Lapo, i Buddenbrook e la mano invisibile

Il male oscuro che colpisce gli eredi delle grandi dinastie italiane ha un nome. Si chiama "sindrome dei Buddenbrook". Per chi si fosse perso il libro pubblicato da Thomas Mann nel 1901, “I Buddenbrook” (la cui edizione originale, in tedesco, ha l’esplicito sottotitolo “Caduta di una famiglia”), racconta il declino parallelo di una stirpe di commercianti di Lubecca e della loro impresa. Tutto si consuma nell’arco di quattro generazioni: da Johann, il fondatore, spinto da un sano spirito capitalista animale, sino a Hanno, disinteressato ai libri contabili e innamorato della musica e della morte, destinato a morire di tifo. Un copione che, con le dovute differenze, è stato ricalcato - quasi fosse una maledizione lanciata sul capitalismo più familista del pianeta - da una lunga serie di dinastie italiane. Storie diverse, talvolta tragiche, talaltra banali, ma con in comune il distacco dall'etica del lavoro delle nuove generazioni, quasi che la ricchezza creata dal capostipite e da loro ereditata fosse un dono scontato e il mantenerla non costasse fatica.
Vista dall'alto, la sindrome dei Buddenbrook non è una brutta cosa. Tutt'altro: è uno dei modi principali in cui opera la mano invisibile del mercato, abilissima a togliere i patrimoni a chi non li sa mantenere e a consegnarli a individui più capaci. Nel capitalismo, la sopravvivenza degli esemplari più forti a scapito di quelli più deboli e la resa delle specie più vecchie a quelle emergenti e più adatte all'ambiente altro non sono che il processo darwiniano attraverso cui avviene la mobilità delle classi sociali, essenza di ogni società liberale.
Colpiti dalla sindrome dei Buddenbrook, tanti nomi che hanno fatto la storia dell’industria italiana sono spariti dalle prime pagine, e gli eredi che tornano alla ribalta lo fanno per i loro divorzi, per scannarsi su ciò che resta dell’eredità o per vicende legate alla cronaca scandalistica. Uno dopo l'altro, negli ultimi trent'anni hanno dovuto cedere le aziende create dai rispettivi fondatori, tra i tanti, gli Zanussi, gli Zambeletti, i Bassetti, i Bonomi, gli Olivetti. Hanno dovuto passare la mano i discendenti di quell’Angelo Rizzoli che nel 1909, a Milano, iniziò a stampare in proprio cartoncini pubblicitari, e lo stesso hanno fatto i nipoti di Arnoldo Mondadori, che nel 1907 fece uscire il suo primo periodico, un giornale socialista chiamato “Luce!”.
Infine, la parabola degli Agnelli. Legittimo chiedersi se la maledizione dei Buddenbrook abbia colpito, e non da oggi, anche Villar Perosa.

Nota: chi vuole saperne di più sul declino delle famiglie del capitalismo italiano e la sindrome dei Buddenbrook può leggere il libro di Stefano Cingolani, "Le grandi famiglie del capitalismo italiano", pubblicato nel 1990, ma ancora disponibile nel catalogo Laterza.

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