Il Molise certifica il disastro di Prodi

di Fausto Carioti

La pesante sconfitta elettorale dell’Unione in Molise, di per sé, non è un fatto epocale. Tanto più che il governatore uscente, Michele Iorio, è di centrodestra. Per il governo si tratta dell’equivalente di un brutto raffreddore. In tempi normali, dopo una settimana la cosa sarebbe metabolizzata. Ma questi, per Romano Prodi e il suo governo, non sono tempi normali. L’esecutivo è il grande malato d’Italia, e quando le condizioni di salute sono molto precarie anche un raffreddore può avere effetti devastanti. Stavolta - a differenza che nel novembre 2001 - a palazzo Chigi c’è il centrosinistra, ed è impossibile dare una lettura del risultato elettorale molisano senza tenere conto che il gradimento degli italiani nei confronti del governo centrale è ai minimi storici, che non passa giorno in cui qualche ministro non annunci una nuova tassa, aggiungendo così nuovo malcontento a quello già esistente, e che stavolta, in Molise, si è registrato un calo dell’affluenza alle urne, rispetto alle recenti elezioni politiche, pari a 17 punti percentuali. Tutti, o quasi, voti persi dall’Unione.

A sinistra la gravità della situazione l’avevano presente in tanti. Il 21 ottobre, a disastro della Finanziaria già avviato, parlando dinanzi alla direzione nazionale dei Ds, un Piero Fassino che i sondaggi avevano depresso più del solito avvertiva che il suo partito non intendeva «guardare con sufficienza al malessere e ai dissensi manifestati in particolare da settori del ceto medio, dipendente e autonomo». È proprio la paura di non riuscire più a risalire la china che sta facendo fiorire a sinistra le ipotesi su come separare il proprio destino da quello di Prodi, sul quale sempre in meno sono pronti a scommettere. Così a ogni gaffe, a ogni intoppo del governo e del suo leader, le voci su un tentativo più o meno concertato da esponenti della stessa maggioranza per mandare a casa Prodi si fanno più insistenti. Non passa giorno senza che Liberazione, il quotidiano di Rifondazione comunista, non sbatta in prima pagina la tesi del complotto. Il politologo di area diessina Gianfranco Pasquino ha anche fatto i nomi dei congiurati: «Una parte della Margherita, che non ha mai difeso Romano a spada tratta. Per esempio Rutelli, che ha un potere fortissimo nel suo partito», e «alcuni settori» dei Ds, ovvero «la parte più vicina a D’Alema, che ritiene il ministro degli Esteri politicamente più abile, e l’area di quel partito contraria all’accelerazione verso il Pd». Persino a Prodi, che ovviamente ha tutto l’interesse a fingere di avere il vento in poppa, ogni tanto scappa fuori qualche verità. Come quando, nei giorni scorsi, conversando con il quotidiano spagnolo “El Pais”, ha ammesso: «Non possono cacciarmi perché non saprebbero che cosa fare». Oppure quando ha confidato a Bruno Vespa che la sua «polizza di assicurazione politica» è il partito democratico. Non i suoi alleati, non la sua vittoria elettorale, non il suo governo: il partito democratico, cioè un partito che non esiste e che a sinistra, al di là delle dichiarazioni ufficiali, non vuole quasi nessuno. E i pochi che lo vogliono non hanno alcuna intenzione di affidarlo a Prodi.

Né ha contribuito a tranquillizzare il presidente del Consiglio la prima vera uscita antiprodiana (se non nelle intenzioni, di sicuro negli esiti) di Walter Veltroni. Il sindaco di Roma - che tutti a sinistra danno come futuro leader della coalizione - ha proposto la creazione di una costituente in cui l’Unione e la Cdl possano riscrivere insieme, con spirito bipartisan, le principali regole del gioco della politica, iniziando dalla legge elettorale. In sostanza, si creerebbe un tavolo permanente di larghe intese che diventerebbe il nuovo baricentro della politica italiana, tagliando fuori il governo e lo stesso Prodi. Ovviamente, il presidente del Consiglio ha subito detto che non ci sono le condizioni politiche per una simile operazione. Ma a sinistra, nei Ds, qualcuno ci ha fatto più un pensiero.

Ora il risultato delle elezioni regionali in Molise conferma i timori dei tanti che, nell’Unione, si aspettavano di pagare tra Campobasso e Isernia un prezzo salatissimo agli errori del governo e alle tribolazioni della maggioranza. Iorio ha inflitto al suo rivale, Roberto Ruta, un distacco di 8 punti. Soprattutto, a sinistra è apparso lo spettro più temuto, quello dell’astensionismo. Si sono recanti alle urne il 65% degli elettori molisani: tanti quanti alle passate elezioni regionali, ma il 17% in meno delle recenti elezioni politiche, dove nella regione il centrosinistra la spuntò per meno di due punti. Segno che quelli che stavolta non sono andati a votare erano in grandissima parte elettori dell’Unione. In Molise ieri è sembrata così avverarsi, in netto anticipo sui tempi, la previsione funesta (per la sinistra) fatta nei giorni scorsi da Valentino Parlato sulle colonne del Manifesto: «Un fantasma si aggira in Italia. Non è quello del comunismo, ma quello dell’astensionismo di sinistra: se salta tutto e si va a elezioni anticipate moltissimi sono gli elettori di sinistra che dichiarano che non andranno a votare». Di questo astensionismo, degli errori del governo che lo hanno motivato e di molto altro, si inizierà a discutere oggi nell’Unione.

© Libero. Pubblicato il 7 novembre 2006.

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