Scalfarotto e Panzino, la nuova sinistra è nata morta
di Fausto Carioti
Questo non è un articolo per infierire su Ivan Scalfarotto. Su di lui, piccolino, hanno già infierito gli elettori del centrosinistra, che alle primarie gli hanno dato appena lo 0,6% dei voti. Né è un articolo per spargere sale sulle ferite dei no-global e della loro candidata, tale Simona Panzino. Assaltano sportelli Bancomat e McDonald’s, occupano le case e le università che frequentano al decimo anno fuori corso, insomma fanno tanto chiasso, ma alla fine sono seguiti appena dallo 0,5% dello stesso elettorato dell’opposizione. Questo, piuttosto, è un articolo per dire che la “nuova sinistra” in nome della quale i due maltrattati dagli elettori si sono candidati, quella che pretende di essere espressione della mitica “società civile”, pubblicizzata da Michele Serra e dal salottino di Repubblica, e quella «senza se e senza ma», che nei centri sociali coltiva le proprie idee e le proprie piantine di marijuana (due colture in evidente sinergia), esiste solo su certi giornali e su certi siti internet. Gli elettori dell’Unione, pragmaticamente, le hanno preferito all’unanimità l’usato doc e ben collaudato dei vecchi arnesi della prima Repubblica. Romano Prodi, ex democristiano ed ex top manager dell’Iri, classe 1939; Fausto Bertinotti, comunista, classe 1940; Clemente Mastella, democristiano, classe 1947: questi sono, con le dovute differenze in termini di voti, i tre nomi dai quali quattro milioni di elettori di sinistra si sentono più rappresentati.
Il caso del povero Scalfarotto, candidato dallo spessore politico inesistente (come già detto qui in tempi non sospetti), è emblematico. Giornalisti delle testate care alla sinistra e opinion maker politicamente corretti hanno fatto a gara a chi lo sovraesponeva di più, attingendo a piene mani dalla retorica del nuovo, del progetto che «parte dal basso». Gli altri hanno un partito, lui solo un sito web. E subito il coro dei giornalisti democratici ha decretato che era una cosa molto trendy, all’americana, in linea con la nuova tendenza della democrazia diretta. Il sondaggio on-line di Repubblica - altro esempio di democrazia post-moderna - gli aveva assegnato il 6% dei voti. Michele Serra, dopo aver letto la prima intervista di Scalfarotto, l’ha definita nientemeno che «la migliore intervista a un “politico” che leggo da qualche anno». Va da sé che l’intervista non conteneva una proposta che una. Così come il programma di Scalfarotto, zeppo di robe vaghe tipo «l’Europa deve promuovere un sistema economico internazionale più giusto, favorendo un commercio equo con i paesi in via di sviluppo». Lette banalità simili, gli elettori di sinistra hanno capito che era meglio che il giovanotto tornasse a lavorare. Nonostante Scalfarotto (coerentemente) non abbia nascosto le proprie preferenze sessuali, nemmeno i gay lo hanno votato: se è vero quello che dice il ds Franco Grillini, che dell’argomento se ne intende, e cioè che i gay «sono tra il cinque e il dieci per cento», al conto di Scalfarotto manca qualche centinaio di migliaio di voti.
Discorso simile per la candidata dei no-global, Simona Panzino. Lei, a differenza di Scalfarotto, un programma ce l’aveva. Punto chiave: «L’introduzione di un reddito sociale per tutti e per tutte, indipendente dalla prestazione lavorativa». Si era dimenticata di dire chi avrebbe dovuto metterci i soldi, e forse agli elettori il particolare non è sfuggito. Quanto alle sue posizioni sulla missione in Iraq, non sono poi così diverse da quelle di Prodi. Insomma, non c’era alcun motivo per votarla. A lei il sondaggio di Repubblica.it assegnava un 3%. Se ne è tornata nella casa che ha occupato con lo 0,5% dei voti. Così ora, finalmente, si sa quanto valgono i no-global: lo 0,5% di metà dell’elettorato, vale a dire lo 0,25%. Un po’ poco, per gente che rompe così tanto.
© Libero. Pubblicato il 18 ottobre 2005 col titolo "Il popolo rosso cancella le nuove sinistre".
Questo non è un articolo per infierire su Ivan Scalfarotto. Su di lui, piccolino, hanno già infierito gli elettori del centrosinistra, che alle primarie gli hanno dato appena lo 0,6% dei voti. Né è un articolo per spargere sale sulle ferite dei no-global e della loro candidata, tale Simona Panzino. Assaltano sportelli Bancomat e McDonald’s, occupano le case e le università che frequentano al decimo anno fuori corso, insomma fanno tanto chiasso, ma alla fine sono seguiti appena dallo 0,5% dello stesso elettorato dell’opposizione. Questo, piuttosto, è un articolo per dire che la “nuova sinistra” in nome della quale i due maltrattati dagli elettori si sono candidati, quella che pretende di essere espressione della mitica “società civile”, pubblicizzata da Michele Serra e dal salottino di Repubblica, e quella «senza se e senza ma», che nei centri sociali coltiva le proprie idee e le proprie piantine di marijuana (due colture in evidente sinergia), esiste solo su certi giornali e su certi siti internet. Gli elettori dell’Unione, pragmaticamente, le hanno preferito all’unanimità l’usato doc e ben collaudato dei vecchi arnesi della prima Repubblica. Romano Prodi, ex democristiano ed ex top manager dell’Iri, classe 1939; Fausto Bertinotti, comunista, classe 1940; Clemente Mastella, democristiano, classe 1947: questi sono, con le dovute differenze in termini di voti, i tre nomi dai quali quattro milioni di elettori di sinistra si sentono più rappresentati.
Il caso del povero Scalfarotto, candidato dallo spessore politico inesistente (come già detto qui in tempi non sospetti), è emblematico. Giornalisti delle testate care alla sinistra e opinion maker politicamente corretti hanno fatto a gara a chi lo sovraesponeva di più, attingendo a piene mani dalla retorica del nuovo, del progetto che «parte dal basso». Gli altri hanno un partito, lui solo un sito web. E subito il coro dei giornalisti democratici ha decretato che era una cosa molto trendy, all’americana, in linea con la nuova tendenza della democrazia diretta. Il sondaggio on-line di Repubblica - altro esempio di democrazia post-moderna - gli aveva assegnato il 6% dei voti. Michele Serra, dopo aver letto la prima intervista di Scalfarotto, l’ha definita nientemeno che «la migliore intervista a un “politico” che leggo da qualche anno». Va da sé che l’intervista non conteneva una proposta che una. Così come il programma di Scalfarotto, zeppo di robe vaghe tipo «l’Europa deve promuovere un sistema economico internazionale più giusto, favorendo un commercio equo con i paesi in via di sviluppo». Lette banalità simili, gli elettori di sinistra hanno capito che era meglio che il giovanotto tornasse a lavorare. Nonostante Scalfarotto (coerentemente) non abbia nascosto le proprie preferenze sessuali, nemmeno i gay lo hanno votato: se è vero quello che dice il ds Franco Grillini, che dell’argomento se ne intende, e cioè che i gay «sono tra il cinque e il dieci per cento», al conto di Scalfarotto manca qualche centinaio di migliaio di voti.
Discorso simile per la candidata dei no-global, Simona Panzino. Lei, a differenza di Scalfarotto, un programma ce l’aveva. Punto chiave: «L’introduzione di un reddito sociale per tutti e per tutte, indipendente dalla prestazione lavorativa». Si era dimenticata di dire chi avrebbe dovuto metterci i soldi, e forse agli elettori il particolare non è sfuggito. Quanto alle sue posizioni sulla missione in Iraq, non sono poi così diverse da quelle di Prodi. Insomma, non c’era alcun motivo per votarla. A lei il sondaggio di Repubblica.it assegnava un 3%. Se ne è tornata nella casa che ha occupato con lo 0,5% dei voti. Così ora, finalmente, si sa quanto valgono i no-global: lo 0,5% di metà dell’elettorato, vale a dire lo 0,25%. Un po’ poco, per gente che rompe così tanto.
© Libero. Pubblicato il 18 ottobre 2005 col titolo "Il popolo rosso cancella le nuove sinistre".