Cospirativismo a sinistra sui brogli elettorali: l'analisi di Orsina

di Giovanni Orsina

Gli mancava proprio, al nostro povero paese, una bella cagnara sui brogli elettorali. Come se non avessimo già abbastanza guai, e ci servisse il doppio danno che verrà da questa vicenda. Il danno derivante dal colpo ulteriore inferto alle istituzioni pubbliche, ossia a quell’insieme di organismi e procedure che tutte le forze politiche dovrebbero accettare e soprattutto di cui l’intero paese dovrebbe fidarsi. E il danno derivante dal fatto che quel colpo è stato inferto sul terreno delicatissimo dei processi elettorali, sulla cui attendibilità si fonda la legittimità del nostro regime democratico.

La denuncia dei presunti brogli informatici che sarebbero avvenuti al Ministero dell’Interno nella notte fra il 10 e l’11 aprile, mossa dall’ormai noto film «Uccidete la democrazia!» di Deaglio e Cremagnani, appartiene a un genere politico antico e pernicioso: quello cospirativistico. Un genere fondato sulla convinzione che il potere sia conseguito e conservato ricorrendo a strumenti occulti e malvagi, tali che la realtà percepita dagli osservatori esterni – ossia dalle vittime di quel potere – altro non sia che una rappresentazione teatrale: una mera finzione destinata a gabbare i moltissimi gonzi, coprendo gli ingranaggi politici veri, che sono in pochissimi a far girare.

Ora, non è che questo sia un genere soltanto italiano. Tutt’altro. In epoca contemporanea, l’archetipo di ogni teoria cospirativistica è con ogni probabilità un bestseller internazionale come i «Protocolli dei savi anziani di Sion»: un documento totalmente fasullo, uscito più d’un secolo fa, che avrebbe dovuto dimostrare l’esistenza di una cospirazione giudaico-massonica finalizzata alla conquista del mondo. Mentre l’ultimo e più illustre esempio è ovviamente rappresentato dalle «teorie alternative» sull’attentato dell’11 settembre: un avvenimento che ha tutte le caratteristiche, ma proprio tutte, necessarie a scatenare le più accese fantasie dietrologiche.

Fantasie che debbono rispondere a una qualche esigenza psicologica diffusa, se destano tanto interesse e incontrano un così ampio successo mediatico. Chissà, forse l’ostilità che gli uomini qualunque nutrono innata verso i potenti. Oppure una diffusa riluttanza ad accettare il «disincantamento del mondo»: la convinzione che dietro ogni evento debba esservi una volontà, che a tirare ogni filo sia un grande vecchio immenso nell’astuzia così come nella perfidia. Fantasie, d’altra parte, che prosperano soprattutto nel ricco brodo ideologico formatosi alla fine della guerra fredda, in cui si sono riversati molti dei temi caratteristici dello scontro pluridecennale fra Occidente e comunismo, primo fra tutti l’antiamericanismo.

Proprio perché il nostro paese nel brodo ideologico della guerra fredda c’è sguazzato a lungo, e ne porta ancora addosso tracce consistenti, se è vero che il cospirativismo esiste ovunque, è vero pure che in Italia ne abbiamo in discreta abbondanza. Non per caso, nel loro film Cremagnani e Deaglio ripartono da Portella della Ginestra, riconnettendo – anche grazie al tramite improbabile di un giornalista americano ultranovantenne (a proposito di «grande vecchio»…) – la presunta cospirazione informatica berlusconiana a un cinquantennio di cospirazioni altrettanto presunte, che avrebbero reso fittizia la nostra repubblica. «Uccidete la democrazia!» si inserisce così in un filone cospirativistico, in questo caso tutto italiano, le cui ascendenze ideologiche vanno ricercate in certo antifascismo radicale: quello che per meglio combattere la Democrazia cristiana negava che il regime da essa governato fosse democratico, assimilandolo piuttosto alla dittatura mussoliniana. Un filone poi non troppo minoritario, considerato che entro i suoi argini ha navigato molto spesso anche il Partito comunista, pentendosene poi, segnatamente nei cinquantacinque giorni del rapimento Moro. E un filone che, defunta la Dc, ha riciclato infine tutto il proprio impolverato arsenale ideologico in chiave antiberlusconiana.

Delle presunte cospirazioni progettate e attuate nel corso dei decenni repubblicani gli storici non è che abbiano poi trovato grandi prove. Studiosi stimati, per altro spesso presenti sulle pagine di questo giornale, come Piero Craveri e Giovanni Sabbatucci hanno criticato in maniera rigorosa alcune delle tesi cospirativistiche più diffuse. Altri ricercatori danno a quelle teorie maggior credito, ma pochissimi negherebbero che, con tutti i suoi difettacci, la repubblica italiana sia stata una democrazia. L’ipotesi cospirativa di Deaglio e Cremagnani ha tutta l’aria di essere ancora più inconsistente di quelle che l’hanno preceduta, se non altro perché in Italia non spetta al potere esecutivo certificare ufficialmente i dati elettorali, ma a quello giudiziario. Messe sotto accusa, le istituzioni italiane sembra intendano dissipare ogni dubbio, e forse a questo punto è bene che sia così. Quando però i dubbi saranno stati dissipati, come credo avverrà, non sarebbe male se il paese facesse tesoro di questa lezione. Rivolgendo il proprio scetticismo non soltanto contro i potenti, ma anche contro chi li immagina perennemente intenti a tessere trame oscure e inique.

© Il Mattino. Pubblicato il 27 novembre 2006.

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