicono: siamo sconvolti, ci vergogniamo per loro».
Nella vicenda dei fantocci vestiti da soldato italiano, americano e israeliano, bruciati e impiccati al grido di «10-100-1000 Nassiriya» durante il rito tribale che si è tenuto sabato nelle strade di Roma, è chiaro che Oliviero Diliberto ha torto marcio. La sua colpa vera è ben precedente ai fatti di sabato, ai quali era presente nonostante fosse chiaro a tutti ciò che sarebbe successo in piazza, ed è quella, come ha scritto - da sinistra - Luca Ricolfi, di aver contributo a «intossicare» i giovani vendendo loro una «sistematica opera d’informazione a senso unico», ad esempio sul conflitto arabo-israeliano. Su una cosa, però, il segretario dei Comunisti italiani ha ragione: quando, intervistato da Repubblica, sbotta contro i suoi alleati: «Quanto opportunismo nella condanna e quanta ipocrisia nei miei colleghi!».
Indovinare con chi ce l’abbia Diliberto non è difficile. Di sicuro, malgrado quella deliziosa erre moscia, il suo arcinemico Fausto Bertinotti non è tra coloro che possono permettersi di alzare il ditino e dare lezioni sul comportamento da tenere in piazza, come invece ha fatto. Dopo aver lisciato il pelo ai teppisti dei centri sociali di tutta Italia e aver dedicato la loro aula in Senato a Carlo Giuliani, ucciso mentre, a volto coperto, si stava avventando contro un carabiniere, i compagni di Rifondazione Comunista debbono avere un gran senso dell’umorismo per giudicare «incompatibili con la convivenza civile» (come ha fatto Bertinotti) i comportamenti di chi se la prende con soldati di pezza. Ovviamente l’accusa di inciviltà i compagni di piazza di Diliberto la meritano tutta. Ma la lista di quelli che hanno il diritto di lanciarla, pur essendo lunghissima, non comprende il presidente della Camera e i vertici del suo partito.
Anche il presidente del Consiglio è intervenuto, chiedendo ai Comunisti italiani «l’impegno a finirla di giocare con la piazza». Ma in campagna elettorale, quando Diliberto era apparso in tutta Italia sui manifesti con la scritta «Via dalla sporca guerra», Romano Prodi non aveva avuto nulla da obiettare. E tra dire che una guerra è sporca e sostenere che chi la combatte è un criminale, e come tale merita di essere insultato in piazza, non si vede una grande differenza.
Né è la prima volta che accade qualcosa di simile: a Roma una manifestazione “pacifista”, come le tante che si sono tenute quando al governo c’era Silvio Berlusconi, non è degna di tale nome finché non viene bruciata almeno una bandiera con la stella di David. Tutto questo, per inciso, accade mentre a sinistra nessuno, a iniziare dal ministro degli Esteri Massimo D’Alema, ha il coraggio politico di dire che la causa del conflitto mediorientale è il rifiuto arabo-islamico, dal 1948 a oggi, di riconoscere il diritto di Israele all’esistenza. Prodi, però, fino a domenica, quando - anche per ragioni di presentabilità internazionale - è stato costretto a prendere le distanze dall’accaduto, ha sempre preferito un silenzio complice. E lo ha fatto perché Diliberto e compagni, con le loro sparate contro gli Stati Uniti e contro Israele, gli servivano per assicurare alla sua coalizione il voto della parte più belluina dell’elettorato di sinistra. Operazione, peraltro, perfettamente riuscita, e rivelatasi decisiva per la risicatissima vittoria di Prodi. Per questo il primo degli ipocriti è proprio lui.
© Libero. Pubblicato il 21 novembre 2006.
Post scriptum 1. Letture consigliate:
Diritto di Israele a uno Stato. A sinistra il 12% è contrario, di Renato Mannheimer
Vabbè Diliberto, ma perché D'Alema non dice che Israele ha ragione?, di Antonio Polito
Post scriptum 2. Degno di nota:
Rossana Rossanda se la prende con Miriam Mafai, colpevole di oggettiva complicità con il nemico per aver criticato la manifestazione di Roma: «Erano in nove, è durato qualche minuto. Si poteva affogarli nella loro insignificanza», sostiene la Rossanda. Come risposta, vale quanto scritto ieri da Luca Ricolfi: «Lo scandalo non è che ci siano quattro "imbecilli", "teppisti" o "provocatori" (come vi sbizzarrite a chiamarli) che fanno quello che fanno. Lo scandalo è che nessuno degli altri manifestanti li abbia fermati, che non siano stati subissati da una marea di fischi, che non ci siano state decine di interviste a manifestanti che dicono: siamo sconvolti, ci vergogniamo per loro».